Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6577 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5671/2019 proposto da:

A.F., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Giovanbattista Scordamaglia in forza di procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2066/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito l’Avvocato GIOVANBATTISTA SCORDAMAGLIA.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 A.F., cittadino del Pakistan ha adito il Tribunale di Catanzaro, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere stato titolare di un locale ove si fumava l’hookah, aperto grazie alla liquidazione del risarcimento erogato al padre, vittima di un infortunio sul lavoro in Arabia Saudita; che l’imam locale aveva detto a sua madre che tale attività non andava bene per i giovani e doveva essere chiusa; che due giorni dopo l’imam era andato a controllare il locale, non trovando “niente” (nel senso che non era emerso che egli vendesse alcool e hashish, come si diceva erroneamente); che due giorni dopo vi era stato un attacco al locale, fatto per ucciderlo, con bastoni e accette; che era stato rotto tutto all’interno del locale e rubato del denaro.

Con ordinanza del 17/11/2015 il Tribunale di Catanzaro ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da A.F. è stato rigettato dalla Corte di appello di Catanzaro, a spese compensate, con sentenza del 26/11/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso A.F., con atto notificato l’11/23/2019, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. c), al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10 e 27.

1.1. L’indagine circa la situazione della zona di provenienza del ricorrente, effettuata a novembre del 2018, era stata basata su dati non aggiornati, risalenti a oltre due anni prima, ossia al 2016, mentre il ricorrente nelle sue difese aveva prodotto aggiornamenti relativi anche all’anno 2017; inoltre non era stata esaminata la situazione specifica del distretto Rawalpindi e della regione del Punjab, da cui proveniva il ricorrente; spettava alla Corte territoriale aggiornare le informazioni ricoprendo il vuoto temporale fino al momento della decisione.

1.2. Secondo il ricorrente, la Corte di appello si era sottratta al proprio dovere di “cooperazione istruttoria”, utilizzando fonti informative non aggiornate (temporalmente) e non specifiche (geograficamente).

1.3. La censura è fondata.

Il dovere di cooperazione istruttoria trova fondamento non solo nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in tema di regole per l’esame delle domande di protezione internazionale ma anche nel D.L. 22 agosto 2014, n. 119, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis (aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. b-quater), convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146) del D.Lgs. n. 25 del 2008 (ora anche 35 bis, comma 9), secondo cui ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale.

Il giudice del merito è pertanto tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, al dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che la domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente.

Ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; in tal caso sorge il potere – dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez.6-1, 26/04/2019, n. 11312;Sez.6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez.6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez.6-1, 10/04/2015, n. 7333).

Inoltre nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio-politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità. (Sez. I, 12/11/2018, n. 28990; Sez.6-1 n. 19716 del 25/7/2018, Rv.650193 – 01). A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. I, 22/05/2019, n. 13897)

Il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle cosiddette fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale (Sez. 1, 17/05/2019, n. 13452: Sez. 6-1, 26/04/2019, n. 11312; Sez. 1, n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01).

1.4. Nella specie la Corte catanzarese ha completamente omesso di indicare le fonti informative utilizzate, sulla base delle quali ha disegnato lo scenario esposto nelle pagine da 13 a 16 della sentenza impugnata.

Tale omissione viene indirettamente censurata da parte ricorrente, che assume che le informazioni in questione fossero datate e superate, in ciò agevolata, da un lato, dalla mancata indicazione delle fonti utilizzate, di cui è stata omessa la citazione, e, dall’altro, dai riferimenti temporali arrestatisi al 2016.

Per contro, il ricorrente, da ultimo con la comparsa conclusionale del 22/2/2018, aveva introdotto riferimenti molto più recenti alla situazione esistente nel Punjab nel 2017, del tutto ignorati nella pronuncia citata.

1.5. Come recentemente osservato nell’ordinanza della Sez.1 del 11/11/2019 n. 29056, la ricerca delle COI (country origin informations) è attività di “integrazione istruttoria” svolta in cooperazione con la parte interessata (Sez. 6 – 1, n. 16411 del 19/06/2019, Rv. 654716 – 01) e non già di totale sostituzione del giudice alla parte nei suoi doveri di offrire, nei limiti delle possibilità date dalla sua peculiare condizione, fatti, riscontri ed elementi di prova, ha precisato che il predetto dovere deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro riferirsi a circostanze non dedotte, mentre, nel caso in cui si affievolisca l’importanza del riscontro individuale, entro i limiti rigorosi indicati dalla CGUE nelle sentenze del 17/2/2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30/1/2014, (Diakitè C- 285/12) e cioè quando la violenza indiscriminata sul territorio raggiunge livello talmente elevato da far ritenere che un civile correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il potere dovere di acquisire le COI discende direttamente dalla allegazione della provenienza dalla zona interessata dal conflitto (Sez. 6 – 1, n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647 – 01).

In tale prospettiva assume rilievo l’onere del richiedente asilo di allegare e circostanziare tutti i fatti rilevanti che lo riguardano e di rendere un racconto per quanto possibile completo e specifico, poichè il dovere di cooperazione del giudice non si estende alla ricerca dei fatti storici, intesi come vicende personali che hanno interessato il richiedente asilo. L’audizione è il momento centrale dell’intero procedimento, in cui la Commissione, o eventualmente il giudice di merito, consente al richiedente di rendere un racconto completo delle sue vicende, il che definisce il thema decidendum che il giudice non può e non deve modificare, essendo chiamato piuttosto a verificare l’attendibilità del racconto sia in base agli ordinari criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dalla parte (coerenza, specificità), sia in base ad un criterio extra ordinem espressamente imposto dalla legge, e cioè la compatibilità con le COI, che sono peraltro necessarie anche al fine di valutare il rischio al momento della decisione; per questa ragione, se la parte ha offerto in visione le COI al momento in cui introduce la domanda, e tra essa e il momento della decisione trascorre del tempo o accadono eventi rilevanti, il giudice deve integrarle con COI più aggiornate (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018, Rv. 651579 – 01).

1.6. Quanto esposto assorbe l’ulteriore doglianza del difetto di specificità territoriale delle informazioni utilizzate dalla Corte calabrese.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 8, art. 14, comma 1, lett. b).

2.1. La Corte di appello aveva ritenuto che la veemenza delle reazioni suscitate verso l’attività esercitata dal ricorrente non fosse giustificata alla luce del carattere tradizionale del fumo dell’hookah in Pakistan, senza però indicare la fonte di tale convincimento.

Inoltre non era stato considerato il fatto che il ricorrente aveva indicato fra le ragioni dell’ira dell’imam anche la frequentazione promiscua del suo locale da parte di uomini e donne.

La motivazione non era “confluente” laddove non era stata ritenuta ragionevole l’intenzione dell’imam di far uccidere il ricorrente, non tenendo conto della rigidità delle autorità religiose assai influenti nella vita sociale dei centri urbani e del clima di violazione dei diritti di libertà delle persone.

Non era poi vero che la vicenda non fosse sussumibile nelle previsioni della protezione internazionale, vertendosi in tema di persecuzione su base religiosa.

2.2. Il motivo va rigettato.

Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

2.3. Il giudizio di non credibilità del racconto del richiedente asilo circa la sua vicenda personale è stato ritenuto non credibile sulla base di una motivazione sufficiente a integrare i requisiti del c.d. “minimo costituzionale”, sulla base di una pluralità di convergenti considerazioni (tradizionalità e diffusione del fumo dell’hookah in Pakistan; irrazionalità della reazione popolare; incomprensibilità della violenza della reazione dell’imam, che ben avrebbe potuto accontentarsi della chiusura del locale e della cessazione dell’attività; implausibilità di una reazione violenta delle persone intolleranti che ben avrebbero potuto semplicemente denunciare i sospetti di commercio illegale di alcool e sostanze stupefacenti alle autorità locali molto severe nella repressione di tali attività).

2.4. Il ricorrente sostiene che la Corte avrebbe trascurato un elemento del suo narrato che avrebbe spiegato le incongruenze, ossia il carattere promiscuo della frequentazione del suo locale anche da parte di donne, proponendo così una censura motivazionale senza soddisfare i rigidi parametri a cui essa è ancorata dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in tema di “omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti” e senza dimostrarne l’imprescindibile decisività.

3. In ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, respinto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con il rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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