Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6585 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 06/11/2020, dep. 10/03/2021), n.6585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10185/2018 proposto da:

CONGREGAZIONE DI GESU’ E MARIA DEGLI ANGELI, in persona del legale

rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINA

FUNDARO’, ed elettivamente domiciliato presso lo studio della

medesima in Palermo viale delle Alpi 6, pec:

antonellafund.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

OPERA PIA ISTITUTO S. LUCIA ISTITUZIONE PUBBLICA DI ASSISTENZA E

BENEFICENZA, in persona del legale rappresentante rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPINA MONTEROSSO, e con la medesima

elettivamente domiciliato in ROMA, in via GERMANICO 172 (ST.

OZZOLA), presso lo studio dell’avvocato TIZIANA MONTEROSSO, pec:

giuseppinamonterosso.pecavvpa.it;

– controriccrrente –

avverso la sentenza n. 2404/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Congregazione di Gesù e Maria degli Angeli (di seguito Congregazione) convenne in giudizio davanti al Tribunale di Palermo, con citazione del 25/10/2004, l’Opera Pia Istituto Santa Lucia (ci seguito Opera Pia) per sentir pronunciare la risoluzione, per inadempimento dell’ente convenuto, della convenzione stipulata in data 27/7/2000 e modificata con successivo accordo del 4/7/2002 con la quale l’ente le aveva affidato, per la durata di cinque anni, a partire dall’anno scolastico 2000-2001, l’organizzazione e la gestione dell’attività scolastica e di assistenza da svolgersi presso un immobile di proprietà dell’Opera Pia. A fondamento della domanda l’attrice rappresentò che l’Opera Pia si era resa inadempiente all’obbligo assunto contrattualmente di partecipare ai costi di gestione dell’attività nella misura pattuita al fine di garantirne l’economicità ed altresì all’obbligazione assunta di provvedere alla manutenzione straordinaria dell’immobile, dai quali inadempimenti erano derivati alla Congregazione danni per un importo molto significativo, di cui chiedeva il ristoro. L’Opera Pia si costituì in giudizio contestando la domanda e svolgendo domanda riconvenzionale per sentir pronunciare la risoluzione della convenzione per inadempimento della Congregazione, responsabile a suo dire di non aver consentito la rendicontazione trimestrale delle rette e di aver procurato, con la sua mala gestio, un importante danno all’immagine della scuola. Nel corso del giudizio di primo grado la Congregazione chiese ed ottenne in via d’urgenza la condanna della convenuta al pagamento di una parte perfino eccedente le somme dovute.

2. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 6/11/2010, preso atto che nel corso del giudizio le somme dovute contrattualmente erano state pagate perfino in eccedenza, revocò l’ordinanza ex art. 700 c.p.c., emessa in favore della Congregazione e la condannò a restituire la somma eccedente quale saldo dei compensi per l’anno scolastico 2004-2005; accertò che la convenzione doveva intendersi sciolta per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c., alla fine dell’anno scolastico 2004-2005 e rigettò entrambe le domande di risoluzione avanzate dalle parti, quella principale della Congregazione e quella riconvenzionale dell’Opera Pia.

3. La Corte d’Appello di Palermo, adita dalla Congregazione in via principale e dall’Opera Pia in via incidentale, con sentenza n. 2404 del 19/12/2017, ha rigettato entrambi gli appelli modificando solo il capo di sentenza sulle spese, di cui ha disposto la compensazione. Nel merito, per quanto ancora qui di interesse, ha accertato che: nella logica della convenzione, il criterio di economicità della gestione di ai all’art. 9 era riferito non all’intero contenuto dell’accordo ma alla sola previsione del pagamento dell’indennizzo integrative che l’Opera Pia si era obbligata a corrispondere alla Congregazione per l’ipotesi di non raggiungimento di un numero sufficiente di allievi per classe; che dall’accordo era chiaro che la Congregazione aveva assunto un rischio in proprio nei riguardi del pagamento del personale e della gestione sicchè il rapporto non poteva essere qualificato qua e “mandato”; che correttamente il giudice di prime cure aveva interpretato la convenzione ai sensi dell’art. 1367 c.c., quale criterio di conservazione del contratto e che aveva correttamente svolto una valutazione unitaria dei comportamenti delle parti in relazione al sinallagma contrattuale, concludendo per la impossibilità di pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento dell’uno o dell’altro contraente; che vi erano i presupposti per dichiarare lo scioglimento del contratto per mutuo consenso al termine dell’anno scolastico 2004/2005; che vincolo negoziale doveva ritenersi risolto, come correttamente affermato dal primo giudice, per mutuo consenso alla fine dell’anno scolastico 2004/2005, non ostando a tale dichiarazione il lamentato ma insussistente vizio di ultrapetizione, potendo il giudice ritenere accertato un accordo risolutorio anche in assenza di una espressa manifestazione di volontà delle parti; ha confermato la sentenza di primo grado sul rigetto dell’azione di negotiorum gesti perchè introdotta tardivamente e perchè comunque non configurabile in presenza di un rapporto contrattuale, così come ha confermato il rigetto della domanda di arricchimento senza causa; ha confermato altresì il rigetto della domanda di danni per inadempimento dell’obbligo di manutenzione straordinaria dell’immobile.

3. Avverso la sentenza la Congregazione ha preposto tempestivo ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, ha resistito l’Opera Pia con controricorso.

5. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.. In vista dell’adunanza la parte resistente ha depositato memoria mentre il Procuratore Generale presso questa Corte non ha concluso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è diviso in due diverse censure. Con la prima si deduce omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: natura pubblica dell’Ipab, fini istituzionali o e statutari, obbligazioni dell’Ipab nei confronti del Comune di Palermo; mezzi per adempiere ai fini istituzionali, natura privata della Congregazione, fini istituzionali della stessa, assenza di mezzi e patrimonio; mancata manutenzione degli immobili e adeguamento rette. In sostanza il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia valutato solo l’art. 9 della convenzione ed il punto 2 dell’accordo integrativo senza considerare i fatti omessi indicati nell’epigrafe ed in particolare lo statuto dell’Ipab Santa Lucia, lo statuto della Congregazione, un verbale di constatazione di inadempimento del 12/12/2001, la rilevanza dei rapporti con il Comune di Palermo.

La seconda censura – violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., della L. n. 697 del 1890, L.R. Sicilia n. 22 del 1986, artt. 20 e 23 e art. 1363 c.c., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – lamenta la violazione delle disposizioni indicate in epigrafe e l’omessa pronuncia su fatti rilevanti di cui al precedente motivo.

1.1 Le censure sono inammissibili per plurimi e distinti profili.

Innanzitutto sono prive di specificità e non allegano “fatti” pretermessi dalla motivazione. E’ noto, infatti, che l’omesso esame di un fatto storico oggetto di discussione tra le parti afferisce, nella prospettiva dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a fatti, dati materiali, episodi fenomenici rilevanti e alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio (Cass., 1, n. 5133 del 5/3/2014, Cass., 1, n. 7983 del 4/4/2014; Cass., S.U., n. 8053 del 7/4/2014) mentre non assume rilievo, ai fini del sindacato di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione o valutazione di singole risultanze istruttorie (Cass., S.U., n. 8053 del 7/4/2014; Cass., n. 23782/2017).

La Corte d’appello, nell’esaminare i motivi di gravame, ha specificamente affrontato, da un lato, la questione devoluta alla sua cognizione della nullità della convenzione “per illiceità della causa ed impossibilità dell’oggetto”, ritenendo di escludere dalla causa negoziale, alla stregua del disposto delle clausole convenzionali (in particolare degli artt. 5 e 9 convenzione 27.7.2000; punto 2 atto integrativo 5.7.2002), la traslazione del rischio economico della gestione sull’IPAB (in quanto il criterio cd. di economicità della gestione veniva ad operare come ipotesi residuale, definendo(una obbligazione indennitaria in caso di frequenza di alunni per classe inferiore a 25); dall’altro lato, ha esaminato il contenuto delle convenzioni pervenendo alla qualificazione del rapporto come “contratto per la gestione di un’attività, nella specie scolastico-assistenziale, da svolgersi in piena autonomia e con assunzione di rischio a carico dell’Ente gestore” (cfr. sentenza appello in motiv. pag. 7).

Orbene, rileva il Collegio che la mera trascrizione parziale della convenzione, accompagnata dalla allegazione dell’asserito incompleto esame delle disposizioni negoziali da parte del Giudice di merito, non assolve evidentemente alla indicazione del “fatto storico primario o secondario” che fonda la censura prospettata in relazione al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo possibile porre alcuna equivalenza tra il fatto ed il documento, là dove, come nella specie, la parte ricorrente intenda denunciare non l’aspetto fenomenico dell’atto negoziale (parti, data, luogo, stipula, sottoscrizione), che bene può inserirsi, come descrizione di accadimento storico, nella ricostruzione della fattispecie concreta, ma piuttosto criticare la rilevazione del contenuto negoziale del documento, e dunque l’attività di giudizio volta a riconoscere gli effetti giuridici voluti dalle parti contraenti, censura del tutto differente ed estranea alla ipotesi prospettata della omessa considerazione di un fatto decisivo, e che invece avrebbe dovuto essere supportata dalla specifica indicazione delle norme di diritto violate e dalla indispensabile argomentazione critica volta a dimostrare perchè e come il ragionamento giuridico della Corte d’appello fosse da ritenere contrario alte norme regolative della fattispecie giuridica astratta od alle norme della ermeneutica contrattuale.

La mera trascrizione parziale della convenzione, accompagnata dalla allegazione dell’asserito incompleto esame delle disposizioni negoziali da parte del Giudice di merito, è inidonea altresì ad assolvere al requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), ed indispensabile a fondare la seconda censura dedotta con il primo motivo di ricorso, essendo del tutto carente (ricorso pag. pag. 17) la argomentazione critica volta ad evidenziare l’asserito errore in diritto che inficia la sentenza impugnata.

Osserva il Collegio, per un verso, che il nesso di derivazione – subordinata istituito dalla stessa ricorrente (ricorso pag. 16, I.15) tra il precedente vizio di omessa considerazione del fatto storico ed i vizi di “error juris”, elimina alla radice la rilevanza di questi ultimi negata “ab origine” dalla inammissibilità della censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; per altro verso: la censura ex art. 115 c.p.c., non sottende altro che la deduzione del medesimo vizio per errore di fatto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per di più genericamente denunciato; la asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., non è sostenuta dalla indicazione dello specifico motivo di gravame sul quale la Corte d’Appello non avrebbe pronunciato; difetta del tutto, poi, quanto alla dedotta violazione dell’art. 1363 c.c., l’apparato critico del motivo, inteso ad evidenziare in che modo il Giudice di merito avrebbe operato una interpretazione atomistica anzichè complessiva delle clausole negoziali; quanto poi alla tesi adombrata dalla ricorrente e neppure adeguatamente svolta nelle due censure (ma consistente in sostanza nell’assumere che l’Opera Pia in quanto Ipab avesse finalità pubblicistiche e che la Congregazione fosse una mera mandataria nell’ambito di un rapporto trilatero con il Comune di Palermo che erogava i fondi) è prospettata al fine ci ottenere da questa Corte un inammissibile riesame del merito delle questioni ed una diversa e più appagante interpretazione delle scritture.

In terzo luogo le censure sono inammissibili perchè non correlate alla ratio decidendi in quanto la Corte d’Appello ha statuito in ordine alla infondatezza della dedotta “nullità della convenzione per illiceità della causa e dell’oggetto” alla stregua dei criteri ermeneutici ex art. 1362 c.c. e la censura non investe tale ragione di decisione.

La censura ex art. 115 c.p.c., sottende poi la deduzione di un vizio per errore di fatto e non è svolta correttamente perchè non è indicato motivo di gravame su cui la Corte d’Appello non avrebbe pronunciato e difetta del tutto l’apparato critico inteso ad evidenziare l’errata applicazione del criterio ermeneutico negoziale utilizzato dalla Corte del gravame.

2. Con il secondo motivo di ricorso – omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguardo agli inadempimenti documentati e accertati per violazione degli artt. 112,115 c.p.c., L.R. Sicilia n. 22 del 1986, artt. 19 e 23 ed art. 1173 c.c. – la ricorrente sostiene che la Corte d’appello non ha considerato i comportamenti inadempienti dell’IPAB come attestati dalle indagini svolte anche in sede di ATP che dimostravano la impossibilità di offrire migliori servizi che avrebbero evitato le ingenti esposizioni debitorie dell’ente ricorrente.

2.1 Il motivo è inammissibile.

Il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità si palese inammissibile tutte le volte in cui – come nel caso in esame – l’esposizione contestuale degli argomenti a sostegno delle diverse censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente, di ciascuna di esse: in tal caso, infatti, le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., non potendo evidentemente sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass. Sez. 1, n. 19443 del 23/09/2011; Cass., Sez. 1, n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come Emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., Sez. 3, n. 18241 del 23/11/2003, Cass., Sez. 1, n. 22499 del 19/10/2006; Cass., Sez. 1, n. 5353 del 08/03/2007; Cass., Sez. 3, n. 18421 del 19/08/2009; Cass., Sez. 1, n. 19443 del 23/09/2011; Cass., 3, n. 3248 del 02/03/2012; Cass., 6-3, n. 7009 del 17/03/2017).

Nella specie vengono cumulati nel motivo di ricorso plurimi profili di illegittimità attinenti a vizi ontologicamente diversi, senza, tuttavia, che nella parte espositiva delle ragioni giuridiche a sostegno del motivo vengano distintamente specificate le critiche riferibili a ciascuna delle singole censure formulate, non essendo dato al Collegio definire, pertanto, lo stesso oggetto del sindacato di legittima.

Il motivo è altresì inammissibile in quanto non si confronta con la “ratio decidendi” (sent. app. pag. 12), secondo cui difetta un nesso di derivazione eziologica ex art. 1223 c.c., tra gli inadempimenti di IPAB relativi agli obblighi di manutenzione straordinaria derivanti dalle convenzioni: trascritti a pag. 19-20 ricorso – ed i danni lamentati dall’ente ricorrente.

Il Giudice territoriale ha infatti ritenuto che: a) gli inadempimenti – e le condizioni dell’edificio attestate dalle indagini tecniche svolte in primo grado – non avevano impedito il regolare svolgimento del servizio scolastico (il riferimento all’anno scolastico 2005-2005 deve intendersi meramente indicativo della prosecuzione fino a tale data del servizio scolastico: peraltro l’ente gestore non indica neppure se nei precedenti anni scolastici il servizio avesse subito interruzioni od impedimenti); b) danni patrimoniali lamentati dall’ente ricorrente concernevano debiti contratti con i propri dipendenti o fornitori dunque, secondo il Giudice di appello, non erano eziologicamente ricollegabili all’inadempimento delle obbligazioni dell’IPAB aventi ad oggetto la manutenzione straordinaria dell’edificio. Orbene, la censura si palesa inammissibile in quanto alcuna idonea critica viene svolta dalla parte ricorrerne in ordine alla errata applicazione delle norme che regolano la relazione causale tra evento lesivo-inadempimento e danno conseguenza.

3. Con il terzo motivo – violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 e del n. 3, con riguardo agli artt. 112,115 c.p.c., artt. 1372 e 1458 c.c. – la ricorrente si duole che la sentenza abbia ritenuto che la risoluzione si fosse verificata per mutuo consenso, postergandola alla fine dell’anni) scolastico, con ciò cadendo in vizio di extra petizione, in quanto nessuna delle parti aveva domandato di pronunciare in questo senso. Ciò sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che accerti d’ufficio la risoluzione per mutuo consenso allorquando le parti abbiano chiesto vicendevolmente la risoluzione per inadempimento colposo e la rispettiva condanna al risarcimento.

3.1 Il motivo è infondato. I giudici del merito hanno accertato, con motivazione immune da censure, che le parti avevano espresso con i loro comportamenti una concorde volontà di porre fine al rapporto contrattuale alla fine dell’anno scolastico 2005/2006 e tale accertamento è stato compiuto in forza della più recente giurisprudenza di questa Corte che legittima l’accertamento d’ufficio della volontà delle parti nel senso dello scioglimento del contratto per mutuo dissenso quale fatto oggettivamente estintivo (ex multis Cass., n. 10201 del 20/6/2012: “La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d’ufficio dal giudice pure in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto”; Cass., 1, n. 6125 del 17/3/2014; Cass., L, n. 16339 del 4/8/2015; Cass., L, n. 23586 del 28/9/2018). Nè vale argomentare nel senso dell’illegittimità per extrapetizione di una pronuncia di risoluzione per mutuo consenso (perchè le parti non avevano chiesto la risoluzione per mutuo consensi) ma ciascuna la risoluzione per inadempimento dell’altra). Questo accertamento preclude, peraltro, la pronuncia ci risoluzione per inadempimento per fatti successivi all’avvenuto scioglimento del vincolo negoziale che nel caso di specie è stata correttamente rigettata (Cass., 3, n. 3360 del 13/11/1972; Cass., 2n. 5065 del 29/4/1993; Cass., 1, n. 7270 del 6/8/1997; Cass., 2n. 17503 del 30/8/2005; Cass., 3, n. 15264 del 4/7/2006; Cass., 3, n. 27999 del 31/10/2019; Cass., 3, n. 27999 del 31/10/2019).

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2028 e 2031 c.c. – la ricorrente censura il capo di sentenza che ha escluso i presupposti per la configurabilità della gestione di affari. L’ente ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riferito la cessazione del rapporto al termine dell’anno scolastico 2004/2005 quando avrebbe dovuto anticipare tace cessazione alla data della domanda di risoluzione proposta dalla Congregazione, sicchè l’attività del servizio svolto nel periodo successivo doveva essere regolata esclusivamente dall’art. 2028 c.c., in quanto integrante una “negotiorum gestio”, essendo venuto meno il titolo convenzionale.

4.1 Il motivo è inammissibile in quanto, attraverso la denuncia dell’errore di diritto viene invece a supporre l’errore di fatto che i Giudice di merito avrebbe commesso rilevando il perfezionamento del mutuo dissenso, ossia della comune volontà risolutiva del rapporto, manifestata dalle parti contraenti in relazione al termine di cessazione del servizio concordato per la conclusione dell’anno scolastico 2004-2005. Trattasi, intatti, di accertamento in fatto (sindacabile per cassazione esclusivamente in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), costituente il presupposto ricostruttivo della fattispecie concreta che precede ed a cui segue l’attività di sussunzione nello schema normativo astratto prescelto dal Giudice come regola giuridica adeguata alla produzione degli effetti giuridici intesi a disciplinare il rapporto.

5. Con il quinto motivo – violazione dell’art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Documentato indebito arricchimento – l’impugnante censura la sentenza laddove ha escluso l’arricchimento senza causa dell’Opera Pia.

5.1 Il motivo è inammissibile perchè non investe la ratio decidendi per cui, essendo stato il rapporto, fino al termine dell’anno scolastico 2004/2005 disciplinato dalla convenzione, non poteva ravvisarsi il presupposto dell’azione residuale ex art. 2041 c.c..

Per il resto il motivo riproduce una serie di prove documentali richiedendone la inammissibile valutazione in sede di legittimità, senza neppure specificare quali siano i vantaggi e corrispondentemente le spese di cui Opera Pia avrebbe dovuto farsi carico e che sarebbero, invece, state sostenute dalla Congregazione.

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata a pagare in favore di parte resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 13.000, oltre Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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