Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6591 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 10/03/2021), n.6591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9502-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Nonchè da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XXIV

MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO MULA giusta

procura a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 11791/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 23/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CHIAPPINELLO GIOVANNI che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MULA ALBERTO che ha chiesto

il rigetto e l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto del (OMISSIS), registrato in data (OMISSIS), rogito del notaio S.S., V.L. donava, separatamente ed in parti uguali, ai figli P., F. e F. il 24,50% del capitale sociale della Immobilfin S.p.A.. Con il contratto le parti chiedevano l’applicazione del beneficio previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, comma 4 ter, ossia l’esenzione fiscale per i trasferimenti effettuati anche tramite patti di famiglia. L’Agenzia delle entrate notificava a S.S., notaio rogante, l’avviso di accertamento di maggior imposta di donazione n. (OMISSIS), ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 2, non ritenendo sussistere i requisiti per la concessione dell’esenzione, atteso che tale beneficio trovava applicazione limitatamente alle partecipazioni mediante le quali era acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1 (maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria). S.S. impugnava l’atto impositivo e la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza n. 7108 del 2016, rigettava il ricorso, sulla base del rilievo che con il patto di famiglia non era rispettata la condizione della prosecuzione di attività di impresa o di controllo per cinque anni. Il notaio rogante appellava la pronuncia, denunciando l’erronea valutazione dei fatti di causa e rilevando che il potere di controllo si era trasferito congiuntamente in capo ai donatari, nella stessa consistenza già sussistente in capo al donante, come confermato dalla stipula di un patto parasociale accessorio, restando peraltro salva la “ratio” dell’agevolazione tributaria. La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 11791/32/16, accoglieva l’appello, ritenendo sussistente, nella specie, il presupposto per l’applicazione dell’esenzione, posto che il contratto era stato accompagnato dalla stipula di un patto parasociale accessorio con cui i tre figli avevano convenuto, con l’approvazione del padre, di adottare gestione e decisioni all’unanimità per cinque anni rinnovabili alla scadenza, con reciproco divieto di alienare azioni, sicchè era evidente la volontà delle parti di porre in essere un controllo societario esclusivamente congiunto. I giudici di appello, pur accogliendo l’appello, per errore materiale, nel dispositivo rigettavano il gravame. In considerazione di tale errore, S.S., con istanza del (OMISSIS), formulava domanda di correzione di errore materiale ai sensi dell’art. 288 c.p.c., che veniva accolta con ordinanza n. 986 del 2017. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo un unico motivo illustrato con memorie. S.S. si è costituito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un’unica censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Per ragioni di priorità logica va esaminato il ricorso incidentale condizionato proposto da S.S., con il quale si denuncia nullità della sentenza per contraddittorietà tra motivazione e dispositivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorrente propone il mezzo solo nel caso in cui si dovesse ritenere non esatta la procedura di correzione dell’errore materiale della sentenza della Commissione Regionale della Campania n. 11791/32/16 (conclusa con ordinanza n. 986 del 2017) nella quale sarebbe evidente l’errore del dispositivo in contraddizione con la motivazione, per effetto di una mera svista materiale del giudicante.

1.1. Il motivo è infondato. E’ stato, infatti, precisato con riferimento alle pronunce di questa Corte – ma il principio è applicabile anche alla fattispecie in esame, che riguarda una pronuncia del giudice tributario che: “Il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo di una pronuncia della Corte di Cassazione e quanto dichiarato in motivazione, non incidendo sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibili il contenuto della statuizione giudiziale, non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi degli artt. 287 e 397 bis c.p.c., trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile “itu oculi” dal testo del provvedimento, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione della sentenza di legittimità”. (Cass. n. 668 del 2019; Cass. n. 15321 del 2012).

2. Ciò premesso, con l’unico motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, comma 4 – bis, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e delle norme in materia di interpretazione dei contratti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il patto di famiglia stipulato in data (OMISSIS), il disponente, V.L., ha attribuito ai discendenti, ai sensi dell’art. 768 bis c.c., come anticipi della propria successione, parte delle sue azioni possedute nella società “Immobilfin s.p.a.”. Con il contratto, le parti hanno chiesto l’applicazione del beneficio previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, comma 4 ter, ossia l’esenzione fiscale per i trasferimenti effettuati anche tramite patti di famiglia.

L’Agenzia delle entrate lamenta che trattandosi di cessione di azioni, l’esenzione è subordinata al mantenimento del controllo societario a mente dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, mentre il patto non rispetterebbe il requisito previsto, disponendo la donazione delle azioni in parti uguali.

A tale proposito, si precisa che sia in dottrina che in giurisprudenza è accreditata la natura dell’imposta di registro, cui è assimilabile per comunanza di principi l’imposta di successione, come “imposta d’atto”, pertanto, per stabilire i presupposti ed i criteri di tassazione occorrerebbe fare riferimento al contenuto e agli effetti che emergono dall’atto stesso (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20) a nulla rilevando, a tale fine il “patto parasociale”, stipulato successivamente in data (OMISSIS). Secondo l’Ufficio ricorrente, i giudici di appello non si sarebbero conformati agli enunciati principi, ritenendo che il controllo societario potesse essere assicurato mediante la stipulazione di un patto parasociale accessorio del (OMISSIS), di cui l’Agenzia ha avuto conoscenza solo nel corso del giudizio. Al contrario l’agevolazione avrebbe potuto trovare applicazione solo nel caso in cui V.L. avesse donato il pacchetto azionario ai suoi tre figli in comproprietà tra loro: in tal caso, in base all’art. 2347 c.c., i diritti dei comproprietari sarebbero stati esercitati da un rappresentante comune, che avrebbe avuto a disposizione la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Il patto di famiglia non può ritenersi “integrato” da un patto successivo, di cui non si sa nemmeno se sia stato registrato.

2.1. Il motivo è fondato, per i principi di seguito enunciati.

a) Non è contestato che con il patto di famiglia, stipulato in data (OMISSIS), V.L., titolare del 99% del capitale sociale della soc. Immobilfin s.p.a., ha ceduto ai tre figli V.P., V.F. e V.F., il 74% del capitale sociale, attribuendo precisamente a P. e F. il 24,5% ciascuno ed a V.F. il 25% dello stesso. Il giorno dopo la stipulazione del patto di famiglia, in data (OMISSIS), le parti hanno stipulato un patto parasociale accessorio (v. pag. 4 controricorso), con il quale hanno convenuto che: a) qualunque atto di ordinaria e/o straordinaria amministrazione e qualsiasi decisione nelle assemblee e negli organi amministrativi della società Immobilfin S.p.a. avrebbero dovuto essere prese all’unanimità tra gli stessi figli; b) l’impegno a non recedere dal patto per sua intera durata, fissata nel massimo previsto dalla legge pari a cinque anni, alla cui scadenza le parti avrebbero potuto rinnovare il patto; c) il divieto di alienare tutte o parte delle azioni detenute nella società Immobilfin S.p.a. per tutto il tempo in cui avrebbe avuto efficacia il patto parasociale; d) di comune accordo tra loro, nel caso in cui uno dei tre fratelli si fosse determinato a vendere tutte o parte delle partecipazioni ricevute dal padre nella società Immobilfin S.p.a. entro il termine di cinque anni decorrente dalla cessazione dell’efficacia del divieto di alienazione, lo stesso sarebbe rimasto obbligato a preferire, a parità di condizioni, gli altri due fratelli rispetto a qualunque altro acquirente.

Ciò premesso in fatto, la questione all’esame della Corte è se debba essere riconosciuta l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 246 del 1990, art. 3, comma 4 ter, in fattispecie, come quella in esame, in cui il patto di famiglia prevede la cessione del capitale sociale in parti uguali ai legittimari, senza che sia possibile, per tale ragione, assicurare il controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, che le parti hanno inteso comunque garantire mediante un patto parasociale accessorio, non registrato (ma siglato in data (OMISSIS) v. pag. 3 controricorso) con cui si impone, inter alia, che qualunque atto di ordinaria e/o straordinaria amministrazione e qualsiasi decisione nelle assemblee e negli organi amministrativi della società debbano essere presi all’unanimità tra gli stessi beneficiari.

b) Ai fini dell’esame della questione, si impone l’illustrazione del quadro normativo di riferimento.

Con lo scopo di adeguare il diritto successorio alle esigenze del sistema economico, la L. 14 febbraio 2006, n. 55, ha introdotto nel libro II (“Delle successioni”) al titolo IV del Codice Civile, un nuovo capo V-bis rubricato “Patto di Famiglia”, composto dagli artt. da 768 – bis a 768 – octies.

Il patto di famiglia è il contratto con il quale l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte la propria azienda (o, in tutto o in parte, le proprie quote di partecipazione) ad uno o più discendenti, specificamente individuati dal soggetto disponente, nel rispetto delle disposizioni civilistiche concernenti l’impresa familiare e la disciplina delle società. Per consentire il controllo del passaggio generazionale dell’impresa, con il patto di famiglia si concede all’imprenditore – per atto inter vivos immediatamente efficace – di individuare nella cerchia dei propri discendenti il soggetto o i soggetti ritenuti più idonei a proseguire l’attività imprenditoriale, pur non pregiudicando gli altri discendenti, i quali hanno il diritto a vedere liquidata la quota assegnata ad altri con un equivalente in denaro.

Il patto di famiglia deve avere ad oggetto una partecipazione che consenta (anche solo potenzialmente) al cessionario di continuare ad esercitare nell’azienda quel potere gestionale già presente in capo al cedente o, comunque, di influire sulle scelte gestionali della società. Mediante il patto, il Legislatore ha voluto prestare tutela all’attività imprenditoriale, non esclusivamente nell’interesse dell’imprenditore e della sua famiglia, ma anche ai fini di tutela di interessi superindividuali alla conservazione di efficienza delle unità produttive e non già per rafforzare la posizione del disponente. Infatti, la legge ha introdotto un contratto a struttura rigida avente ad oggetto beni produttivi e che necessita, per il perfezionamento, della partecipazione di tutti i legittimari. Lo strumento negoziale del patto di famiglia realizza dunque l’obiettivo di garantire l’univocità del controllo e della leadership, evitando qualsivoglia forma di frammentazione del complesso produttivo che potrebbe eziologicamente essere determinata per effetto dell’apertura della successione ereditaria in via ordinaria.

Con l’istituto, il Legislatore ha inteso, altresì, prevenire liti tra gli eredi, che potrebbero compromettere l’assetto organizzativo predisposto dall’imprenditore per la propria azienda, così evitando il fenomeno della c.d. “deriva generazionale”, ossia il fallimento della società connesso ad un’errata gestione dei profili legati alla successione nell’impresa. In tal modo, si garantisce la stabilità del passaggio generazionale dell’azienda familiare, con un’anticipazione temporale delle vicende legate all’apertura della futura successione. Tale stabilità è garantita dal fatto che, una volta stipulato il patto, selezionati i discendenti idonei a proseguire l’attività di impresa e liquidati gli altri legittimari, questi ultimi non potranno più modificare la situazione successoria dell’azienda, come voluta e cristallizzata dall’imprenditore. Agli altri legittimari, rispetto ai beni di impresa oggetto del patto di famiglia, è preclusa l’azione di riduzione (art. 553 e ss. c.c.) o la richiesta di collazione. Il patto di famiglia si caratterizza essenzialmente per l’effetto preclusivo di ogni possibile contestazione e revisione dell’operazione al momento dell’apertura della successione.

c) Con il patto parasociale successivo (stipulato il giorno dopo) gli assegnatari hanno concordato le sopra richiamate pattuizioni accessorie (v. sub. 2.1. lett. a).

Ai sensi dell’art. 2341 bis c.c., le parti, con patti parasociali, possono stipulare patti che hanno ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano e limiti al trasferimento delle relativi azioni o delle partecipazioni in società che le controllano. Se hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata, anche se le parti hanno previsto un termine maggiore.

Questa Corte, con sentenza n. 9846 del 2014, ha definito i patti para-sociali convenzioni atipiche, riguardanti i rapporti personali tra soci ed operanti sul piano organizzativo e gestionale, in cui taluni soci si prestano e si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società, sicchè essi integrano la fattispecie del contratto a favore del terzo. Ne consegue che di questo sono legittimati a pretendere l’adempimento sia la società quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati che l’obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte.

d) L’Ufficio lamenta che il trasferimento del capitale sociale avvenuto tramite il patto di famiglia non avrebbe soddisfatto le condizioni richieste dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, comma 4 ter, ai fini dell’applicazione dell’esenzione. In particolare, sarebbe mancato il requisito, previsto in caso di trasferimento di partecipazioni in società di capitali, del controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, atteso che le partecipazioni, se considerate con distinto riferimento a ciascun beneficiario, non raggiungerebbero le soglie previste dalla disposizione civilistica. L’Agenzia delle entrate ritiene che l’agevolazione avrebbe potuto applicarsi solo nel caso di costituzione di una comunione pro indiviso tra i tre discendenti beneficiari, potendosi considerare unitariamente le varie partecipazioni e, quindi, assicurare il controllo previsto dall’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1.

Le critiche sono fondate.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 78, che ha integrato la disposizione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, prevede un regime agevolato (non assoggettabilità all’imposta) per i trasferimenti di aziende familiari (individuali o collettive), effettuati anche tramite i patti di famiglia a favore dei discendenti, che si impegnino a continuare l’attività nei successivi cinque anni. La norma dispone l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, dei trasferimenti di aziende o rami d’azienda, di quote sociali e di azioni effettuati a favore dei discendenti attraverso lo strumento del patto di famiglia.

Pertanto, con riferimento all’imposizione indiretta, la stessa Agenzia delle entrate ha affermato la riconducibilità delle attribuzioni conseguenti al patto di famiglia nell’ambito degli atti a titolo gratuito (circ. Ag. Ent. 22 gen. 2008 n. 3/E).

Per quanto concerne i patti di famiglia aventi ad oggetto il trasferimento di quote o azioni di società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73 comma 1, lett. a), è previsto che il beneficio fiscale sia riconosciuto solo ai trasferimenti di partecipazioni sociali che consentono l’acquisizione ovvero l’integrazione del controllo sulla società ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1.

Le condizioni per l’esenzione sono che il destinatario del trasferimento sia un discendente del disponente e, se oggetto del trasferimento sono partecipazioni di società di capitali, detto trasferimento deve consentire al beneficiario di acquisire o integrare “il controllo” della società, che si realizza quando un soggetto dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di una società, ossia detiene più del cinquanta per cento delle quote o azioni della stessa, con diritto di voto nell’assemblea ordinaria. Il legislatore ha, altresì, prescritto una condizione inderogabile per potere usufruire della esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni che è strettamente connessa non solo alla prosecuzione dell’esercizio dell’attività di impresa da parte dell’erede beneficiario, ma anche al radicamento per un certo periodo di tempo del controllo sull’azienda.

I beneficiari del trasferimento devono proseguire l’esercizio dell’impresa o detenere il controllo della società le cui quote sono state trasferite per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento.

E’, pertanto, indispensabile che il trasferimento della partecipazione sociale in capo al soggetto assegnatario permetta al beneficiario di avere a disposizione la maggioranza dei voti da esercitare nell’assemblea ordinaria.

Come sopra osservato, la disposizione agevolativa contenuta nel citato art. 3, comma 4 ter, vincola la fruizione dell’agevolazione alla sussistenza in capo al beneficiario di una situazione di controllo di diritto. Pertanto, nell’ipotesi in cui una partecipazione di controllo, posseduta dal dante causa, venga frazionata tra più discendenti, l’agevolazione spetta esclusivamente per l’attribuzione che consente l’acquisizione o l’integrazione del controllo da parte del discendente. Nel caso, invece, in cui il trasferimento della partecipazione di controllo avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, ai sensi dell’art. 2347 c.c., il beneficio deve essere sempre riconosciuto, a condizione che i diritti dei comproprietari vengano esercitati da un rappresentante comune, che disponga della maggioranza dei voti esercitabile nell’assemblea ordinaria.

Secondo l’interpretazione offerta dall’Agenzia delle entrate con Circ. Ag. Entrate n. 3/E del 2008, Ris. Ag. Entrate 18 novembre 2008, n. 446/E, Ris. A. Entrate 27 luglio 2010, n. 75/E, Risposta dell’Agenzia delle entrate 7 febbraio 2020, n. 37 (non vincolanti per il contribuente, per il giudice e per la stessa autorità che l’ha emanata v. Cass. n. 6699 del 2014), se la partecipazione è frazionata tra più discendenti, l’agevolazione spetta esclusivamente per l’attribuzione che consenta l’acquisizione o l’integrazione del controllo da parte del discendente; se il trasferimento della partecipazione di controllo avviene a favore di più discendenti in comproprietà, il beneficio di cui trattasi è sempre riconosciuto ove l’attribuzione consenta ai discendenti in comproprietà di acquisire o detenere il controllo societario. Tale interpretazione della disposizione agevolativa appare in linea con il dettato normativo.

La norma testualmente dispone: “In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 73, comma 1, lettera a), di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1). Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività di impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza del beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata”.

Il D.Lgs. n. 546 del 1990, art. 3, impone espressamente che il soggetto assegnatario continui nell’esercizio dell’attività di impresa, ovvero detenga il controllo della società per un periodo non inferiore a cinque anni decorrenti dalla data del trasferimento della quota sociale o delle azioni, assumendone l’impegno nella dichiarazione di successione ovvero nell’atto di donazione.

Schematizzando è possibile asserire che:

a) Il trasferimento dell’azienda dal disponente all’assegnatario rientra nella previsione del citato D.Lgs., art. 3, comma 4 ter, e pertanto, esso non è soggetto all’imposta qualora i beneficiari si impegnino, con contestuale dichiarazione, a continuare l’esercizio d’impresa per almeno un quinquennio dalla data di stipula dell’atto.

b) Il trasferimento delle partecipazioni sociali rientra nella previsione del comma 4 – ter, precedentemente richiamato, solo qualora esse possano permettere il controllo, ai sensi dell’art. 2539 c.c., comma 1, n. 1, delle società D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 73, comma 1, lett. a). Ne consegue che il patto di famiglia avente ad oggetto partecipazioni che non permettano il controllo della società non rientra nella previsione di non assoggettabilità del tributo in esame.

La cessione contestuale del disponente di più quote societarie, per usufruire dell’esenzione, deve consentire che sia realizzato l’effettivo passaggio generazionale dell’impresa conservandone l’unitarietà e la funzionalità mediante il totale trasferimento del controllo di diritto dai disponenti ai discendenti, secondo la ratio legis del patto di famiglia, e del beneficio fiscale.

e) Nella fattispecie, la divisione delle quote tra gli assegnatari, nella misura del 24,5%, non permette singolarmente a nessuno di essi di esercitare il controllo societario, tanto è vero che i beneficiari, dopo la stipula del patto di famiglia, hanno ritenuto necessario redigere un patto parasociale accessorio con il quale hanno convenuto che qualsiasi atto di ordinaria e/o straordinaria amministrazione e qualsiasi decisione dovevano essere presi all’unanimità tra gli assegnatari.

Va precisato che tale patto non risulta essere stato registrato, ma semplicemente “siglato” in data (OMISSIS), come riferito dal notaio rogante nel controricorso (v. pag. 3).

Questa Corte, tuttavia, ritiene che il patto parasociale (nella fattispecie neppure registrato), successivo ed accessorio al patto di famiglia, con il quale i legittimari beneficiari del patto convengono misure per assicurare il controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1), non è idoneo a integrare i presupposti del trattamento agevolativo, i quali invece, devono sussistere, per espressa previsione normativa, al momento della stipula del patto, il quale deve prevedere il trasferimento di partecipazioni sociali con modalità che possano permettere il controllo societario, per garantire il passaggio generazionale a cui tende l’istituto.

Inoltre, i patti parasociali sono vincolanti esclusivamente tra le parti contraenti e non possono incidere direttamente sull’attività sociale (Cass. n. 15963 del 2007) e, condividendo l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene il patto parasociale un contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.), all’eventuale adempimento dello stesso (da cui scaturirebbe, secondo il ricorrente, il controllo societario) potrebbero non avere interesse gli altri soci stipulanti il patto o la società terza beneficiaria, venendo così meno la possibilità concreta ed effettiva del controllo societario indispensabile ai fini dell’esenzione dall’imposta.

f) Da ultimo, si impone una riflessione sulla natura dell’esenzioni in diritto tributario.

Le esenzioni sono agevolazioni fiscali che incidono sul presupposto dell’imposta, cioè sull’an debeatur, rappresentando una esclusione o un regime sostitutivo.

L’esenzione è un meccanismo che sottrae dall’applicazione del tributo fatti o soggetti che di norma farebbero parte della definizione generale del presupposto.

Nell’esenzione fiscale il presupposto si verifica integralmente, ma la norma stabilisce una situazione giuridica che giustifica una deroga, per cui viene legittimata la non tassazione.

In materia fiscale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 preleggi, sicchè non è consentito ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati (v. in tema di ICI, Cass. n. 13145 del 2019).

Il citato D.Lgs., art. 3, comma 4 ter, ha previsto, in caso di trasferimento di partecipazioni sociali, il non assoggettamento al tributo a determinate condizioni (giustificate dalla necessità di garantire il passaggio generazionale dell’impresa), e tra queste la necessità che sia consentito il controllo societario di diritto ai sensi dell’art. 2539 c.c., comma 1, n. 1, condizione che deve sussistere al momento della stipula del patto di famiglia, senza che sia consentito l’ampliamento dell’ambito di applicazione della norma, mediante l’accesso a pattuizioni accessorie, temporalmente successive alla stipula del patto (nella specie un patto parasociale “siglato”), atteso che il regime di esenzione, quale deroga al regime impositivo, è di stretta interpretazione (v. in tema di trasferimenti in favore di collaterale di quote di società Cass. n. 31333 del 2019).

3. In definitiva, va accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale condizionato, la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va rigettato l’originario ricorso proposto dal contribuente. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, mentre le spese del giudizio del giudizio di legittimità sono a carico della parte soccombente, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite dei gradi di merito e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 7.200,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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