Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6584 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 26/10/2020, dep. 10/03/2021), n.6584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29257/2018 proposto da:

COMUNE CARONNO PERTUSELLA, in persona del sindaco pro tempre,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANANTONIO TESTA, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Como via

Giulini n. 12, pec: gianantoniotesta.como.avvocati.it;

– ricorrente –

contro

VITTORIA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati EBE NANNEI e MICHELE

NANNEI, e con i medesimi elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MONTE ZEBIO, 32, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

VANNICOLA, pec: ebe.nannei.milano.pecavvocati.it,

avv.michelenannei.pec.it;

– controricorrerte –

e contro

EDILGARBA IN LIQUIDAZIONE SRL, F.G.E.,

R.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3172/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Caronno Pertusella stipulò con la società Edilgarba srl in data 9/2/2006 una convenzione urbanistica avente ad oggetto “l’attuazione del Programma Integrato di Intervento ai sensi della L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12” relativo ad aree site nel Comune di (OMISSIS).

La convenzione prevedeva che la società Edilgarba srl, proprietaria delle aree, realizzasse direttamente e cedesse al Comune, a scomputo degli oneri di urbanizzazione, sia le opere di urbanizzazione primaria per l’importo di Euro 232.462,57 sia quelle di natura secondaria per complessivi Euro 972.048,02, e che realizzasse anche altre opere pubbliche analiticamente descritte in un allegato alla convenzione. Il tutto entro un termine di 24 mesi dall’approvazione del Piano Integrato da parte del Comune. La stessa convenzione prevedeva, a garanzia dell’impegno assunto, la stipula di una polizza fideiussoria per un importo corrispondente ai costi, polizza stipulata con la Vittoria Assicurazioni SpA.

A fronte di un inadempimento di Edilgarba srl il Comune manifestò la volontà di escutere la polizza relativa alle opere di urbanizzazione primaria e, non ottenendo il pagamento, agì in monitorio ottenendo un decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 232.465,57. La Vittoria propose opposizione ed il Comune si costituì in giudizio. La Vittoria Assicurazioni, nei termini dell’art. 183 c.p.c., comma 6, modificò le domande e sostenne l’intervenuta estinzione del diritto azionato in via monitoria dal Comune per compensazione tra le poste di dare ed avere tra il Comune stesso e la società Edilgarba srl e l’estinzione della garanzia ai sensi dell’art. 1251 c.c..

2. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1840 del 2015, ritenne rituale l’eccezione di compensazione formulata dalla Vittoria nei termini ex art. 183 c.p.c., in quanto il credito opposto in compensazione era sopravvenuto nel corso del giudizio ma la ritenne infondata perchè opposta non ad un credito pecuniario del Comune ma ad un diritto relativo ad una “prestazione di facere”.

3. La Vittoria Assicurazioni SpA propose appello e, nel contraddittorio con il Comune, la Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 3172 del 27/6/2018, ha accolto l’appello ritenendo, per quanto ancora rileva in questa sede, che nulla fosse dovuto dalla compagnia Vittoria per il titolo dedotto in causa e revocò il decreto ingiuntivo, annullando le residue disposizioni. In motivazione la corte territoriale ha preso atto della intervenuta compensazione tra debiti e crediti tra il Comune e la Edilgarba srl ed ha aderito all’impostazione difensiva della Vittoria Assicurazioni secondo la quale l’obbligazione garantita non era, come ritenuto dal primo giudice per escludere la compensazione, un’obbligazione di facere ma un’obbligazione di dare e cioè di pagare gli oneri di urbanizzazione, a scornputo della quale, e cioè in sostituzione dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, l’impresa edilizia avrebbe potuto, come contrattualmente stabilito dalla convenzione, eseguire le opere di urbanizzazione con una “datio in solutum” ex art. 1197 c.c.. A sostegno di questa tesi il giudice ha interpretato la normativa di riferimento ritenendo, a fronte dell’obbligazione originaria consistente nell’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione, la possibilità di liberarsi dall’obbligazione con una dati in solutum, sulla quale le parti possono convenire fin dall’inizio del rapporto e non soltanto nella fase esecutiva del medesimo.

Una volta affermata la natura giuridica di prestazione di dare dell’obbligazione relativa agli oneri di urbanizzazione e la sua omogeneità rispetto all’obbligazione del Comune di restituire ad Edilgarba srl i costi di costruzione relativi ai lotti rinunciati, è corretta ad avviso del giudice la disposta compensazione tra i due controcrediti con estinzione totale del debito della società Edilgarba per oneri di urbanizzazione, annullandosi fino alla loro concorrenza le due poste reciproche di dare e di avere. La compagnia Vittoria, dunque, ha correttamente eccepito ai sensi dell’art. 1945 c.c., la compensazione sul presupposto che il contratto stipulato con la compagnia non fosse un contratto autonomo di garanzia ma una fideiussione in senso tecnico, in mancanza di una clausola “a prima richiesta”.

All’esito del giudizio la corte territoriale ha posto le spese del doppio grado del giudizio a carico del Comune.

4. Avverso la sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito la Vittoria Assicurazioni con controricorso.

5. La causa è stata fissata alla trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., in vista della quale entrambe le parti hanno presentato memoria mentre il P.G. non ha concluso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo – illegittimità della sentenza n. 3172 del 2018 della Corte d’Appello di Milano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del T.U. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16 e degli artt. 1362 e 1363, nonchè dell’art. 1197 c.c., in luogo dell’art. 1285 c.c., con riguardo alla convenzione urbanistica del 9/2/2006 – il Comune sostiene che non vi sia stata una “datio in solutum” ma una obbligazione alternativa, in quanto il concessionario aveva la libertà di scegliere come adempiere l’obbligazione alternativa disciplinata dall’art. 1285 c.c.. Nelle obbligazioni alternative il momento centrale è costituito dalla scelta tra le due o più prestazioni dedotte di guisa da rendere unica la prestazione oggetto del rapporto. In presenza di un’obbligazione di facere e della disomogeneità tra le prestazioni dedotte in compensazione, la compensazione non poteva operare e la garanzia invece, in quanto riferita ad una obbligazione di facere, doveva considerarsi pienamente operativa. Sulla base di questi presupposti il ricorrente chiede la cassazione in parte qua dell’impugnata sentenza.

1.1 Il motivo è infondato. Per scrutinarlo occorre interpretare del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16, comma 2, laddove afferma che il privato può obbligarsi ad eseguire direttamente i lavori “a scomputo” parziale o totale del contributo pubblico (prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost., come più volte affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato). E’ un’obbligazione unica con possibili prestazioni alternative e quindi facoltativa: già ab origine (diversamente dal rapporto con obbligazioni alternative) le due prestazioni sono convergenti come forme di adempimento della medesima ed unica obbligazione verso il Comune.

L’obbligazione è unica e corrisponde ad una prestazione patrimoniale imposta ed è in relazione a tale unica obbligazione che la Vittoria ha rilasciato garanzie. Non è dato infatti ravvisare due distinte obbligazioni (alternative) le cui vicende possono essere indipendenti l’una dall’altra: nel senso che la scelta, la impossibilità o il venire meno di una obbligazione, determina la concentrazione dell’adempimento sull’altra. Ed infatti se, in ipotesi, viene meno l’obbligazione di pagamento del contributo edilizio al Comune (ad es. perchè la società rinuncia al titolo edificatorio), l’altra obbligazione di facere (ossia di costruire le opere di urbanizzazione) non rimane in vita, ma viene meno l’intero rapporto. Ciò denota che si tratta non di obbligazioni autonome e distinte ma di diverse modalità di esecuzione delle prestazioni inerenti l’adempimento della medesima obbligazione.

Vi è un’unica obbligazione il cui adempimento definisce l’intero ambito dell’interesse sostanziale della pretesa creditoria, trovando detto interesse eguale soddisfazione, indifferentemente, dalla esecuzione di una od altra prestazione, che possono essere differenti per caratteristiche e contenuto, potendo quindi divergere la stessa natura (dare, facere, praestare) delle condotte richieste al debitore ed attraverso le quali egli consegue la liberazione dall’unica obbligazione cui è vincolato: pertanto nella obbligazione cd. facoltativa le diverse prestazioni sono in rapporto di esclusione-incompatibilità o di sostituzione reciproca, in quanto è sufficiente la esecuzione di una soltanto di esse a determinare la piena soddisfazione dell’interesse creditorio (se eseguo l’una non può sopravvivere l’altra, essendosi estinta la obbligazione: viceversa la mancata esecuzione dell’una – ad esempio perchè resasi oggettivamente impossibile – obbliga il debitore ad eseguire l’altra se vuole liberarsi dalla obbligazione).

Nelle obbligazioni alternative, invece, vi è un fascio di rapporti debito-creditori cumulati nello stesso titolo, a ciascuno dei quali corrisponde una diversa singola obbligazione preordinata alla soddisfazione di uno solo dei distinti interessi sostanziali del creditore, sicchè l’adempimento di tutte le distinte obbligazioni derivanti dal titolo permane possibile fino alla “scelta” rimessa, salvo patto contrario, al debitore, che concentra l’oggetto del rapporto in un’unica obbligazione, con la conseguenza che, in seguito alla “scelta”, una sola obbligazione deve essere adempiuta, mentre tutte le altre, pure originariamente considerate dal titolo, vengono definitivamente accantonate dalle parti e rimangono, per così dire, “legittimamente” inadempiute (finchè non interviene con l'”atto di scelta” la concentrazione, rimane attuale il complesso dei vincoli obbligatori scaturente dal titolo, sicchè, in ipotesi, il debitore sarebbe tenuto ad eseguire le prestazioni relative a ciascuna delle obbligazioni autonome coesistenti, in quanto dirette a soddisfare interessi creditori distinti: dopo la scelta il rapporto originariamente complesso si trasforma in semplice, concentrandosi la condotta doverosa del debitore esclusivamente sull’adempimento di un’unica obbligazione, non potendo ipotizzarsi un inadempimento delle altre obbligazioni, perchè l’interesse del creditore cui è preordinata la esecuzione della prestazione del debitore è soltanto quello corrispondente alla obbligazione prescelta).

Nel caso in esame la norma di cui al T.U. Edilizian. 380 del 2001, art. 16, individua, al comma 1, un’unica obbligazione di natura pecuniaria, ponendo a carico del titolare del permesso di costruire il pagamento di un “contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonchè al costo di costruzione”, da determinarsi in base a criteri di computo prestabiliti in relazione alle distinte componenti (art. 16, comma 4: quota relativa agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria; art. 16 comma 9: quota relativa al costo di costruzione). Il diritto di credito corrispondente a detta obbligazione, trova il suo fondamento nell’interesse pubblico dell’ente locale a “disporre tempestivamente delle somme dovute dai privati, onde poter procedere alla realizzazione delle necessarie infrastrutture di urbanizzazione” (Cons. St., Ad. plen., sentenza, 7.12.2016 n. 24). Pur se nell’ambito di un rapporto cd. paritetico, in quanto non vi è esercizio di potere autoritativo discrezionale della PA, la prestazione patrimoniale imposta al privato non si pone in rapporto di sinallagmaticità con il rilascio del provvedimento di natura autorizzatoria “ad aedificandum”, atteso che non vi è corrispondenza tra la entità del contributo ed il costo delle singole opere di urbanizzazione in concreto richieste dall’immobile edificando, atteso che gli oneri riconducibili alla Amministrazione pubblica in materia di assetto organizzativo del territorio, sono in ogni caso maggiori – e gravano sulla fiscalità generale – in quanto scontano la esigenza di programmazione della sistemazione delle opere, degli impianti e dei servizi necessari alla urbanizzazione della intera zona nella quale si inserisce anche il nuovo fabbricato.

L’art. 16, comma 2 del T.U. Edilizia non modifica la struttura unitaria della obbligazione pecuniaria posta a carico del privato (“La “quota di contributo” relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 2, comma 5 e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”), prevedendo piuttosto una sorta di surrogazione reale della prestazione di facere (costruzione delle opere di urbanizzazione) alla prestazione di dare avente ad oggetto il “quantum” monetario. L’interesse creditorio della PA permane immutato: quelle che si modifica convenzionalmente è soltanto la facoltà accordata al privato di poter adempiere e quindi estinguere la obbligazione avente ad oggetto il contributo di edificazione, attraverso una modalità di esecuzione “specifica”, diversa da quella ordinaria “per equivalente”, con effetto estintivo della obbligazione, che è e rimane unica avuto riguardo alla pretesa creditoria.

La esegesi del testo normativo secondo cui il privato “puo” obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione”, con la stipula di un atto d’obbligo o di una convenzione urbanistica – nella quale vengono indicate dal Comune le modalità e garanzie per la esecuzione dei lavori -, non consente di pervenire alla conclusione dell’ente ricorrente secondo cui la facoltà prevista dalla legge integra la assunzione di una nuova obbligazione che si aggiunge, coesistendo unitamente, a quella ex lege avente ad oggetto il pagamento del contributo (relativamente alla quota inerente alle opere di urbanizzazione). Già soltanto dall’analisi del piano fenomenico e strutturale del rapporto come delineato dalla norma, difetta del tutto l’elemento della coesistenza originaria od anche successiva di autonome e distinte obbligazioni derivanti del medesimo titolo e suscettibili di essere entrambe adempiute finchè il debitore non opera la “scelta” ex art. 1286 c.c. Ed infatti: a) non è dato riscontrare quella pluralità di interessi sostanziali diversi, riferibili al medesimo creditore, alla soddisfazione di ognuno dei quali è diretto l’adempimento di ciascuna delle obbligazioni; b) difetta ancora l’elemento della autonomia delle singole obbligazioni, in quanto, teoricamente, separatamente eseguibili in modo indipendente l’una dall’altra, senza cioè che l’adempimento dell’una spieghi alcun effetto anche solo riflesso o di condizionamento sulla possibilità di adempimento dell’altra; c) neppure è dato convenire nella assimilazione – ipotizzata dal Comune – dell’atto di assunzione d’obbligo (o della stipula della convenzione), all’esercizio della “scelta rimessa al debitore” ex art. 1286 c.c. (su tale premessa l’ente locale intenderebbe ravvisare lo schema della obbligazione alternativa, con la conseguenza della non compensabilità, per disomogeneità, del credito per prestazione di facere sulla quale si è concentrata la obbligazione scelta dal debitore ed il controcredito per prestazione di dare vantato da Edilgarba s.r.l.). Tale ipotesi argomentativa svolta dal Comune non viene, peraltro, sviluppata fino alle estreme conseguenze, non aver do specificato il ricorrente se la obbligazione avente ad oggetto la costruzione delle opere debba ritenersi preesistente (e dunque coesistente “ab origine” in alternativa alla obbligazione di pagamento del contributo) o, invece, insorga soltanto con la stipula della convenzione urbanistica. Occorre rilevare, infatti, come, in quest’ultimo caso, verrebbe a negarsi quel momento di autonomia riservato alla scelta discrezionale del debitore rispetto ad un – preesistente – vincolo che impone come dovute entrambe le prestazioni riferite a ciascuna delle singole obbligazioni poste in alternativa, dovendo piuttosto riconoscersi nella fattispecie prospettata dal ricorrente, una modifica pattizia del preesistente rapporto obbligatorio, con effetto sostitutivo-novativo della precedente obbligazione pecuniaria (avente ad oggetto il pagamento del contributo).

Ma allora, se così fosse, in caso di inadempimento della obbligazione di “facere”, l’ente locale non potrebbe più “fare rivivere” l’altra “obbligazione” pecuniaria ed agire per il pagamento del contributo (per la quota relativa alle opere di urbanizzazione), con la conseguenza che l’ente locale avrebbe a disposizione soltanto l’azione di risarcimento danno per inadempimento ex art. 1218 c.c., della convenzione, non potendo pretendere dal debitore la sostituzione ex lege della prestazione di facere inadempiuta con la prestazione patrimoniale imposta: ed il credito risarcitorio vantato dall’ente locale nei confronti Edilgarba s.r.l. inadempiente alla convenzione, qualora liquidabile nell’importo predeterminato, corrispondente per ammontare all’indennizzo assicurato dalla polizza fidejussoria prestata da Vittoria Assicurazioni s.p.a. (e nella specie allo stesso ammontare degli oneri di urbanizzazione: così è dato evincere dalla sentenza di appello, in motivazione, pag. 7 e dal ricorso, pag. 14), sarebbe pur sempre un credito pecuniario, in quanto tale suscettibile di compensazione. Dunque, anche nella ipotesi formulata calla difesa del Comune, dall’inadempimento del titolare del permesso di costruire all’obbligazione di facere, residuerebbe, comunque, un credito dotato dei requisiti previsti dall’art. 1241 c.c. e art. 1243 c.c., comma 1, risultando confermata la correttezza in diritto della soluzione della controversia adottata dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata.

Indipendentemente dall’evidenziata difficoltà in cui incorre la tesi difensiva nel ravvisare una originaria obbligazione alternativa in cui la scelta del debitore coincide con la stipula della convenzione o dell’atto d’obbligo, ritiene il Collegio che la tesi del ricorrente non possa trovare, comunque, accoglimento alla stregua proprio dalla lettera della disposizione dell’art. 16, comma 2 del T.U. Edilizia, che pone un inequivoco testuale collegamento funzionale tra la “causa” della prestazione di dare e la “causa” della prestazione di facere, disponendo che la seconda può essere eseguita dal debitore “A scomputo totale o parziale della quota dovuta….”, così introducendo una sostanziale equivalenza dell’interesse dell’ente locale creditore destinato ad essere soddisfatto con la esecuzione di

una delle due prestazioni. Si è infatti in presenza di un unico e medesimo interesse sostanziale del Comune, volto ad acquisire la partecipazione patrimoniale del privato, titolare del permesso di costruire, agli oneri economici che gravano sull’Amministrazione pubblica per la realizzazione delle opere indispensabili alla urbanizzazione della zona sulla quale insiste anche l’immobile edificando: rimane poi del tutto indifferente per il Comune se il privato si risolva a contribuire a tali oneri mediante il pagamento di una somma di denaro o invece mediate la esecuzione diretta delle opere. Non si verifica, pertanto, alcuna coesistenza tra due condotte entrambe dovute dal debitore in quanto riferibili a distinte ed obbligazioni suscettibili di autonomo e contemporaneo adempimento (finchè non interviene l’atto di scelta), ma proprio in quanto la prestazione di facere viene a corrispondere – sovrapponendosi in misura totale o parziale – alla realizzazione del medesimo interesse creditorio, altrimenti egualmente soddisfatto mediante il versamento del contributo in denaro, viene in questione più propriamente l’istituto della obbligazione facoltativa cui accede la figura della “datio in solutum” (ove si ritenga di individuare l’elemento differenziale di quest’ultima nell’accordo successivo anzichè originario, tra creditore e debitore, in ordine alla prestazione sostituibile in luogo dell’adempimento originariamente previsto), con la conseguenza che, se unica deve ritenersi la obbligazione che deve essere adempiuta dal titolare del permesso di costruzione, con facoltà di esecuzione alternativa di plurime prestazioni, la mancata o sopravvenuta impossibilità – imputabile a fatto del debitore – di esecuzione della prestazione di facere, cui il creditore ha dato consenso, non legittima detto creditore ad esperire i mezzi di tutela contro l’inadempimento di tale prestazione, ma rende, invece, attuale e persistente l’obbligo del debitore di adempiere l’altra diversa prestazione di dare, in quanto satisfattiva del medesimo interesse creditorio, determinandosi, soltanto qualora anch’essa rimanga ineseguita per fatto imputabile al debitore, il definitivo inadempimento ex art. 1218 c.c..

La ricostruzione della fattispecie descritta dall’art. 16 T.U. Edilizia, come sopra delineata, trova conferme, peraltro, sia nella giurisprudenza di questa Corte che, nelle convenzioni di lottizzazione, ha rinvenuto “un accordo endoprocedimentale di diritto pubblico”, voto al conseguimento dell’autorizzazione urbanistica o edilizia, che non risponde allo schema del contratto a prestazioni corrispettive, mancando tra le stesse una corrispondenza di natura negoziale, venendo a configurarsi tra le diverse prestazioni di dare e di facere una “datio in solutum”, atteso che l’obbligazione, relativa all’esecuzione delle opere concordate con l’ente territoriale si estingue solo al momento della realizzazione delle medesime (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16533 del 22/06/2018); sia nella giurisprudenza del Giudice amministrativo che, argomentando “a contrario” rispetto alla diversa natura giuridica della componente del contributo costituita dal “costo di costruzione” – in ordine alla quale difetta una analoga previsione come quella del T.U. n. 380 del 2001, art. 16, comma 2, relativa agli oneri di urbanizzazione, ritiene invece applicabile agli oneri di urbanizzazione l’istituto della “datio in solutum” che “consiste nell’accordo negoziale fra creditore e debitore circa l’effettuazione, con effetto estintivo dell’obbligazione, di una prestazione diversa da quella originariamente dedotta in contratto: come tale, l’istituto è espressione della disponibilità del diritto (e del sovrastante rapporto obbligatorio)” e consente, quindi, al Comune – quale amministrazione pubblica locale – di avvalersi “della generale disciplina apprestata dal comma in discorso, afferente alla realizzazione diretta, da parte del privato, delle opere di urbanizzazione” secondo “le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” che “sono solo quelle strettamente afferenti alla concreta esecuzione delle opere de quibus (tempistica, modalità costruttive, qualità dei materiali, et similia)” (cfr. Cons. Stato Sez. IV, sentenza 31.12.2019 n. 8919).

Venendo all’esame della fattispecie concreta, Edilgarba s.r.l. avrebbe potuto estinguere il debito verso il Comune, avente ad oggetto il contributo edilizio, adempiendo alla obbligazione, sia mediante il pagamento in moneta, sia mediante la realizzazione delle opere: non avendo la società dato compiuta esecuzione ai lavori di realizzazione delle opere, avrebbe dovuto adempiere alla obbligazione eseguendo l’altra prestazione pecuniaria. In mancanza della esecuzione anche di tale prestazione, pure dedotta “in solutione”, la società è rimasta definitivamente inadempiente alla originaria ed unica obbligazione avente ad oggetto il contributo edilizio.

In conseguenza deve ritenersi corretta in diritto, la decisione della Corte d’appello che ha ravvisato le caratteristiche di omogeneità, prescritte dall’art. 1243 c.c., nella natura dei reciproci debiti opposti in compensazione, da Edilgarba s.r.l. (avente ad oggetto il pagamento del residuo importo della quota di oneri di urbanizzazione inerenti al contributo dovuto per il rilascio del permesso di costruire) e dal Comune (avente ad oggetto il pagamento in restituzione dell’importo versato dalla società a titolo di “costo di costruzione” relativo a permessi edificatori che non erano stati più rilasciati in quanto inerenti ad altri lotti inutilizzati), risultando infondata la pretesa del Comune volta ad escutere la polizza fidejussoria, essendosi già estinto, per compensazione, il credito principale a garanzia del quale era stata emessa.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione degli artt. 1362,1363 c.c., per errata qualificazione giuridica della polizza fideiussoria stipulata in data 27/10/2005, violazione e falsa applicazione degli artt. 1936,1945 e 1247 c.c. (opposizione del fideiussore della compensazione del debito del creditore verso il debitore principale) – il ricorrente si duole che la corte di merito abbia qualificato la garanzia come fidejussione in senso stretto (con la conseguente possibilità per il fideiussore di sollevare eccezioni in ordine al rapporto garantito) anzichè quale contratto autonomo di garanzia.

3.1 Il motivo è inammissibile sotto il profilo dell’autosufficienza in quanto il ricorrente non riporta per esteso il testo della clausola di cui all’art. 6CG della polizza fideiussoria da cui, a suo dire, emergerebbe la frattura dell’accessorietà della garanzia rispetto all’obbligazione principale (essendo comunque irrilevante ai fini della qualificazione l’esclusione del beneficium excussionis). E’ vero che la sentenza della Corte d’Appello è molto scarna sul punto, limitandosi ad estrapolare una parte della clausola di cui all’art. 6CG senza una lettura integrale e sistematica della polizza, ma il ricorrente, profondendosi a riportare la giurisprudenza di questa Corte sulla garanzia autonoma e sulla sua funzione (e quindi sulla mancata opponibilità di fatti inerenti l’obbligazione principale, come la compensazione) non dice in concreto quali elementi strutturali della clausola o quali espressioni letterali (asseritamente mal interpretate dal giudice di merito) convergano nella qualificazione di garanzia autonoma e non di mera fideiussione; nè tantomeno assolve alla corretta esposizione della critica dei criteri ermeneutici quali applicati dalla Corte d’Appello: affronta la questione dell’interpretazione solo a p. 29 del ricorso ma in modo del tutto apodittico e senza dare spiegazioni delle ragioni della critica.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione dell’art. 91 c.p.c., per la liquidazione delle spese come liquidate in primo grado e rideterminate in appello (ove Edilgarba e gli altri chiamati F. e Ru. erano rimasti contumaci) in seguito alla riforma della sentenza di prime cure – il ricorrente sostiene che, essendo stati chiamati tutti i terzi da Vittoria Assicurazioni SpA con azione di regresso e non avendo il Comune proposto domande nei loro confronti, il Comune non sarebbe tenuto a rifondere loro le spese di lite.

4.1 Il motivo è infondato in quanto la sentenza ha deciso il regime delle spese in modo conforme alla giurisprudenza di questa corte secondo la quale “le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (Cass., 2, n. 23123 del 17/9/2019; Cass., 3, n. 31889 del 6/12/2019)”.

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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