Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 658 del 15/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 15/01/2021), n.658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17421-2019 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliata in ROMA, alla piazza

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE IMPERIO;

– ricorrente –

contro

AM. ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante

in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, alla via DARDANELLI n.

37, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAMPANELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO PETRONE;

– controricorrente –

E contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 477/2018 della CORTE d’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle osserva.

 

Fatto

FATTO E DIRITOO

E.F. impugna, con atto affidato a due motivi, la sentenza della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 477 del 12/11/2018, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto, di rigetto della domanda di risarcimento dei danni formulata in prime cure dalla E. nei confronti di M.M., per un dedotto investimento da parte di un cavallo nel maneggio dello stesso M..

.Resiste con controricorso Am Assicurazioni S.p.a..

La proposta del Consigliere relatore di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti. Non sono state depositate memorie.

In via preliminare il Collegio ritiene che il ricorso non presenti un’adeguata esposizione dei fatti di causa, e violi, pertanto, il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di Cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U n. 11653 del 18/05/2006 Rv. 588770 – 01). La prescrizione del requisito risponde non a un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e / o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. U n. 02602 del 20/02/2003 Rv. 560622 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il primo motivo è del tutto inammissibile con riferimento all’affermazione dell’insussistenza di un litisconsorzio processuale e alla conseguente legittimazione piena a contradire da parte dell’Am. Assicurazioni S.p.a. (Cass. n. 20552 del 30/09/2014 Rv. 632948 – 01: “Nel caso in cui il convenuto chiami un terzo in causa, esperendo nei suoi confronti una domanda di garanzia impropria fondata su un titolo diverso ed indipendente rispetto a quello posto a base della domanda principale, ove il terzo non si limiti a contrastare la domanda di manleva, ma contesti anche il titolo dell’obbligazione principale, quale antefatto e presupposto della garanzia azionata, e, quindi, la fondate della domanda proposta nei confronti del proprio chiamante, si configura una ipotesi di inscindibilità di cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di impugnazione, sicchè, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità, rilevabile d’ufficio ed anche in sede di legittimità, dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso.”), con la conseguenza che è stata ritenuta liberamente valutabile, e non vincolante, la confessione resa dal M. in sede di giudizio di primo grado, in applicazione analogica dell’art. 2733 c.p.c., comma 3.

Il secondo motivo è del pari inammissibile in quanto non localizza in alcun modo gli atti processuali sui quali assume di fondarsi e omette di dare conto di risultanze processuali (quali le dichiarazioni rese dalla E. al pronto soccorso dalle quali risultava che ella era caduta da cavallo durante una cavalcata e non era stata investita da un cavallo) desumibili da atti prodotti, come affermato in controricorso, dalla stessa parte in primo grado.

Il secondo mezzo omette, inoltre, di specificare il contenuto della censura mossa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c. Invero, affinchè si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640193 – 01: “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assena di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.”). Ne segue che il motivo, così dedotto, è privo di fondamento per ciò solo.

Il ricorso è, pertanto, per le suddette plurime ragioni, inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività processuale espletata, come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA