Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6588 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26336/2018 proposto da:

M.R., rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO PARTELE,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in

Piazzale Martiri del Grappa n. 6 in Crespano del Grappa, pec:

federicopartele.pec.ordineavvocatitreviso.it;

– ricorrente –

contro

B.A., rappresentato e difeso dagli avvocati DANILO RIPONTI, e

FRANCESCO OLIVETI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del

secondo in ROMA, VIA CUNFIDA 20, pec:

daniloriponti.pec.ordineavvocatitreviso,it;

francescoolivieri.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

e contro

ZURICH INSURANCE COMPANY RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dagli avvocati Lorenzo LOCATELLI, pec:

lorenzo.locatelli.ordineavvocatipadova.it, e Giovanni PIERI NERLI,

pec: giovannipierinerli.ordineavvocatiroma.org, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Fabio Massimo

95;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1600/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020. dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’appuntato scelto M.R., con atto di citazione del 2/4/2008, convenne davanti al Tribunale di Padova il Maresciallo B.A. per essere dal medesimo risarcito dei danni subiti in conseguenza della condotta di quest’ultimo che lo aveva diffamato dichiarando di averlo visto dormire in macchina durante l’orario di servizio notturno. Le dichiarazioni rese dal B. al Comandante della Compagnia dei Carabinieri di (OMISSIS) avevano costretto quest’ultimo ad inoltrare una notizia di reato alla Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Padova. Per dimostrare la propria estraneità alle accuse e l’inconsistenza degli addebiti rivoltigli dal B., il M. subì due gradi di giudizio avanti la giurisdizione militare penale oltre ad un trasferimento per incompatibilità derivata dalla pendenza dei processi, il discredito in ambito lavorativo e sociale per sè e la propria famiglia, danni di cui chiese, pertanto di essere risarcito.

Il B. si costituì in giudizio contestando la domanda e chiedendo la chiamata in causa della Zurick Insurance.

2. Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 495 del 2015, ritenne che l’origine del processo penale, conclusosi poi con sentenza di assoluzione con formula piena, era da ravvisare nella dichiarazione del convenuto, dalla quale erano scaturiti gravi danni alla persona del M., sicchè al medesimo andava riconosciuto un risarcimento nella misura di Euro 10.000,00 ritenendosi non operativa la polizza Zurick.

3. Il B. propose appello negando la sussistenza del nesso causale tra la propria condotta e l’avvio dei procedimenti penali militari a carico del M. in ragione del fatto che il processo aveva avuto inizio solo a seguito della richiesta rivolta al B. dal Tenente Ma. di redigere due relazioni di servizio sui fatti accaduti, richiesta alla quale il B. non avrebbe potuto sottrarsi trattandosi dell’adempimento di un ordine ricevuto da un superiore; contestò la sentenza di primo grado anche in relazione alla prova del danno rappresentando che alcun pregiudizio era derivato al M. e chiese la riforma della sentenza di primo grado anche in relazione all’operatività della polizza Zurick.

4. Nel contraddittorio con il M. e con la terza chiamata in causa Zurick Insurance, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 1600 dell’11/6/2018, ha accolto l’appello ritenendo che la ricostruzione dei fatti e del comportamento del B. dovesse essere effettuata sulla base di quanto inequivocabilmente accertato in sede penale dalla sentenza passata in giudicato, con la quale gli appuntati M. e D. erano stati assolti per insussistenza dei fatti.

Dalla sentenza si trae argomento per ritenere che, pur giungendosi ad un dispositivo di assoluzione, non era stata affatto affermata la falsità delle dichiarazioni rese dal B., relative a circostanze verosimili; in secondo luogo si trae certezza del fatto che al B. non era imputabile l’avvio del procedimento penale dal momento che il medesimo era iniziato all’esito di ulteriori indagini su iniziativa di altri soggetti, a ciò istituzionalmente preposti. Conseguentemente il giudice d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda del M., senza disporre la restituzione delle somme nel frattempo versate, per la mancata richiesta in tal senso da parte dell’appellante.

5. Avverso la sentenza M.R. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi. Hanno resistito, con distinti controricorsi, il maresciallo B.A. e la Zurick Insurance.

6. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 3l30-bis.1 c.p.c., in vista della quale la Zurick Insurance ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per grave incoerenza sotto il profilo dell’irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta della motivazione – il ricorrente assume che la sentenza impugnata sia nulla perchè sorretta da una motivazione intrinsecamente contraddittoria, non idonea a consentire di individuare il percorso logico inferenziale seguito dal giudice di merito. La contraddittorietà consisterebbe nel riconoscere, da un lato, l’infondatezza degli addebiti contestati al M. e, dall’altro, la veridicità delle affermazioni del B..

Ad avviso del ricorrente, mentre la pronuncia del giudice di primo grado era coerente con la sentenza della Corte Militare d’Appello, quella della Corte d’Appello di Venezia sarebbe del tutto illogica e contrastante con le risultanze del giudice penale che aveva recisamente escluso che il M. stesse dormendo non potendosi altrimenti “accingere a lasciare la caserma”. La Corte d’Appello neppure avrebbe considerato le ulteriori dichiarazioni del teste m. che aveva dichiarato che il M. aveva ripreso il servizio dopo un’ora di interruzione e le conclusioni, sempre della sentenza penale d’appello, secondo le quali dalla documentazione prodotta in atti si evinceva che i due imputati avessero svolto regolarmente il loro servizio. In ragione del palese contrasto tra la pronuncia del giudice penale passata in giudicato e l’impugnata sentenza il ricorrente ne afferma la nullità sotto il profilo dell’irriducibile contraddittorietà della stessa.

1.1 Parte resistente afferma, invece, che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, perchè, nel riportarsi a quella che fu l’assoluzione con formula piena, ne richiama un ulteriore passaggio nel quale gli stessi giudici penali ebbero ad ammettere la circostanza per cui non appare inverosimile che nella notte incriminata i due imputati avessero arbitrariamente interrotto il servizio. Pertanto, il fatto che il M. fosse stato assolto per insussistenza del fatto non è incompatibile con la veridicità delle affermazioni del B., della cui condotta lesiva illecita non vi era alcuna prova nel processo.

1.1.1 Le considerazioni di parte resistente a fondamento del rigetto del primo motivo di ricorso devono essere accolte.

Dobbiamo partire dalla considerazione che il sindacato sulla motivazione cui può accedere questa Corte all’esito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è ristretto all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extra testuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia): il vizio presuppone “che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico” (cfr. Cass. Sez. VI n. 21257/14).

Nel caso in esame questi limiti sono resi ancor più stringenti dalla formulata censura dell’art. 132 c.c., che afferisce direttamente alla mancanza di motivazione.

Non si può dire che la sentenza sia del tutto priva di motivazione in quanto essa consente di comprendere il percorso logico inferenziale seguito dal giudice di merito, che ha distinto tra il fatto dell’assoluzione e quello della verosimiglianza delle affermazioni del B.: infatti, se è vero che l’assoluzione assistita dalla formula “il fatto non sussiste” esclude totalmente la sussistenza dell’episodio storico addebitato, è altrettanto vero che essa nulla dice in ordine alla falsità degli addebiti, intesa come consapevolezza dell’innocenza dell’imputato. Anzi dà conto del fatto che nella sentenza penale, al di là dei rilievi sulla inesattezza delle date di cui alla dichiarazione del B., ritenute giustificate dal tempo trascorso, nella descrizione dei fatti in contestazione non è affermata la falsità delle dichiarazioni del B., anzi ne è postulata la loro verosimiglianza. Se a ciò si aggiunge che la Corte d’Appello ha escluso il nesso di causalità tra le dichiarazioni del B. e l’avvio dell’azione penale promossa solo all’esito di ulteriori indagini e per iniziativa di altri soggetti a ciò istituzionalmente preposti si deduce che la motivazione non può dirsi nè apparente nè illogica.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso di considerare un fatto decisivo (p. 10 della impugnata sentenza) che ha formato oggetto di discussione tra le parti – il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia omesso di considerare il fatto storico dell’assoluzione in sede penale dalla quale avrebbe dovuto dedurre che le dichiarazioni del B. fossero state eziologicamente connesse ad un procedimento penale che non avrebbe dovuto essere avviato.

Il fatto decisivo pretermesso è che non vi è stata alcuna violazione del servizio in data 24/07/2004 da parte del M. e che le dichiarazioni accusatorie del B. fossero inveritiere, come correttamente esplicato dai giudici militari d’appello, esaminate: le circostanze dalle quali nasce la condotta del B.; la discrepanza tra le due relazioni redatte dal maresciallo; la testimonianza del m. circa il rientro autorizzato in caserma; la presenza di 41 km in più sul chilometraggio dell’auto di servizio. Il fatto omesso è decisivo, in quanto, qualora il giudice del gravame avesse considerato l’assoluzione del M. e la conseguente falsità delle dichiarazioni del B., avrebbe certamente confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Padova.

2.1 Secondo i controricorrenti la Corte d’Appello di Venezia ha, invece, compiutamente esaminato il fatto storico dell’assoluzione del M., escludendo che vi fosse una connessione con le dichiarazioni del B., che sono state, invero, ritenute verosimili.

Nella sentenza della Corte territoriale non è stata affermata la falsità delle dichiarazioni del B., nè, successivamente all’assoluzione, era seguito alcun procedimento per calunnia avverso il maresciallo (cfr. pag. 7).

Sarebbe, per converso, irriducibilmente contraddittoria e illogica la conclusione, a cui pretende di giungere il ricorrente, di far derivare il carattere calunnioso della denuncia dalla sentenza di assoluzione.

2.1.1 Il secondo motivo è inammissibile e comunque infondato.

Quanto ai profili di inammissibilità, si deve rilevare come la Corte d’Appello di Venezia non abbia omesso di considerare il fatto storico dell’avvenuta assoluzione del M. all’esito del procedimento penale militare, bensì lo abbia compiutamente esaminato benchè in una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella fatta propria nell’atto introduttivo del giudizio. Pertanto, le deduzioni del ricorrente si risolvono, sul punto, in una mera doglianza del fatto che il giudice del merito abbia valutato le risultanze processuali in modo difforme rispetto alle proprie aspettative e nell’inammissibile pretesa di una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte d’Appello veneziana. Per di più, le censure mosse da parte ricorrente, sembrano mascherare la richiesta di una diversa ricostruzione dei fatti, soprattutto in relazione alla sequela degli eventi, non consentita in sede di legittimità.

Quanto ai profili di infondatezza, valgano qui i rilievi già mossi in sede di confutazione del primo motivo di ricorso, con la conseguenza che il fatto dell’assoluzione, anche se omesso, non risulterebbe decisivo in ordine al riconoscimento di responsabilità ex art. 2043 c.c. in capo al B.. Sul punto, si osserva come i procedimenti penali militari riguardavano la condotta posta in essere dal M. e dal D. e la relativa formula assolutoria per insussistenza dei fatti li manlevava da quella che potrebbe essere una qualsivoglia statuizione civile derivante dal loro comportamento, mentre nulla si aggiunge rispetto alle dichiarazioni del maresciallo B., sulle quali, invece, verte il procedimento civile. La giurisprudenza di questa Corte è, peraltro, consolidata nel senso di escludere la responsabilità civile del denunciante in caso di successivo proscioglimento o assoluzione dell’imputato limitandola alla sola ipotesi della calunnia, e ciò in quanto l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante (o querelante) interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (Cass.” 3, n. 11898 del 10/6/2016; Cass., 3, n. 30988 del 30/11/2018; Cass., 3n. 11271 del 12/6/2020).

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art. 116 c.p.c., artt. 40,41 c.p. e art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del nesso causale e per travisamento della prova. Il ricorrente assume essere stati violati gli artt. 40 e 41 c.p., che regolano il nesso causale anche nel settore della responsabilità civile, in mancanza di apposita disciplina in merito: in particolare, viene censurata l’asserzione che il procedimento militare a carico del M. non sia stato avviato dal B., ma “da soggetti a ciò istituzionalmente preposti”, asserzione con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto inesistente il rapporto eziologico tra la condotta del B. e l’avvio del procedimento penale militare per violata consegna. A sostegno della propria doglianza, la difesa del M., citando Cass. S.U. n. 3038/2002 “Franzese”, ricorda come gli artt. 40 e 41 c.p., accolgano la teoria conclizionalistica, per la quale una condotta attiva od omissiva è causa dell’evento quando si pone come condizione necessaria, conditio sine qua non, nella catena degli antecedenti e conseguenti in cui si snoda l’evoluzione causale: nella fattispecie concreta, in base al giudizio controfattuale, in mancanza delle dichiarazioni e delle relazioni redatte dal B., il procedimento penale non sarebbe iniziato. Dalla violazione degli artt. 40 e 41 c.p., il ricorrente fa dipendere la violazione dell’art. 2043 c.c., che esige, appunto, la sussistenza del nesso causale.

Il ricorrente assume poi essere violato l’art. 116 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello di Venezia non avrebbe valutato secondo prudente apprezzamento e con razionalità logica le risultanze probatorie, altrimenti non sarebbe giunta a ritenere che “al B. non è neppure imputabile l’avvio del procedimento penale, iniziato a seguito di ulteriori indagini, pacificamente, su iniziativa di altri soggetti a ciò istituzionalmente preposti”.

3.1 Parte resistente assume che correttamente la Corte d’Appello abbia ritenuto interrotto il nesso causale tra quanto emerso nella riunione del 25 gennaio 2005 e quanto successivamente sviluppatosi, in ragione della circostanza per cui il maresciallo B. si è semplicemente limitato ad attenersi alle legittime e doverose richieste del suo superiore in grado eseguendo un ordine dalla cui inadempienza sarebbero derivate sanzioni sia civili che penali. Del resto era proprio il superiore in grado, quale ufficiale al comando della Compagnia, il soggetto a cui competeva in via esclusiva l’esercizio di ogni determinazione di natura disciplinare: tant’è vero che ad escludere il nesso causale concorrono pure le indagini disposte dal Ma., ad esito delle quali scaturisce addirittura un capo di imputazione diverso da quello desumibile dalle sole relazioni incriminate.

3.1.1 Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. Non è possibile ravvisare una violazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto la valutazione delle risultanze probatorie postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva. La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 3149/19) ha già avuto modo di chiarire come una questione di falsa applicazione non possa porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: eventualità, questa, che non ricorre affatto nella vicenda in esame. Al contrario, questo motivo anela ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo giudizio di merito, in cui ridiscutere tanto il contenuto di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria. Quanto ai profili attinenti alla pretesa violazione degli artt. 40 e 41 c.p., il motivo è infondato.

Sul punto, si deve fare riferimento alla già richiamata pronuncia di questa Corte (Cass., 3 n. 11898/16), secondo la quale la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato, se non quando essa possa considerarsi calunniosa. Infatti, pur se la fattispecie concreta oggetto della pronuncia or ora richiamata non è perfettamente sovrapponibile a quella qui considerata, le conclusioni alle quali essa perviene continuano ad essere valide, se solo si pensa che la posizione del B., nella catena degli antecedenti e conseguenti in cui si snoda l’evoluzione causale, è precedente rispetto alla posizione di denunciante ricoperta dal tenente Ma.. Resta assorbita, in tal modo, la questione circa la pretesa violazione dell’art. 2043 c.c..

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.000 (oltre Euro 200 per esborsi) in favore di Zurich Public Insurance Limited Compagny ed in Euro 4.200, oltre Euro 200 per esborsi in favore di B.A., in entrambi i casi computati gli accessori di legge e le spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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