Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6573 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2022, (ud. 08/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22806-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

ALLCON SRL UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE, domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO MAINE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4897/24/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 05/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso avvisi di accertamento per IVA relativo al periodo di imposta 2012, contestando l’Ufficio l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello affermando che spetta all’Ufficio provare, sia pure attraverso presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe potuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposto o partecipato a una frode e che costituiscono elementi di rilevanza sintomatica della buona fede della parte contribuente quelli evidenziati dalla sentenza di primo grado, secondo cui il fatto che Allcon ha tenuto nei confronti di Bosisio un primo comportamento prudente, allorquando ha incaricato il suo commercialista di eseguire una ricerca preliminare sul fornitore che appariva effettivamente conveniente e ha tenuto con lui una fitta corrispondenza ricevendo risposte del tutto tranquillizzanti; ha ricevuto la merce accompagnata da documenti di trasporto che indicavano Bosisio come mittente e ha ricevuto documentazione tranquillizzante dalla Banca sulla quale eseguiva i bonifici; infine i prezzi praticati da Bosisio rientravano nella media del settore.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un motivo di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso, mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in quanto pur avendo astrattamente gravato la parte contribuente dell’onere della prova, lo ha in concreto addossato sull’Ufficio.

Il motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte:

in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 15369 del 2020);

in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, allorché contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA, assumendo l’esistenza di una fatturazione relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Ne consegue che, nel caso di cosiddetta “frode carosello”, l’Amministrazione finanziaria, che intenda negare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, deve provare sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario, quest’ultima anche per presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di “cartiera” del cedente, incombendo sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria (Cass. n. 25778 del 2014);

e’ onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione I’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass. n. 5873 del 2019);

in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 27566 del 2018);

in tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C277/14), può essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni come espressamente prevede il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);

ha ritenuto ragionevolmente la sentenza impugnata che le sole circostanze dell’effettiva recezione della merce e del pagamento delle stesse (senza oltretutto che il ricorrente abbia neppure allegato che il pagamento sia avvenuto al prezzo effettivo di mercato) non siano sufficienti a ritenere assolta da parte del contribuente la prova di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza esigibile da un operatore accorto (Cass. n. 27772 del 2021).

La sentenza impugnata – affermando che spetta all’Ufficio provare, sia pure attraverso presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe potuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposto o partecipato a una frode e che costituiscono elementi di rilevanza sintomatica della buona fede della parte contribuente quelli evidenziati dalla sentenza di primo grado, secondo cui il fatto che Allcon ha tenuto nei confronti di Bosisio un primo comportamento prudente, allorquando ha incaricato il suo commercialista di eseguire una ricerca preliminare sul fornitore che appariva effettivamente conveniente e ha tenuto con lui una fitta corrispondenza ricevendo risposte del tutto tranquillizzanti; ha ricevuto la merce accompagnata da documenti di trasporto che indicavano Bosisio come mittente e ha ricevuto documentazione tranquillizzante dalla Banca sulla quale eseguiva i bonifici; infine i prezzi praticati da Bosisio rientravano nella media del settore – ha fatto un uso corretto dei suddetti principi di diritto, in quanto ha in astratto evidenziato la corretta ripartizione degli oneri probatori in capo ad Ufficio e parte contribuente e in concreto ha elencato e spiegato in maniera ragionevole e coerente gli elementi che consentono di ritenere adeguatamente provata la buona fede e la diligenza della parte contribuente: in particolare, è particolarmente significativo, a dimostrazione della buona fede della parte contribuente, che i prezzi praticati da Bosisio rientravano nella media del settore (argomenta a contrario da Cass. n. 27772 del 2021). Nessuna rilevanza infine assume la circostanza che nella motivazione la sentenza impugnata abbia richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, perché tale richiamo è stato effettuato in maniera critica e consapevole.

Pertanto, ritenuto infondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; la condanna alle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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