Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6579 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33000/2018 proposto da:

B.M.S., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Maria Bassan giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento

Prot.ne Int.le Padova, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2335/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2020 dal Cons. Dott. Marco Marulli;

udito l’Avvocato Marilena Cardone che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

De Renzis Luisa.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.S.B., cittadino bengalese, ricorre a questa Corte onde sentir cassare l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ha confermato l’impugnata decisione di primo grado nel capo in cui questa ha, tra l’altro, reiterato la reiezione, già decretata dalla Commissione territoriale, dell’istanza del ricorrente intesa al riconoscimento della protezione umanitaria.

Il mezzo proposto si vale di un solo motivo di ricorso, al quale ha replicato l’Amministrazione convenuta con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2 Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, poichè, nel denegare l’accesso alla misura della protezione umanitaria il giudicante avrebbe omesso di valutare la situazione del paese di provenienza (Bangladesh), caratterizzato da una notevole instabilità politica, sociale ed economica dovuta, oltre che agli scontri tra fazioni rivali, alle gravi calamità che lo colpiscono ed avrebbe omesso di procedere ad una valutazione comparata tra la situazione di integrazione sociale raggiunta dal ricorrente nel nostro paese e la condizione che lo attenderebbe in caso di rimpatrio.

3. La prima censura è affetta da palese inammissibilità evidenziabile sotto un duplice profilo.

Premesso, infatti, che la Corte d’Appello ha respinto il gravame sul punto sulla considerazione, in particolare, che “il B. ha fatto riferimento esclusivamente a ragioni economiche per giustificare la decisione di emigrare all’estero e aiutare la famiglia” ed ancora che “il B. si è limitato a riferire che lavorava in un ospedale facendo le pulizie e che quando si lamentava perchè solo parte delle prestazioni lavorative venivano pagate era aggredito”, da ciò traendo la conclusione che “il mancato pagamento di parte della retribuzione e le reazioni violente del datore di lavoro – fatti tutti descritti in termini molto generici – non giustificano la protezione umanitaria, ben potendo il B. rientrare in Bangladesh”, va qui in primo luogo rilevato che l’argomento sviluppato con la prima censura costituisce una questione nuova, apprendendosi dalla narrativa del provvedimento impugnato che le ragioni inizialmente addotte a sostegno della cumulativa richiesta di asilo e, di seguito, della proposta impugnazione erano riconducibili solo al fatto che “in Bangladesh sussiste un conflitto generalizzato e che l’ordinanza non considera le preoccupanti dinamiche interne che interessano il Bangladesh”, senza cenno alcuno alla questione di che trattasi.

Il riferimento ora alla situazione climatica del paese, caratterizzato da ricorrenti calamità naturali, quantunque nobilitato da ragioni solidaristiche nell’ottica delle quali “la protezione umanitaria potrebbe costituire uno strumento di tutela nei casi di migrazione dovuta ad eventi naturali diversi da quelli a rapida insorgenza”, per quel che qui interessa, prospetta il tema sotto un diverso angolo di osservazione introducendo nel giudizio una questione che non consta sia stata esaminata nei pregressi gradi di merito – o, comunque, che il ricorso non deduce dove lo sia stata – e che non può essere ovviamente esaminata in questa sede.

4. Sotto un secondo profilo va poi ribadito il convincimento che “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento” (Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13088). “Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali… Le basi normative non sono, allora, affatto fragili, ma a compasso largo: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione” (Cass., Sez. U, 13/11/2019, n. 29459).

In questa cornice, il giudizio a cui sono tenuti la Commissione territoriale, prima, ed il giudice, successivamente, si fonda, perciò su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass., Sez. I, 12/11/2018, n. 28990) e postula una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, non potendosi tipizzare – almeno nel vigore del diritto antevigente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, art. 1, comma 1, applicabile alla specie secondo le SS.UU (Cass., Sez. U, 13/11/2019, n. 29459) – le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, proprio perchè che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13079).

E dunque il mero richiamo alle condizioni interne del paese di provenienza non integra un presupposto conferente ai fini del riconoscimento della misura qui reclamata.

5. Anche la seconda censura non merita adesione.

A conferma di un consolidato corso interpretativo, a cui si è riportato anche il decidente del grado (cfr. pag. 11), il recente arresto delle SS.UU. ha confermato l’asserto secondo cui “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, poichè diversamente “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria” (Cass., Sez. U, 13/11/2019, n. 29459).

6. Il ricorso va quindi conclusivamente respinto.

7. Le spese seguono alla soccombenza.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2200,00, oltre spese prenotate a debito.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I sezione civile, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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