Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6577 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 22/03/2011), n.6577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.M., elett.te dom.ta in Roma, Via Trionfale 5697, presso

lo studio dell’avvocato Domenico Battista, rappr.ta e difesa

dall’avv.to BERARDI Giovanni, per mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, domiciliata presso i suoi uffici in Roma Via

dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 1/1/08 della C.T.R. della Puglia, emessa il

17 gennaio 2008, depositata il 31 2010 gennaio 2008, R.G. 2092/06;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Cons. Dott. IANNELLI

Domenico;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

la controversia ha per oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Bari aveva rettificato il reddito di impresa per le annualità 1994 e 1995 e il volume di affari, ai fini IVA, per il periodo di imposta 1995. La ricorrente contestava nel merito l’accertamento e in particolare il valore attribuito alle merci in giacenza e l’ammontare delle cessioni in evasione di IVA presunte dall’amministrazione finanziaria;

La C.T.P. accoglieva il ricorso limitatamente all’IVA;

Con separati ricorsi S.M. impugnava i provvedimenti di diniego di definizione delle liti pendenti, relativi a Irpef e Iva per gli anni 1994 e 1995, emessi dall’Agenzia delle Entrate sul presupposto della non esaustività, della L. n. 289 del 1992, ex art. 16, dei pagamenti effettuati dalla richiedente. La S. rilevava che doveva comunque tenersi conto dei pagamenti effettuati al fine di escludere la debenza del terzo dell’imposta iscritta a ruolo a seguito dei pagamenti eseguiti a norma della citata L. n. 289, art. 12;

La C.T.P. ha respinto i ricorsi;

La C.T.R. pronunciandosi sugli appelli della contribuente e dell’A.F. ha confermato sia gli accertamenti ai fini IRPEP e CSSN, sia la rettifica ai fini IVA, sia i provvedimenti di diniego del condono con conseguente condanna della contribuente al pagamento, a titolo di imposte e sanzioni, della somma di Euro 230.133;

Ricorre la contribuente affidandosi a cinque motivi di impugnazione.

ritenuto che:

il ricorso è in larga parte inammissibile e comunque infondato. I primi due motivi non indicano quali siano le norme di diritto nè formulano il prescritto quesito di diritto. Il difetto di motivazione consiste in realtà in un vizio dell’iter formativo della decisione da denunciare con ricorso per revocazione dato che la ricorrente adduce il travisamento di una circostanza da parte del giudice di appello (assenza di merci in giacenza non fatturate). Il terzo e quarto motivo difettano di autosufficienza e sono diretti a una mera contestazione nel merito della decisione della C.T.R. Manca infatti, ai fini del richiesto controllo sulla motivazione, l’indicazione delle circostanze di fatto che non sarebbero state adeguatamente valutate dalla C.T.R.. Infine il quinto motivo (che in realtà si sostanzia in una contraddittoria deduzione di difetto di motivazione) propone una inammissibile formulazione del quesito di diritto. Sul punto della richiesta applicazione delle due definizioni agevolate, previste dalla L. n. 289 del 2002, della, la C.T.R. ha ampiamente citato la pronuncia della Corte di Cassazione n. 9328/2006 che esclude la possibilità di una operazione di scomputo in fattispecie come quella in esame basandosi sull’autonomia delle due procedure di definizione dei ruoli pregressi e delle liti fiscali pendenti;

il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 5.100,00 di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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