Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6586 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 09/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3/2019 proposto da:

MOTOR TECNICA SRL, IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BORGOGNONA 47, presso lo

studio dell’avvocato GIANLUCA BRANCADORO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ERNESTO GIARDINO;

– ricorrente –

contro

FCA ITALY SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI N. 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO TREVISAN, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SERGIO SPERANZA,

ANTONELLA VALENTI, e ROMANO VALENTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 949/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Motor Tecnica s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo convenne in giudizio la FCA ITALY s.p.a. (già Fiat Auto s.p.a.) per sentir dichiarare l’illegittimità della risoluzione del rapporto di concessione di vendita di autoveicoli che era stata intimata dalla convenuta nel luglio 2009 e per sentir condannare la FCA al risarcimento dei danni quantificati in 8,3 milioni di Euro;

la convenuta resistette alle domande e richiese, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento di oltre 1.122.000,00 Euro;

espletata c.t.u. contabile, il Tribunale di Torino dichiarò la legittimità della risoluzione contrattuale e rigettò la richiesta risarcitoria avanzata dall’attrice, accogliendo invece la domanda riconvenzionale della FCA;

la sentenza è stata integralmente confermata dalla Corte di Appello di Torino, sulla base dei seguenti rilevi:

non era fondato il motivo di gravame volto ad ottenere l’ammissione della prova testimoniale, in quanto tale richiesta istruttoria era stata implicitamente rigettata nel corso del giudizio di primo grado e non era stata riproposta al momento della precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale, di talchè doveva ritenersi abbandonata e non riproponibile in sede di appello;

erano corrette “le valutazioni svolte dal primo giudice secondo il quale il mancato pagamento dell’ultima rata dei debiti scaduti di cui al piano di rientro concordato (pari a 700.000 Euro), unitamente al mancato pagamento dei debiti maturati per le forniture avvenute tra marzo e aprile 2009, costituivano elementi seri e concreti per far dubitare della capacità della concessionaria di adempiere alle obbligazioni nascenti dal contratto di concessione”; era altresì “legittima la sospensione delle forniture di auto nuove a favore della concessionaria essendo evidente la situazione di difficoltà di pagamento da parte della Motor Tecnica”, tanto più in considerazione della “condotta tenuta da Motor Tecnica che acquisiva da vari clienti, in tutto o in parte, delle autovetture e poi non provvedeva alla relativa consegna”;

non risultavano assunti dalla Fiat impegni formali di concessione di ulteriori dilazioni o di accettazione di una fideiussione a prima richiesta a garanzia del pagamento dei debiti; nè risultava fondato l’addebito circa la mancata erogazione, da parte della Fiat, di un finanziamento per il trasferimento della concessionaria nella nuova sede di (OMISSIS);

circa i crediti vantati dalla appellante nei confronti della controparte, “dagli atti processuali destinati a circoscrivere il thema decidendum non emerge(va) una precisa allegazione nè dei crediti pretesi nè dei titoli a fondamento degli stessi”; tale specificazione, omessa nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, era stata effettuata soltanto con la memoria successiva, quando “ormai erano scattati i termini di preclusione processuale per la definizione del thema decidendum”;

quanto alla domanda riconvenzionale proposta da Fiat Auto (“indicata come risarcimento del danno e/o azione surrogatoria a seguito della cessione di crediti da parte dei singoli clienti” cui la società attrice non aveva consegnato veicoli in parte o in tutto pagati), “la prima udienza sarebbe stata il primo momento processuale utile per contestare tale domanda” che, al contrario, “è stata contestata tardivamente e in maniera del tutto generica solo nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., di Motor Tecnica mediante eccezione di nullità della domanda per mancata indicazione di petitum e causa petendi (elementi che invece erano presenti) e per mancata prova derivante dal doc. 14 di controparte contenente l’elenco dei clienti e i relativi importi”; cosicchè “la contestazione della domanda specifica proposta in via riconvenzionale è stata ritenuta correttamente tardiva da parte del primo giudice”;

ha proposto ricorso per cassazione la Motor Tecnica s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo, affidandosi a quattro motivi; ha resistito, con controricorso, l’intimata FCA Italy s.p.a.; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione “del combinato disposto degli artt. 187,189 e 244 c.p.c., per mancata ammissione della prova per testimoni nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello ritenuto tacitamente rinunciate le istanze istruttorie formulate da Motor Tecnica”: sostiene la ricorrente che “l’omesso richiamo in sede di precisazione delle conclusioni alle istanze istruttorie formulate nel corso del giudizio, non sia condotta di per sè sufficiente a farne conseguire la rinuncia o l’abbandono” potendo il giudice “ritenere rinunciate le istanze istruttorie solo qualora sussistano elementi espliciti, che dimostrino in maniera chiara la rinuncia della parte alla richiesta formulata in corso di giudizio”;

il motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento di legittimità secondo cui “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poichè, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello” (Cass. n. 25157/2008; conformi Cass. n. 16290/2016, Cass. n. 19352/2017, Cass. n. 5741/2019, Cass. n. 15029/2019; cfr. anche Cass. n. 10748/2012 e Cass. n. 3229/2019);

non appare pertinente il richiamo compiuto dalla ricorrente all’orientamento giurisprudenziale – parimenti consolidato – secondo cui, affinchè una domanda possa ritenersi presuntivamente abbandonata dalla parte, non basta la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, occorrendo accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, non emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (cfr., per tutte, Cass. n. 3593/2010); tale orientamento concerne, infatti, le domande ed eccezioni di merito (rispetto alle quali si pone, in effetti, la necessità di una valutazione della complessiva condotta della parte funzionale all’accertamento della volontà dalla medesima espressa in sede di precisazione delle conclusioni) e non anche lo specifico ambito delle istanze istruttorie, per le quali la presunzione di abbandono trova adeguato fondamento nel fatto che, a fronte del rigetto avvenuto in corso di giudizio, la parte non le abbia riproposte all’atto della precisazione delle conclusioni, in tal modo prestando acquiescenza al provvedimento reiettivo;

col secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1206,1375,1453,1454,1455,1460 c.c., “per avere la Corte ritenuto legittima la risoluzione dei contratti di concessione da parte di FCA”: la Motor Tecnica assume che la decisione impugnata “è palesemente errata, posto che il comportamento tenuto dalla FCA ha legittimato in capo a Motor Tecnica un errato affidamento” circa la prosecuzione del rapporto contrattuale e sostiene che la motivazione è basata – “con un ragionamento eccessivamente “formalistico – sul singolo inadempimento senza estendere la valutazione alla complessiva attuazione del programma negoziale perseguito dalle parti”; tanto premesso, la ricorrente sostiene che “la condotta di controparte integra la fattispecie dell’abuso del diritto” e che “il rimedio tipico di cui può avvalersi la parte che ha subito l’abusivo esercizio del diritto ad opera del titolare non può che essere quello risarcitorio ex art. 2043 c.c., tenuto conto dell’illegittimo comportamento posto in essere dalla convenuta negli anni antecedenti alla risoluzione dei contratti di cessione, oltre che dei danni subiti da Motor Tecnica per essere stata costretta a ricercare con i propri creditori una composizione dello stato di crisi tramite lo strumento del concordato preventivo”;

il motivo è inammissibile, in quanto, senza individuare specifici errori di diritto in relazione alle norme richiamate nella rubrica, appare volto, nella sostanza (a dispetto della prospettazione del vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), a contestare la valutazione degli elementi che la Corte territoriale ha considerato idonei a giustificare la scelta risolutiva da parte dell’odierna intimata, in tal modo sollecitando a questa Corte un proprio e diverso accertamento di merito inibito in sede di legittimità; nè appaiono conferenti le deduzioni in punto di abuso del diritto che, oltre a prospettare una chiave di lettura della vicenda avente connotati di evidente novità (la sentenza non ne tratta e la ricorrente non indica se, come e quando abbia introdotto il tema nelle fasi di merito), incorre nella già ritenuta inammissibilità conseguente alla natura fattuale del sindacato complessivamente richiesto a questa Corte;

il terzo motivo (che denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., nonchè vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) censura la Corte di Appello per avere “ritenuto inammissibile la domanda relativa ai crediti maturati da Motor Tecnica nei confronti di FCA”, contestando l’affermazione secondo cui l’allegazione delle pretese ragioni di credito era stata effettuata in modo generico e non era valsa a sanare il vizio la specificazione effettuata con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, dopo che erano maturate le preclusioni per la definizione del thema decidendum;

il motivo è infondato: la Corte di merito non è incorsa nella lamentata confusione fra thema decidendum e thema probandum, ma, rilevata la genericità dell’originaria allegazione attorea, ha correttamente ritenuto tardiva la specificazione intervenuta in sede di seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 (destinata alla replica alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, alla proposizione di eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e all’indicazione dei mezzi di prova e alle produzioni documentali); nè vale a inficiare la valutazione di genericità il passaggio dell’atto di citazione trascritto dalla ricorrente, atteso che il mero riferimento a importi dovuti “a titolo di premi di produzione e fatture emesse dall’odierna attrice e ad oggi rimaste inevase” non vale ad individuare in modo specifico l’oggetto della pretesa e a porre la controparte in condizione di avere contezza dell’oggetto della domanda avversaria e di prendere posizione rispetto ad essa;

col quarto motivo (che denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.), la ricorrente censura la sentenza “per avere la Corte di Appello ritenuto tardive le contestazioni svolte da Motor Tecnica sui fatti allegati da FCA a sostegno della propria domanda riconvenzionale”, così pervenendo a confermare l’accoglimento di tale domanda “- non già perchè provata da FCA – ma solo sull’assunto secondo cui Motor Tecnica avrebbe contestato tardivamente la domanda, così da rendere processualmente accertati i fatti posti a fondamento della stessa, in forza del disposto di cui all’art. 115 c.p.c.”: assume che la domanda era stata contestata “in modo omnicomprensivo” già all’udienza di prima comparizione e che a ciò aveva fatto seguito la contestazione dettagliata compiuta, previo esame dei documenti prodotti da controparte, nella prima e nella terza memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6; esclude pertanto che i fatti posti a fondamento della riconvenzionale potessero essere ritenuti provati in quanto non contestati, ai sensi dell’art. 115 c.p.c.;

il motivo è inammissibile per incompletezza della censura, che non investe adeguatamente la ratio decidendi, basata (per quanto detto sopra in relazione alle ragioni della decisione) sul rilievo che la domanda era stata contestata “tardivamente e in maniera del tutto generica solo nella memoria ex art. 183 c.c., di Motor Tecnica”; invero, a fronte del rilievo di una duplice ragione di inefficacia della contestazione, conseguente sia alla tardività che alla genericità, la ricorrente ha censurato solo il profilo della tardività senza contestare adeguatamente quello della genericità;

dal che consegue che, anche a voler ritenere tempestiva la contestazione svolta con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, il rilievo (non censurato) della sua genericità vale – da solo – a fondare la conclusione dell’applicabilità del principio di cui all’art. 115 c.p.c. (che esclude la necessità di provare i fatti “non specificamente contestati”);

in conclusione, il ricorso dev’essere – nel complesso – rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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