Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6591 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8997-19 proposto da:

J.F., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Petracci,

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Macerata, via G.

Mameli n. 66;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona depositata il 4

dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/1/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 1605/18, pubblicata il 4 dicembre 2018, confermando l’ordinanza di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione in tutte le sue forme, proposta da J.F., cittadino proveniente dal Gambia, il quale ha riferito di aver abbandonato il proprio paese di origine per sottrarsi alle minacce dello zio, il quale lo aveva fatto sequestrare e picchiare per costringerlo a restare nell’esercito da cui era fuggito; egli si era dapprima rifugiato in Casamance e successivamente in Italia.

La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente contraddittorie e scarsamente credibili, ed in ogni caso afferenti ad una vicenda privata, relativa ai rapporti del richiedente con lo zio.

Ha pertanto escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il giudice di appello ha del pari escluso il pericolo di un danno grave alla persona in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè la sussistenza, nell’area di provenienza del richiedente, di una situazione di violenza generalizzata, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha inoltre respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità del richiedente ed evidenziando, quanto ai dedotti problemi di salute, che dai documenti prodotti non risultava che egli fosse affetto da una patologia di particolare gravità.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione con due motivi il richiedente asilo.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per motivazione meramente apparente in relazione alla statuizione che ha escluso la credibilità del racconto sulla base di una motivazione stereotipata, omettendo di valutare compiutamente le dichiarazioni dell’istante e di compiere ogni attività istruttoria al fine di chiarire gli aspetti controversi della vicenda, laddove il caso di specie richiedeva un’approfondita disamina e l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione al certificato medico dell’ospedale presso il quale il richiedente era stato ricoverato, fino al trasferimento presso l’Ospedale di Brescia ed al certificato rilasciato dall’Università degli studi di Perugia.

Il terzo motivo denuncia violazione di legge, denunciando la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, lamentando che la Corte avrebbe dovuto avvalersi di poteri istruttori anche officiosi, accertando se il Gambia sarebbe stato in grado di offrire adeguata protezione, in relazione agli atti persecutori subiti dal richiedente.

Il quarto motivo denuncia violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla statuizione che ha ritenuto insussistenti i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il primo e terzo motivo che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati sono inammissibili in quanto, da un lato non censurano l’autonoma ratio decidendi, fondata sul carattere privato della vicenda, maturata in ambito familiare, dall’altro sono del tutto generici, a fronte della statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito(Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che le dichiarazioni del richiedente risultavano contraddittorie e scarsamente credibili e comunque concernenti i suoi rapporti personali con lo zio.

Quanto poi alla deduzione della mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria, avuto riguardo, in particolare, alla capacità delle autorità del Gambia di offrire adeguata protezione in relazione agli atti persecutori lamentati dal richiedente, si osserva che l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo anzi l’allegazione essere adeguatamente circostanziata; nel caso di specie la censura risulta del tutto generica, atteso che il richiedente non ha specificamente allegato i tempi e modi nei quali si è rivolto all’autorità di polizia senza ricevere adeguata tutela.

Si osserva inoltre che, qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili, alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Nel caso di specie, dunque, la scarsa credibilità del racconto è stata correttamente ritenuta ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona del richiedente.

Il secondo e quarto motivo, vanno anch’essi esaminati congiuntamente, in quanto riguardano la mancata concessione della protezione umanitaria, e sono infondati.

Anche in relazione alla protezione umanitaria è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico, in quanto, a fronte della affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale l’odierno ricorrente non presentava particolari problematiche di salute e non aveva dimostrato di essersi concretamente integrato in Italia, si limita a richiamare un certificato medico dell’ospedale di Macerata ed un certificato rilasciato dall’Università degli studi di Perugia, ma senza specificare causa, natura e stato attuale della patologia lamentata, nè allegare specifici elementi in ordine al grado di integrazione nel nostro paese.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero, costituitosi al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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