Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6579 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. III, 10/03/2021, (ud. 14/07/2020, dep. 10/03/2021), n.6579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23563/2018 proposto da:

A.D.M., A.S., A. & ASSOCIATED INSPECTORS

ITALIA SRL, M.M., A & A SERVICES SRL,

AI.DA.MA., A.Z.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato

CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato SILVANA RICCA;

– ricorrenti –

contro

GFE METALLE UND MATERIALIEN GMBH, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MARCHE, 1/3, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ATTERITANO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCA

ROLLA, ANTONIO BRIGUGLIO, DARIO SEMINARA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1217/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28/5/2018 la Corte d’Appello di Catania, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società GfE Metalle un Materialen GmbH e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Catania 14/1/2014, ha: a) rigettato la domanda nei confronti della medesima in origine monitoriamente azionata dal sig. A.S. ed altri di pagamento di somma a titolo di provvigione per contratto di mediazione finalizzato alla cessione di erogando finanziamento ex L. n. 488 del 1992, riqualificandola come domanda di “restituzione del prezzo della cessione del ramo di azienda cui pertineva il finanziamento erogando”, nonchè di risarcimento danni; b) respinto il gravame in via incidentale spiegato dagli originari interventori società A.S., Dott. A. & Associated Inspectors s.a.s., società A&A Service s.r.l., e sigg. Ai.Da.Ma., A.D.M., A.Z.M., M.M. in relazione al rigetto della domanda di risarcimento danni originariamente proposta nei confronti della società GfE Metalle un Materialen GmbH.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il sig. A.S. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società GfE Metalle un Materialen GmbH, che ha presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che (dopo aver preso atto: a) che le odierne parti costituirono la società Recovan s.p.a. “al fine di estrarre vanadio dal materiale di scarto prodotto dal processo di gassificazione delle raffinerie, c.d. Filtercakes”; b) della circostanza che “nella medesima data furono anche sottoscritte tre distinte scritture private, con una delle quali, in particolare, GfE UmwelttenchnikGmbH ebbe ad assumere, nell’ambito di un più complesso accordo parasociale, l’impegno di trasferire a Recovan spa, non appena l’impianto di trasformazione sarebbe stato operativo, la titolarità dei già stipulati contratti di fornitura di Filtercakes “senza pagamento di alcun corrispettivo da parte di Recovan a GfE o terze parti, dando atto, al contempo, che Dott. A. & Associated Inspectors ha ottenuto il contributo destinato alla sua realizzazione, per tal via legandosi indissolubilmente la cessione dei contratti, e, con essa, l’operatività della joint venture, alla realizzazione dell’impianto mediante la provvista finanziaria già procurata dall’ A.””, nonchè dell’ulteriore circostanza che con patto parasociale GfE si fosse impegnata “irrevocabilmente a cedere successivamente alla realizzazione dell’impianto, ed in prossimità alla sua entrata in funzione, gli accordi Filtercakes e gli eventuali accordi di fornitura da essa stipulati in Italia, senza pagamento di alcun corrispettivo da parte di Recovan a GfE, in quanto Associated Inspectors ha conferito già a Recovan il ramo d’azienda per lo sviluppo dell’attività per il quale la stessa Associated Inspectors ha ottenuto il contributo”) la corte di merito abbia erroneamente interpretato “quella che la Corte territoriale definisce “terza scrittura” (“secondo cui “Tra la GfE ed il Dott. A.S. si conviene e stipula quanto segue: 1. La GfE pagherà a A.S. personalmente e contestualmente alla Delibera di aumento del capitale sociale della Recovan costituita in data 7 settembre 1999 da lire cinquecento milioni a lire dieci miliardi settecentosettantuno milioni contro consegna di una relativa fattura – la somma di lire 1.500.000.000 (un miliardo cinquecento milioni Lire) che dovrà essere ridotta per il valore del conferimento del ramo d’azienda in Lire 187.500.000 (centoottantasettemilionicinquecentomilalire). 2. Qualora, successivamente al subentro da parte di Recovan nelle agevolazioni ex L. 19 dicembre 1992, n. 488, di cui al D.M. Industria, del Commercio e dell’Artigianato 30 giugno 1997, n. 32685, detto Ministero dovesse revocare per intero le agevolazioni sopra menzionate, A.S. restituirà a GfE il compenso da esso ricevuto ai sensi del precedente punto 1. 3. Qualora la revoca delle agevolazioni fosse parziale A.S. restituirà a GfE il compenso ricevuto ai sensi del precedente punto 1 in misura proporzionale all’ammontare delle agevolazioni revocate rispetto all’ammontare dell’intero contributo. In caso di divergenza prevale il testo italiano”), la quale costituisce la fonte del diritto fatto valere dal Dott. A.S. con l’originario procedimento monitorio.

Lamentano non essersi da tale giudice in particolare inteso “il significato della clausola 2 dell’Accordo tra i soci” (secondo cui “detto Ministero dovesse revocare per intero le agevolazioni sopra menzionate”) come integrante in realtà “la condizione risolutiva del diritto del Dott. A.S. al compenso cui aveva riguardo la clausola 1 del medesimo Accordo”.

Si dolgono non essersi considerato che il termine “revoca” deve essere interpretato “secondo il significato letterale… nell’ambito del diritto amministrativo”, e pertanto come “irriferibile… ad ipotesi in cui a monte del provvedimento amministrativo non vi era l’iniziativa della Pubblica Amministrazione, ma un atto di rinuncia del privato”.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1363,1372 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia attribuito rilievo alla clausola secondo cui “la mancata realizzazione dell’impianto… fosse indicata quale condizione del pagamento”, in realtà “non presente… nella formulazione in lingua italiana” dell’accordo ma solo in quella in lingua tedesca, in base alla “scelta negoziale operata delle parti” invero “destinata a restare priva di effetto in caso di contrasto con il testo italiano dell’accordo”.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1363,1372 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente interpretato l’accordo parasociale a sostegno della domanda monitoriamente azionata in termini di “diritto alla restituzione del prezzo della cessione del ramo di azienda cui pertineva il finanziamento erogando” anzichè di compenso per l’attività svolta dall’ A. per procurare a GfE gli accordi filter cakes in argomento, erroneamente omettendo di prendere al riguardo in considerazione il “fatto decisivo” costituito dall'”espletamento di attività da parte del Dott. A. per procurare gli accordi filter cakes alla GfE, come si evince dalla “giustificazione causale dell’attribuzione patrimoniale portata dall’assegno posto a base della domanda di ingiunzione”.

Con il 4 motivo denunziano “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 5 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 115,116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia “del tutto omesso di prendere in esame: l’elemento di fatto del voto contrario del Dott. A. alla Delib. Consiglio di Amministrazione della Recovan 5 marzo 2001″…; l’elemento di fatto del voto contrario del Dott. A. alla Delibera del Consiglio di Amministrazione, nella medesima seduta, nel senso di “approvare il progetto che è stato presentato alla odierna riunione del Consiglio portando a costi la voce delle immobilizzazioni immateriali del progetto di bilancio e di sottoporre il progetto all’assemblea degli azionisti per l’approvazione””; l’elemento di fatto delle analitiche, e documentate, dichiarazioni svolte dal Dott. A. in occasione della riunione del Consiglio di Amministrazione del 30 aprile 2001, che attestavano la sua opposizione ad ogni prospettiva di abbandono del progetto”; l’elemento di fatto delle dichiarazioni, e delle prese di posizione, del Dott. A. in occasione dell’assemblea dei soci del 22 giugno 2001…; l’elemento di fatto delle dichiarazioni e delle prese di posizione, del Dott. A., dove si lamenta, in particolare, che “gli amministratori di nomina GfE hanno assunto con nota del 10.12.2001 l’inaudita iniziativa di sollecitare il Ministero ad attuare le opportune procedure per la restituzione del contributo, confessando apertamente la volontà di “UmwelttenchnikGmbH di non continuare assolutamente nell’intrapresa””.

Lamentano che “la decisività dell’omesso esame dei fatti sopra illustrati” si evince “ove si consideri che la Corte territoriale ha ritenuto che il diritto del Dott. A. al compenso fosse risolutivamente subordinato alla “realizzazione del progetto con l’utilizzo effettivo del finanziamento, peraltro da lui originariamente procurato”: cosicchè l’accertamento del fatto che la mancata realizzazione del progetto discendeva dalle condotte e dalle determinazioni assunte dalla GfE nell’ambito della compagine sociale della Recovan era tale da qualificare come contrarie a buona fede quelle condotte, e quelle determinazioni, secondo il paradigma normativo desumibile dall’art. 1375 c.c. e dall’art. 1358 c.c., trattandosi appunto di comportamenti tali da produrre l’avveramento di quella che – nella prospettiva assunta dalla Corte d’Appello – era la condizione risolutiva del diritto al compenso vantato dall’ A.”.

Con il 6 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 633,645 c.p.c., art. 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia seguito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “il ricorrente per decreto ingiuntivo riveste la posizione sostanziale di attore, cosicchè, anche all’esito della introduzione del giudizio di opposizione, egli non può proporre domande riconvenzionali, con l’unica eccezione del caso in cui, a seguito dell’eventuale riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione di convenuto”, laddove tale orientamento andrebbe dalla S.C. rimeditato, in quanto non conforme “al principio della durata ragionevole del processo, costituzionalizzato dall’art. 111 Cost., comma 2, quanto meno tutte le volte in cui gli accertamenti istruttori, e le corrispondenti valutazioni, che il giudice è chiamato a compiere per conoscere dell’opposizione a decreto ingiuntivo traggano con sè – sia pure in termini, per così dire, speculari – anche lo scrutinio degli elementi di fatto posti a base della domanda riconvenzionale formulata dal convenuto in opposizione”.

Con il 7 motivo denunziano “violazione o falsa applicazione” degli artt. 105,112,268 c.p.c., art. 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che, dopo aver rilevato l’erroneità della declaratoria d’inammissibilità emessa dal giudice di 1 grado alla stregua dell’erronea interpretazione dell’art. 268 c.p.c., comma 2, la corte di merito abbia erroneamente dichiarato inammissibile la domanda degli interventori anzichè esaminarla nel merito.

Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.

Atteso che l’interpretazione del contratto (nonchè giusta il combinato disposto di cui agli artt. 1324,1362 c.c. e segg., degli atti unilaterali: v., Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 6/5/2015, n. 9006), riservata al giudice del merito, è in sede di legittimità censurabile solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296), il sindacato di legittimità potendo avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495), con particolare riferimento ai primi 5 motivi va anzitutto osservato come (pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso: v., Cass., 10/10/2003, n. 15100; Cass., 23/12/1993, n. 12758) risponda ad orientamento consolidato che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, da verificarsi alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).

Si è altresì sottolineato che, superato il c.d. principio del gradualismo (v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882, e conformemente, da ultimo, Cass., 30/8/2019, n. 21840) nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti il criterio letterale va peraltro necessariamente riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d’interpretazione, e in particolare dei criteri (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 6/12/2018, n. 31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444; Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675. V. altresì Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. (che consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta: cfr. Cass., 13/11/2018, n. 29016) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c. (che quale criterio d’interpretazione del contratto – fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale” – si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628), non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947)).

Sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, l’elemento letterale deve essere pertanto considerato non già isolatamente ma in correlazione con gli altri criteri ermeneutici, e primieramente quello funzionale, in coerenza cioè con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare (causa concreta) mediante la stipulazione (v. Cass., 12/11/2019, n. 11092; Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701), con la quale convenzionalmente determinano la disciplina accettata come vincolante (art. 1372 c.c.) del loro rapporto contrattuale (cfr. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882; Cass., 6/7/2018, n. 17718).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero sostanzialmente corretta applicazione.

E’ rimasto nel giudizio di merito accertato, come indicato nell’impugnata sentenza, che “al fine di estrarre vanadio dal materiale di scarto prodotto dal processo di gassificazione delle raffinerie, c.d. Filtercakes, con l’atto pubblico del 7 settembre 1999 GfE Umwelttenchnik GmbH, che solo successivamente prende il nome di GfE Metalle un Materialen GmbH, da un lato, e A.S., Dott. A. & Associated Inspectors sas, A&A Service srl, Ai.Da.Ma., A.D.M., A.Z.M. e M.M., tutti facenti parte del c.d. Gruppo A., dall’altro lato, ebbero a costituire Recovan spa. Nella medesima data, furono anche sottoscritte tre distinte scritture private con una delle quali, in particolare, GfE Umwelttenchnik GmbH ebbe ad assumere, nell’ambito di un più complesso accordo parasociale, l’impegno di trasferire a Recovan spa, non appena l’impianto di trasformazione sarebbe stato operativo, la titolarità dei già stipulati contratti di fornitura di Filtercakes “senza pagamento di alcun corrispettivo da parte di Recovan a GfE o terze parti”, dando atto, al contempo, che Dott. A. & Associated Inspectors sas aveva già “conferito a Recovan il ramo d’azienda per il quale la stessa Associated Inspectors ha ottenuto il contributo” destinato alla sua realizzazione, per tal via legandosi indissolubilmente la cessione dei contratti, e, con essa, l’operatività della joint venture, alla realizzazione dell’impianto mediante la provvista finanziaria già procurata dall’ A.. Prima si sarebbe dovuto realizzare l’impianto industriale, solo dopo sarebbero stati ceduti gli accordi Filtercakes, secondo quanto evincibile dalla stessa premessa G del patto parasociale, come presentata dalla difesa A. con il doc. 2: “GfE, con il presente accordo, si impegna irrevocabilmente a cedere successivamente alla realizzazione dell’impianto, ed in prossimità della sua entrata in funzione, gli accordi Filtercakes e gli eventuali altri accordi di fornitura da essa stipulati in Italia, senza pagamento di alcun corrispettivo da parte di Recovan a GfE, in quanto Associated Inspectors ha conferito già a Recovan il ramo d’azienda per lo sviluppo dell’attività per il quale la stessa Associated Inspectors ha ottenuto il contributo”. Delle altre due, quella con la quale i soci Recovan spa si impegnarono alla nomina dei dati amministratori pro tempore, è irrilevante ai fini della decisione. Resta la terza scrittura, dalla quale risulta che GfE Umwelttenchnik GmbH ebbe ad impegnarsi a pagare a A.S. “personalmente e contestualmente alla Delibera di aumento del capitale sociale… la somma di Lire 1.500.000.000 (un miliardo e cinquecento milioni) che dovrà essere ridotta per il valore del conferimento del ramo d’azienda in Lire 187.500.000″: si tratta della somma portata dall’azionato titolo bancario, sì come pari alla differenza tra l’importo oggetto del riconoscimento di debito e lo stimato valore del ramo d’azienda”.

In altri termini, la domanda è stata dalla corte di merito nell’esercizio dei propri poteri interpretata, dandone congrua motivazione, come avente ad oggetto non già il pagamento di somma a titolo di pagamento di corrispettivo dovuto al A.S. per attività di mediazione dal medesimo prestata in favore della società GfE Metalle un Materialen GmbH volta a procurare a quest’ultima “accordi Filtercakes”, come dal medesimo originariamente e ancora odiernamente (come pure dagli altri ricorrenti) prospettato, bensì il pagamento di somma a titolo di restituzione del prezzo della cessione del ramo d’azienda cui pertineva l’erogando finanziamento ex L. n. 488 del 1992; oltre al risarcimento di lamentati danni asseritamente subiti in conseguenza della “violazione degli obblighi negoziali convenuti con il patto parasociale concordato coevamente alla costituzione della joint venture -segnatamente i doveri di correttezza e buona fede posti a presidio dell’impegno a trasferire a Recovan spa, se pur “successivamente alla realizzazione dell’impianto”, la titolarità dei contratti c.d. Filtercakes – per tal via procurandone il fallimento”.

Orbene, a fronte dell’interpretazione dei suindicati accordi, considerati nell’ambito del complessivo contesto negoziale tra le medesime intercorso, operata dalla corte di merito nell’impugnata sentenza gli odierni ricorrenti si limitano invero ad inammissibilmente riproporre le proprie tesi difensive già sottoposte all’attenzione dei giudici di merito e dai medesimi non accolte, auspicando che venga per converso privilegiata la diversa interpretazione da essi sostenuta.

Senza sottacersi che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quella data dal giudice al contratto non è l’unica interpretazione possibile e nemmeno la migliore in astratto ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, non essendo consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass., 2/5/2006, n. 10131; Cass., 25/10/2006, n. 22899; e conformemente, da ultimo, Cass., 30/5/2019, n. 14755, Cass., 8/11/2019, n. 28804 e Cass., 10/6/2020, n. 11107).

A tale stregua i motivi sono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c..

Con particolare riferimento al 6 motivo va per altro verso posto in rilievo che i ricorrenti non deducono invero argomenti idonei a rimeditare il consolidato orientamento secondo cui il ricorrente per decreto ingiuntivo riveste la posizione sostanziale di attore, sicchè anche all’esito dell’introduzione del giudizio di opposizione il medesimo non può proporre domande riconvenzionali, con l’unica eccezione del caso in cui a seguito della riconvenzionale formulata dall’opponente la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione di convenuto (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2010, n. 26128).

Nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, rivestendo la posizione sostanziale di attore l’opposto non può dunque avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo che per effetto di domande riconvenzionali o eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente determinanti un ampliamento dell’originario thema decidendum fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c., il medesimo venga a trovarsi a sua volta nella posizione processuale di convenuto, non potendo in tal caso al medesimo negarsi il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la (eventuale) proposizione di una reconventio reconventionis, che deve però dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (v., da ultimo, Cass., 25/2/2019, n. 5415; Cass., 25/10/2018, n. 27124).

Orbene, del suindicato principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero sostanzialmente corretta applicazione.

In particolare là dove, all’esito evidentemente di una relativa valutazione nel merito, ha sottolineato come nel caso in esame l’originaria opponente ed odierna controricorrente non ha invero proposto “alcuna domanda riconvenzionale e non ha per nulla allargato l’ambito della controversia a fatti diversi da quelli già introdotti da A.S. come materia del decidere nella fase monitoria, essendosi GfE Umwelttenchnik GmbH limitata a denunciare l’insussistenza dell’azionata pretesa creditoria per avere ad oggetto il diritto alla provvigione di un contratto di mediazione finalizzato alla illecita cessione di un erogando finanziamento ex lege n. 488 del 1992, piuttosto che per essersi verificata la perdita del finanziamento e, per tal via, avverata la condizione in seno alla scrittura privata del 7 settembre 1999: si tratta di eccezioni, tutte, basate sulla scrittura privata che fonda il rilascio del titolo azionato in via monitoria, laddove, per contro, la domanda di condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in relazione ai mancati utili che avrebbero potuto essere conseguiti con la messa in opera del progetto, afferisce alla diversa scrittura privata contenente i patti parasociali, con la quale l’opponente/odierna parte appellante principale si era impegnata a trasferire alla nuova società la titolarità dei contratti di fornitura di Filtercakes, come del resto pare inequivocabilmente riconosciuto dall’identità della posizione processuale assunta dagli intervenienti, soci di Recovan spa facenti parte del c.d. Gruppo A., che, pur avendo siglato la scrittura privata sottesa al titolo monitorio, nulla hanno preteso al riguardo perchè del tutto estranei alla pretesa, solo avendo esercitato la legittimazione a far valere la violazione degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede a presidio del patto parasociale”.

A fronte di tale ricostruzione della vicenda negoziale intercorsa nella specie tra le odierne parti e dell’interpretazione degli stipulati accordi nonchè della domanda in origine monitoriamente azionata operata dalla corte di merito non è dato invero evincere, a fortiori in considerazione della circostanza che in violazione dell’art. 366 c.pc.., comma 1, n. 6 (v. amplius infra) i ricorrenti nemmeno riportano debitamente nel ricorso quali siano gli evocati “elementi di fatto posti a base della domanda riconvenzionale formulata dal convenuto in opposizione”, sotto quale profilo possa assegnarsi un qualche rilievo al principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2, di cui i medesimi prospettano nel caso la violazione.

A tale stregua il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c..

Avuto specificamente riguardo al 7 motivo va infine posto in rilievo che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, i ricorrenti non riportano debitamente nel ricorso la “domanda degli interventori”, limitandosi a meramente richiamarla, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurla nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Senza d’altro canto sottacersi che, come dall’odierna controricorrente eccepito nei propri scritti difensivi, dopo aver dato atto dell’ammissibilità dell’intervento spiegato dagli originari terzi (e odierni ricorrenti) Dott. A.S., Dott. A. & Associated Inspectors s.a.s., società A&A Service s.r.l. nonchè sigg. Ai.Da.Ma., A.D.M., A.Z.M. e M.M. (tutti facenti parte del c.d. Gruppo A.) e dell’erronea applicazione nel caso fatta dal giudice di prime cure dell’art. 268 c.p.c., in ordine alle domande dai medesimi nella specie spiegate la corte di merito è pervenuta a confermare la sentenza di 1 grado espressamente affermando che, “pur avendo siglato la scrittura privata sottesa al titolo monitorio”, essi “nulla hanno preteso al riguardo perchè del tutto estranei alla pretesa, solo avendo esercitato la legittimazione a far valere la violazione degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede a presidio del patto parasociale”.

Emerge invero con tutta evidenza che siffatta conclusione è stata tratta all’esito di una valutazione (anche) nel merito di tali domande, avendo la corte di merito escluso ogni connessione delle medesime con quella in origine monitoriamente azionata dall’ A., come dai giudici di merito interpretata e riqualificata.

Alla stregua di quanto rilevato ed esposto si evince dunque come gli odierni ricorrenti inammissibilmente prospettino in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante la ricostruzione della volontà contrattuale delle parti con accertamenti di fatto e rivalutazione delle emergenze probatorie invero preclusi a questa Corte di legittimità, atteso che solamente al giudice di merito spettano tali compiti, nonchè di individuare in particolare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società GfE Metalle un Materialen GmbH, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per compensi oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente società GfE Metalle un Materialen GmbH.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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