Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6582 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. I, 28/02/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 28/02/2022), n.6582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25331/2020 proposto da:

Fondo Pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana in

Liquidazione, in persona dei liquidatori pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 146, presso lo studio

dell’avvocato Mocci Ernesto, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati Brugnatelli Francesco, Ichino Pietro, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

nonché contro

Covivio S.A., quale incorporante per fusione la Beni Stabili S.p.a.

S.I.I.Q., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via V. Colonna n. 39, presso lo

studio dell’avvocato Erede Sergio, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocato Daino Paolo, Salvaneschi Laura, giusta

procura speciale per Notaio Marie-Pierre Cayroche di Parigi del

9.11.2020;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Fondo Pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana in

Liquidazione, in persona dei liquidatori pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 146, presso lo studio

dell’avvocato Mocci Ernesto, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati Brugnatelli Francesco, Ichino Pietro, giusta procura

in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 725/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 05/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Fondo Pensioni per il personale della Banca commerciale italiana (breviter Fondo Comit), all’esito di apposita procedura competitiva, selezionava l’offerta presentata dalla società Beni Stabili s.p.a. per un prezzo pari a 1.062.000.000,00 EUR per l’acquisizione dell’intero capitale della società che sarebbe risultata beneficiaria del conferimento del patrimonio immobiliare del Fondo medesimo.

Detta società veniva costituita con atto del 21 aprile 2006, con la denominazione di Immobiliare Fortezza s.r.l..

Con successivo atto del 10 giugno 2006 veniva deliberato un aumento di capitale della costituita società conferitaria fino a complessivi 1.062.000.000,00 EURO, da liberarsi mediante conferimento in natura dell’intero portafoglio immobiliare di proprietà del socio unico Fondo Comit. A tanto veniva dato seguito con atto del 10 luglio 2006, che approvava la sottoscrizione dell’aumento del capitale deliberato e la relativa liberazione mediante stipulazione da parte del Fondo Comit dell’atto di conferimento di svariati immobili, per un valore complessivo corrispondente a 1.062.000.000,00 EURO in base ad apposita relazione di stima della società di revisione incaricata.

L’atto di conferimento scontava l’imposta di registro in misura fissa, avendo il Fondo Comit chiesto di avvalersi dell’agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 5.

Il successivo 13 luglio 2006 il Fondo Comit cedeva per il prezzo di 1.062.000.000,00 EURO l’intera propria partecipazione nella conferitaria Immobiliare Fortezza alla società BS Immobiliare 1 s.r.l., con la precisazione che “costi, spese e tasse della presente negoziazione” sarebbero state a carico di BS Immobiliare.

Ne derivava un contenzioso con l’Agenzia delle entrate, la quale notificava alle parti un avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta complementare di registro nella misura proporzionale, giacché a suo dire la complessa operazione doveva configurarsi come un unico procedimento volto a realizzare, nella sostanza, l’effetto economico-giuridico di una vendita degli immobili dal Fondo Comit alla società Beni Stabili.

Il contenzioso fiscale, dopo alterne pronunce – di rigetto del ricorso delle contribuenti, da parte della commissione tributaria provinciale, e di accoglimento, invece, da parte della commissione tributaria regionale -, portava alla cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado favorevole alle due parti.

In particolare la sezione tributaria di questa Corte, con sentenza n. 25484 del 2015, cassava la decisione della commissione tributaria regionale ribadendo il principio per cui “in tema di imposta di registro, la prevalenza che il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, attribuisce alla “intrinseca natura ed agli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, impone, nella relativa loro qualificazione, di considerare preminente la causa reale e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, seppure mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali o di singole operazioni, non rivelandosi decisiva, in ipotesi di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto; cosicché il caso del conferimento di azienda con contestuale cessione, in favore di un socio della conferitaria, delle quote ottenute in contropartita dal conferente, veniva a fini fiscali inquadrato all’interno di un’operazione di carattere unitario configurabile come cessione di azienda, secondo i termini giuridici della questione tutti (già) desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20.

In pendenza del giudizio di rinvio le parti concludevano un accordo conciliativo con l’Agenzia delle entrate, obbligandosi a pagare la somma di 110.326.165,31 EURO per imposte di registro, ipotecarie e catastali, oltre interessi; e tale somma veniva in effetti pagata nella misura del 50% da entrambe.

Il Fondo Comit notificava a questo punto, alla società Beni Stabili, nell’aprile 2017, una domanda di arbitrato chiedendo, in base al contratto inter partes, la restituzione della somma da lui pagata.

La società replicava formulando una domanda riconvenzionale di tenore esattamente opposto, chiedendo a sua volta la restituzione della medesima quota.

Con lodo del 26 settembre 2018 il collegio arbitrale respingeva le domande del Fondo Comit e, ritenendola “assorbita nella precedente statuizione”, rigettava pure la domanda riconvenzionale di Beni Stabili.

Il lodo veniva impugnato con azione di nullità da parte del Fondo.

Si costituiva la Covivio s.a., con sede in Francia, quale incorporante di Beni Stabili, svolgendo un’impugnazione incidentale quanto all’omessa pronuncia sulla (o comunque all’immotivato rigetto della) domanda riconvenzionale.

La corte d’appello di Milano ha dichiarato la nullità del lodo in accoglimento del secondo motivo formulato dal Fondo e del motivo di impugnazione incidentale della Covivio; dopodiché, in fase rescissoria, ha respinto entrambe le domande con diversa motivazione rispetto a quella degli arbitri, compensando per intero le spese processuali. Avverso la sentenza, depositata il 5 marzo 2020, il Fondo Comit ha proposto ricorso per cassazione deducendo cinque motivi.

L’intimata Covivio ha replicato con controricorso e ha proposto un motivo di ricorso incidentale, al quale il ricorrente ha replicato con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

1. – E’ rilievo preliminare che nel controricorso in replica al ricorso incidentale il Fondo Comit ha eccepito che l’avversa procura speciale sarebbe nulla per contrasto con l’art. 122 c.p.c., in quanto l’autentica notarile su essa apposta è redatta in lingua inglese e non è accompagnata da traduzione italiana.

L’eccezione è infondata perché secondo la giurisprudenza di questa Corte l’art. 122 c.p.c., comma 1, nel prevedere che in tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana, si riferisce ai soli atti processuali e non anche agli atti prodromici al processo, come la procura, per i quali ultimi vige il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (cfr. Cass. Sez. U n. 26937-13, Cass. Sez. U n. 1871-20). Nella concreta fattispecie la procura speciale è stata ritualmente depositata dalla difesa di Covivio, in data 10 maggio 2021, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., con traduzione asseverata dell’autentica notarile (all. X della menzionata parte).

2. – Il ricorso principale è articolato nei seguenti cinque mezzi:

(i) violazione o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, e/o dell’art. 829 c.p.c., comma 3, per avere la corte d’appello ritenuto che la decisione arbitrale, benché formalmente richiamando l’art. 1374 c.c., sia stata assunta secondo diritto anziché secondo equità, nonostante che all’evidenza mancasse il presupposto sostanziale per il ricorso all’equità contrattuale;

(ii) violazione o falsa applicazione dell’art. 276 c.p.c., art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 c.p.c., per avere la sentenza ritenuto che il lodo arbitrale contenesse una statuizione implicita sull’ammissibilità della domanda riconvenzionale della società Beni Stabili, non impugnata dal Fondo Comit e come tale coperta dal giudicato;

(iii) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e artt. 15 e 16 att. c.c. per avere la sentenza ritenuto comunque ammissibile la pretesa creditoria di Covivio ai fini del giudizio rescissorio, nonostante quella pretesa fosse stata svolta fuori dalla procedura paraconcorsuale del Fondo;

(iv) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., essendo stato interpretato il contratto inter partes (in particolare l’art. 12.7) senza il rispetto dei relativi criteri di ermeneutica;

(v) violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1470 e 1475 c.c., per essere stata assunta la fattispecie nello schema del collegamento negoziale anziché in quello, individuato dalla comune predeterminazione alla realizzazione dell’interesse economico unitario, del contratto di compravendita, ai fini della individuazione del soggetto gravato dall’obbligazione tributaria.

III. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale la società Covivio a sua volta denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1298 c.c., per avere la corte territoriale, in sede rescissoria, trascurato di considerare che gli oneri fiscali dell’operazione, conseguenti al disconoscimento delle agevolazioni richieste dal Fondo Comit, non potevano che gravare sul Fondo medesimo, dovendosi tener conto della realtà economica dell’operazione nel suo complesso. E in questo senso la società Covivio assume che l’art. 1298 implicherebbe una necessitata coerenza tra la regolamentazione dei rapporti interni tra i coobbligati e la sottostante realtà economica, onde evitare o prevenire pagamenti, arricchimenti e impoverimenti non sorretti da giusta causa, in contrasto con l’assetto degli interessi sottostanti le operazioni concordate.

IV. – Il primo motivo del ricorso principale è in parte infondato e in parte inammissibile.

La corte d’appello di Milano ha respinto il motivo di nullità del lodo, che era stato prospettato dal Fondo Comit in relazione all’art. 829 c.p.c., n. 4, ritenendo che il collegio arbitrale non avesse assunto la decisione secondo equità, sebbene secondo diritto, esattamente come previsto dalla clausola compromissoria inserita nel contratto preliminare: specificamente gli arbitri avevano deciso, a dire della corte d’appello, in applicazione dell’art. 1374 c.c., a mezzo cioè della cd. equità integrativa.

Dopodiché ha rettamente osservato che l’errore in ordine al presupposto applicativo del ricorso all’equità integrativa, di cui all’art. 1374, e cioè il fatto che mancasse una diversa disciplina legale o pattizia tale da legittimare l’integrazione del contratto, configurava non la decisione di equità ma, al più, una errata decisione di diritto; relativamente alla quale peraltro l’errore non sarebbe stato deducibile mediante l’azione di nullità del lodo, stante il regime restrittivo vigente in base all’art. 829 c.p.c., comma 3.

V. – L’assunto di parte ricorrente è invece che il richiamo all’equità contrattuale (integrativa) ai sensi dell’art. 1374 c.c. sarebbe stato utilizzato dagli arbitri “come schermo dietro al quale malcelare una vera e propria decisione equitativa”.

Per questa parte l’affermazione è però assertiva e implica una diversa ricostruzione della portata della pronuncia arbitrale non assistita dal necessario livello di autosufficienza.

In termini generali è pacifico che l’equità richiamata dall’art. 1374 c.c., costituisce un elemento sussidiario per derivare dalle norme contrattuali elementi apprezzabili al fine di determinare i limiti e il contenuto delle obbligazioni contratte.

Il riferimento all’equità in casi simili non va inteso come richiamo di norme extragiuridiche di un giudizio secondo equità, in luogo della pronuncia secondo diritto, bensì come indice del dover essere il contratto valutato secondo corretti criteri di logica giuridica, per la determinazione della sua portata normativa obbligatoria ma integrandone il regolamento mediante la fonte (integrativa appunto o) sussidiaria idonea al puntuale adattamento della norma al caso concreto (v. già Cass. n. 1189-65 e poi, ex aliis, Cass. n. 6356-97). In tale prospettiva l’equità opera nell’ambito della medesima norma giuridica, e s’inquadra in un giudizio di diritto che resta tale anche laddove sia errata la valutazione del presupposto.

Questa Corte ha sottolineato che non è causa di nullità del lodo per mancata decisione secondo le norme di diritto il ricorso, da parte degli arbitri, all’equità, non come regola alternativa di giudizio, ma come criterio di interpretazione secondo buona fede e di integrazione della volontà negoziale, giacché tale criterio può legittimamente trovare luogo anche in sede di giudizio di diritto (v. Cass. n. 1496-01).

E tanto la corte d’appello ha affermato esser avvenuto nel caso concreto, senza con ciò cadere nel vizio denunciato.

VI. – Ben vero il Fondo Comit esprime anche una diversa tesi a sostegno della propria censura.

La tesi è che ricondurre la fattispecie a semplice violazione di legge sarebbe in casi simili paradossale, perché, tenuto conto del limite posto dall’art. 829 c.p.c., comma 3, alla deduzione dell’errore di diritto dei lodi arbitrali, ciò porterebbe a dire che gli arbitri sono liberi – alla fine del discorso – di decidere secondo equità semplicemente invocando, ancorché erroneamente, l’art. 1374 c.c..

L’affermazione, della quale pur non si nega una certa qual forza suggestiva, non è concludente poiché astratta dal contesto.

Nulla difatti autorizza a ritenere che tale sia stata la logica (distorta) con la quale gli arbitri hanno fatto ricorso all’equità menzionando nella fattispecie l’art. 1374 c.c..

Anzi, l’impugnata sentenza sta a confermare esattamente il contrario, e cioè che il riferimento del lodo non aveva affatto sancito l’adozione del criterio equitativo in sé e per sé considerato.

Ne consegue che la censura della ricorrente imporrebbe di sindacare, in questa prospettiva, la modalità di decisione degli arbitri al di là delle risultanze della sentenza emessa in sede di impugnazione del lodo, quando invece è affermazione giurisprudenziale costante che la Corte di cassazione non può esaminare direttamente la pronuncia arbitrale, ma solo la decisione emessa nel giudizio di impugnazione, per verificare se essa sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione costì prospettati (v. Cass. n. 852898, Cass. n. 7588-99, Cass. n. 1496-01, Cass. n. 12462-03, Cass. n. 8694-04).

VII. – Possono essere a questo punto esaminati unitariamente il quarto e il quinto motivo del ricorso principale e il motivo unico del ricorso incidentale.

Tutti questi motivi attengono al giudizio rescissorio, posto che invece nessuna specifica censura è svolta contro i capi della sentenza che hanno ritenuto sussistenti i profili di nullità del lodo.

La nullità del lodo è stata invero dichiarata sotto due profili implicanti altrettante carenze strutturali della decisione degli arbitri:

(a) perché, come sostenuto nel secondo motivo del Fondo Comit, la questione dell’individuazione del soggetto onerato era stata risolta dagli arbitri mediante ricorso all’equità integrativa del contratto, senza però sottoporre la relativa questione al contraddittorio;

(b) perché, come dedotto dalla società Covivio, il lodo aveva pronunciato l’assorbimento e il rigetto della sua domanda riconvenzionale senza motivazione o con motivazione apparente. Dopodiché tuttavia la corte territoriale, pronunciando in rescissorio, ha comunque respinto entrambe le domande proposte dalle parti, sostanzialmente rimodulando la motivazione in diritto.

Ora la questione posta nel giudizio arbitrale, sulla quale la corte d’appello si è pronunciata in sede rescissoria, atteneva, dopo l’accordo conciliativo con l’Agenzia delle entrate, ai rapporti interni tra le due parti della complessa operazione economica.

Essa riguardava l’individuazione del soggetto tenuto a sopportare l’onere di pagamento delle imposte complementare di registro, ipotecaria e catastale, visto che queste erano state accertate come conseguenza dell’operazione ricostruita nei termini di unico procedimento volto a realizzare, nella sostanza, l’effetto economico-giuridico di una vendita degli immobili dal Fondo Comit alla società Beni Stabili, secondo il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, invocabile da parte dell’Erario.

VIII. – V’e’ da dire che la domanda proposta da Covivio è stata ritenuta ammissibile in rescissorio, perché già gli arbitri l’avevano implicitamente ritenuta tale rigettandola nel merito e perché la statuizione implicita non era stata oggetto di impugnazione da parte del Fondo, né l’eccezione di inammissibilità era stata riproposta secondo il regime dell’art. 346 c.p.c..

In ogni caso la domanda è stata ritenuta ammissibile anche ai sensi dell’art. 14 att. c.c., non essendo soggetta alla disciplina della L. Fall., artt. 207 e seg..

Queste affermazioni dell’impugnata sentenza sono censurate nel secondo e nel terzo motivo del ricorso principale, ma per le ragioni che seguono le suddette censure recedono dinanzi a quanto dalla corte d’appello ritenuto con lo scrutinio di merito.

Il ragionamento della corte d’appello, ai fini della soluzione nel merito della questione agitata in causa, si è in vero dipanato nei seguenti essenziali passaggi:

(i) la domanda proposta dal Fondo Comit, secondo cui obbligata al pagamento dell’intero ammontare dei carichi fiscali avrebbe dovuto considerarsi la società Beni Stabili (e quindi Covivio), era infondata perché l’operazione negoziale complessiva, per quanto nei confronti del Fisco equivalente (nel risultato economico) a una compravendita, tale non poteva ritenersi rispetto alle parti; le quali non avevano posto in essere atti relativamente simulati, ma avevano, invece, esattamente voluto e realizzato proprio le singole fattispecie (specificamente, per quanto rileva, il conferimento di immobili nella new.co. e la successiva cessione delle quote sociali) nel contesto di un’operazione frazionata in più atti, a loro parere suscettibili di fruire delle agevolazioni fiscali;

(ii) di conseguenza la questione della debenza delle imposte non poteva, nei rapporti tra i contraenti, essere risolta mediante il ricorso all’art. 1475 c.c., visto che l’obbligazione tributaria non era sorta in dipendenza di una vendita immobiliare, ma in dipendenza della stipulazione di tutti gli atti unitariamente (e complessivamente) considerati;

(iii) all’operazione non erano applicabili neppure le disposizioni pattizie – sia quelle dell’art. 12.7 del contratto preliminare del 19 aprile 2006, sia quelle degli artt. 12 dell’atto di conferimento e 4 del contratto di cessione delle quote societarie – perché tutte codeste supponevano il frazionamento degli oneri fiscali rispettivamente correlati al conferimento immobiliare, da un lato, (a carico del Fondo) e alla cessione della pertecipazione nella new.co. dall’altro, (a carico di Beni Stabili): vale a dire erano basate su un presupposto non verificatosi, quale quello della liquidazione delle imposte in modo distinto per i due atti;

(iv) per converso, non avendo le parti ritenuto di addivenire a specifiche pattuizioni per l’eventualità della rettifica dell’operazione come unitaria a fini fiscali (eventualità pur da esse ben considerata fin dalla preventiva acquisizione di un apposito parere professionale specialistico in materia tributaria), la questione della ripartizione interna del carico tributario avrebbe dovuto essere risolta in base alla disciplina legale dettata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57 e quindi nel contesto dell’obbligazione solidale, da completare mediante il rinvio alla presunzione di eguaglianza nella ripartizione interna dettata dall’art. 1298 c.c..

IX. – Il quarto motivo del ricorso principale, alludendo al fatto che la domanda di regresso del Fondo Comit potesse trovare fondamento, invece, nelle disposizioni contrattuali, ove intese al di là dei frammenti letterali e in vista dell’individuazione dell’intento unitario delle parti, postulano – benché sotto spoglie di asserita violazione di criteri di interpretazione – una revisione critica della risultante dell’interpretazione delle suddette disposizioni.

Come tale il quarto motivo è inammissibile, giacché l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico o di una pattuizione in esso inserita si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito. E in questi casi il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., non solo deve fare esplicito e pertinente riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione – come nella sostanza accade nella fattispecie – dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata (v. per tutte Cass. n. 9461-21, Cass. n. 27136-17).

X. – Il quinto motivo, censurando la sentenza nella parte in cui ha escluso la possibilità di individuare il soggetto tenuto al pagamento dell’intera imposta mediante il ricorso all’art. 1475 c.c., è egualmente inammissibile, perché assertivo e incentrato su un presupposto dalla corte territoriale non riscontrato in fatto: vale a dire che gli atti nei quali l’operazione aveva finito per risolversi dovessero qualificarsi come vera a propria compravendita in ragione dell’elemento dato dalla comune preordinazione alla realizzazione dell’interesse economico unitario.

Codesto assunto presupporrebbe potersi affermare l’esatta equipollenza definitoria tra l’operazione realizzata a mezzo dei plurimi atti che la corte d’appello ha ritenuto in collegamento tra loro e il contratto di vendita in sé e per sé considerato.

Ciò è errato giuridicamente, volta che la corte territoriale – con accertamento in fatto a lei istituzionalmente riservato in quanto giudice del merito (v. Cass. n. 22216-18) – ha chiaramente evidenziato che le parti avevano, invece, posto in essere una serie di operazioni (negoziali e non) tra loro comunque distinte, anche se collegate nel fine economico del trasferimento di proprietà.

Detto altrimenti, dinanzi a più atti (e non a solo contratti) tra loro distinti e caratterizzati da presupposti e cause tipiche (l’attivazione di una procedura competitiva, la costituzione di una società, l’aumento di capitale mediante conferimento in natura, la sottoscrizione dell’aumento e la cessione di quote), l’accertamento di fatto non giustifica l’inferenza sostenuta dalla ricorrente in iure, per cui ai fini delle obbligazioni tributarie (o delle spese e degli accessori) dovesse infine farsi ricorso alla disciplina unitaria dettata per la semplice compravendita immobiliare.

XI. – E’ infondato anche il motivo di ricorso incidentale.

La corte d’appello, considerato che le imposte erano state pagate a seguito di accordo conciliativo avente base nella solidarietà di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, ha ritenuto che la fattispecie dovesse risolversi secondo il principio di ripartizione egualitaria di cui all’art. 1298 c.c..

L’affermazione è corretta in diritto.

Risulta difatti che l’Agenzia delle entrate aveva notificato l’avviso di liquidazione delle imposte (complementare di registro, ipotecaria e catastale) in base al citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, secondo cui “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Tale norma, ai soli fini dell’imposta, impone il prevalere della causa reale dell’operazione sull’assetto cartolare impresso dalle parti.

Tanto la sezione tributaria di questa Corte ha più volte riconosciuto a corredo della legittimità della scelta del legislatore di privilegiare in tal modo una scelta antielusiva nei rapporti col Fisco, così da annettere maggiore rilevanza alla intrinseca natura e agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione rispetto al titolo o alla forma apparente (v. per es. Cass. n. 8655-15, Cass. n. 12774-14, Cass. n. 6405-14). Per l’appunto la menzionata scelta rileva solo ai fini fiscali, nel senso che rende inopponibile all’amministrazione finanziaria ogni diversa qualificazione giuridica che le parti intendano imprimere alle operazioni compiute, ferma restando la sua rilevanza nei rapporti tra le parti medesime.

Ne’ su ciò minimamente incide, per gli effetti sulle parti contraenti di questa causa, l’assetto fiscale attualmente discendente dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 20 citato (L. n. 145 del 2018 cd. di Bilancio per il 2019), secondo cui la possibilità di operare nel senso suddetto impone all’amministrazione finanziaria di prescindere da elementi extratestuali e da atti collegati (v. Cass. n. 722-19 e C. Cost. n. 158 del 2020).

In sostanza e in ultima analisi, quel che unicamente rileva è che la liquidazione delle imposte è nella specie avvenuta secondo le norme pro tempore vigenti del D.P.R. n. 131 del 1986, e in tema di imposta di registro la regola generale è quella della solidarietà (D.P.R. citato, art. 57, comma 1); cosa che presuppone che l’amministrazione possa infine rivolgersi per il pagamento delle imposte indifferentemente sia al venditore che all’acquirente, ove l’operazione nel suo complesso sia assunta, a fini fiscali, secondo uno schema unitario teso a realizzare l’effetto economico della vendita.

XII. – Ciò posto, la ricorrente incidentale erra nel dire che, anche ai fini del conseguente art. 1298 c.c., si sarebbe dovuto far leva sul nesso tra la regolamentazione giuridica dei rapporti interni tra condebitori solidali e la realtà economica radicata all’esito degli atti. Tale affermazione a niente serve, poiché l’art. 1298 c.c., implica che nella ripartizione interna dell’obbligazione le parti di ciascun condebitore si presumono eguali “se non risulta diversamente”.

E non può seguirsi l’assunto della difesa di Covivio, visto che da nessuna parte giustappunto è accertato (né finanche minimamente è dedotto) che vi fosse stata in causa una tal diversa risultanza impegnativa tra le parti.

Neppure sul versante delle conseguenze sul prezzo convenuto per l’acquisizione è possibile condividere la tesi della ricorrente incidentale.

La società Covivio dice che il prezzo era stato fissato in coincidenza con l’effettivo valore del complesso immobiliare acquistato, determinato in considerazione del regime fiscale applicabile all’operazione nel suo complesso.

Ma è risolutivo che una tale affermazione implica un sindacato di fatto, essendo stato dalla corte del merito adeguatamente spiegato che, invece, il prezzo era stato determinato in misura sensibilmente inferiore al valore effettivo massimo di stima del patrimonio immobiliare, e che la relazione di stima doveva esser considerata come facente leva su un valore non inciso, nel massimo, dall’eventualità dell’imposta complementare.

Ciò relega l’affermazione conclusiva di Covivio sul versante di una irrilevante opinione soggettiva, chiaramente insuscettibile di porre in crisi il ragionamento del giudice territoriale.

XIII. – In conclusione vanno rigettati tutti i citati motivi di ricorso, sia principale che incidentale.

Il loro rigetto determina l’inammissibilità per difetto di interesse dei sopra riportati restanti motivi del ricorso principale (secondo e terzo), finalizzati a sostenere l’inammissibilità della pretesa creditoria della società conferitaria.

Invero nessun vantaggio il ricorrente principale riceverebbe dallo scrutinio di tali mezzi, volta che la pretesa suddetta è stata infine correttamente respinta nel merito.

XIV. – L’esito dei ricorsi comporta la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo a ciascun ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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