Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6585 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2448-19 proposto da:

A.V., rappresentato e difeso dall’avv. Lara Petracci,

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Porto

Sant’Elpidio, via Adige n. 113;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO elettivamente domiciliato in ROMA, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona depositata il 9

luglio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/1/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 1278/18, pubblicata il 9 luglio 2018, confermando l’ordinanza di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione in tutte le su forme, proposta da A.V., cittadino proveniente dall’Edo State in Niger, che ha riferito di essere stato avvicinato da affiliati della setta degli (OMISSIS), i quali gli avevano intimato di aderire all’associazione e di scrivere i nomi dei propri figli quale atto di iniziazione; a seguito del suo rifiuto la moglie ed i figli erano scomparsi ed il ricorrente era stato minacciato di morte. La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato la mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, rilevando sia la vaghezza e genericità, sia la mancanza di credibilità del racconto, evidenziando che i fatti narrati dal richiedente risultano in contrasto con le informazioni disponibili ed il modus operandi della setta degli (OMISSIS).

La Corte ha inoltre escluso il pericolo di un danno grave alla persona del richiedente in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè la sussistenza, nell’area di provenienza del rifugiato, di una situazione di violenza generalizzata, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità del richiedente.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, il richiedente asilo.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente, per essersi la sentenza impugnata limitata ad affermare, tautologicamente, che i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria dovevano ritenersi esclusi dalla stessa narrazione della ricorrente, ma senza indicare le ragioni del diniego.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, infatti, da un lato ha rilevato che ai fini della protezione sussidiaria, nel caso in cui la minaccia grava provenga da un soggetto non statuale è necessario che lo stato o le sue istituzioni non possano o non vogliano fornire protezione, dall’altro ha messo in rilievo la scarsa credibilità del racconto del ricorrente, ritenuto incoerente e lacunoso, oltre che incompatibile con le informazioni disponibili sulla setta degli (OMISSIS).

La Corte ha altresì messo in evidenza che la narrazione risultava inverosimile anche con riferimento alla circostanza dell’abbandono, da parte del richiedente, della propria famiglia, esposta ai medesimi rischi. Il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla valutazione di non credibilità del ricorrente.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, a fronte della statuizione della Corte territoriale, che, con apprezzamento adeguato, confermando la pronuncia del primo giudice, ha escluso la credibilità del richiedente, non vengono dedotti specifici elementi idonei ad inficiare la valutazione suddetta.

Il terzo motivo denuncia violazione ed errata applicazione di norme di legge, e con esso il ricorrente deduce la carente valutazione dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria e di quella umanitaria e lamenta, in particolare, che la Corte abbia omesso di effettuare ogni accertamento rispetto alla mancata protezione da parte dei soggetti pubblici cui è demandata la funzione della pubblica sicurezza.

Ad avviso del ricorrente,inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso di effettuare i dovuti accertamenti, sia in riferimento alla situazione di violenza generalizzata dell’area di provenienza del richiedente D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sia in ordine all’esistenza di una situazione di vulnerabilità, meritevole di protezione umanitaria.

Il motivo, che si articola in distinte censure, è inammissibile.

La Corte territoriale, infatti, come già evidenziato, ha escluso la credibilità del richiedente.

Orbene, come questa Corte ha già affermato, qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso, circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Del pari inammissibile, per genericità, la seconda censura, con la quale si deduce il mancato esercizio del dovere di cooperazione officiosa, in relazione alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il ricorrente si limita infatti a censurare, in via del tutto generica, l’accertamento della Corte territoriale, che, nell’escludere la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto armato, ha richiamato le fonti specifiche già indicate dal tribunale.

A fronte di tale accertamento, il ricorrente ha del tutto omesso di indicare le fonti e le informazioni idonee ad evidenziare una situazione caratterizzata da un tale grado di violenza indiscriminata da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 13858 del 31.5.2018).

Quanto infine al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione a tale forma di protezione, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente, che va specificamente delineata nei suoi elementi costitutivi.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 2.100,00 Euro per compensi, oltre a spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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