Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 657 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 657 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 30808-2007 proposto da:
EUROTRADE SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.
DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato DEL FEDERICO
LORENZO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MACCHIAGODENA SERGIO giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 15/01/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 137/2006 della COMM.TRIB.REG.
di BOLOGNA, depositata il 28/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE STEFANO
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’inammissibilità o rigetto del ricorso.

udienza del 25/11/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Oggetto della controversia innanzi a questa Corte è l’applicazione del c.d.regime del margine che
la società Morini Motors s.r.l. con sede in Castel Maggiore ha ritenuto di applicare rispetto ad
alcuni acquisti di autovetture usate provenienti da fornitori tedeschi nell’anno 1998 per i quali
l’Agenzia delle Entrate di Bologna, non ritenendo applicabile il sistema IVA regolato dal D.L.
n.41/91, ha disposto, per quel che qui ancora rileva, la ripresa a tassazione di IVA, accessori e

2.La società contribuente ha proposto ricorso innanzi alla CTP di Bologna che lo rigettava con
sentenza confermata dalla CTR dell’Emilia Romagna n.137 depositata il 28.11.2006.
2.1 Secondo il giudice di appello, pur potendosi comprendere le ragioni che avevano indotto la
contribuente ad acquisire solo dopo l’accertamento fiscale le dichiarazioni dei propri fornitori, dette
dichiarazioni non solo lasciavano perplessi, ma erano contrastanti con gli accertamenti operati
dall’amministrazione fiscale tedesca, dai quali era emerso che le autovetture fornite alla
contribuente non erano soggette al regime c.d. del margine, in quanto mere cessioni
intracomunitarie che prevedevano l’assoggettamento ad IVA nel territorio italiano.E poichè le
disposizioni comunitarie erano chiare nel prevedere, fra i requisiti necessari per applicare detto
regime, anche la tassazione nello Stato di provenienza degli autoveicoli, l’accertamento della natura
non imponibile delle cessioni intracomunitarie da parte dei fornitori tedeschi escludeva
l’applicazione del regime del margine, non rilevando le diciture delle fatture, potendo semmai la
Morini rivalersi sugli operatori tedeschi.
2.2 Era peraltro corretta l’esclusione della sanzione a carico della società, non avendo l’Ufficio
offerto la prova certa della volontarietà di frodare il fisco.
3. La società Eurotrade s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha
resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La società ha depositato memoria con la quale ha
dedotto, documentandola, il fallimento della stessa e la sua successiva chiusura per assenza di
attivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.Va preliminarmente chiarito, in limine e rispetto a quanto dedotto dalla ricorrente nella memoria,
che in tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica dell’art. 43 legge fall. per effetto
dell’art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento
determina l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso
in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano
applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge-cfr.,
ex plurimis, Cass.n.21153/2010-.

sanzioni.

5. Ciò posto, con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione
degli artt.46 e 47 d.l.n.331/93, in relazione all’art.360 comma I n.3 c.p.c. Lamenta che la decisione
del giudice di appello si fondava su una ricostruzione erronea degli obblighi incombenti sul
cessionario nell’ambito di un’operazione posta in essere con un operatore comunitario, non potendo
egli dirsi tenuto a controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse ed utilizzate
dall’emittente comunitario della fattura. Ciò trovava conferma nella giurisprudenza della Corte di

l’inosservanza del soggetto cedente in capo al cessionario a meno che questi fosse consapevole
compartecipe dell’autore della frode.
6. Con il secondo motivo la società ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione
delPart.2909 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che successivamente alla
sentenza impugnata il tribunale penale di Bologna aveva esaminato la stessa vicenda, decidendola
in senso diametralmente opposto, sicché la trasposizione di quegli accertamenti nel processo
tributario avrebbe determinato un mutamento dell’esito della lite. Ed infatti, quel giudice,
esaminando la posizione del Sig.Morini, aveva evidenziato la difformità fra le fatture di vendita
fornite dal venditore tedesco alle autorità tedesche e poi trasmesse in Italia e quelle, provenienti
dalla medesima società, acquisite già dall’anno 2000 presso la Morini in seguito al primo accesso.
Lo stesso tribunale, inoltre, aveva adombrato diversi dubbi in ordine alla rilevanza delle attestazioni
rilasciate dalle autorità fiscali tedesche, fondandosi sulle dichiarazioni rese da tale Sig.ra Chiarello,
nemmeno risultando la carica che tale soggetto ricopriva all’interno della società fornitrice. Doveva
pertanto ritenersi che il giudicato penale formatosi successivamente, avente ad oggetto i medesimi
elementi della fattispecie concreta, integrava un vero e proprio atto normativo sopravvenuto
applicabile alla fattispecie.
7.Con il terzo motivo la società ricorrente deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5
c.p.c.Lamenta che la CTR aveva omesso di esaminare uno dei motivi fondamentali addotti dalla
Morini, con il quale si era rappresentato che il cessionario non aveva modo di verificare la
condizione dei veicoli se non attraverso le dichiarazioni dei fornitori e che se gli stessi avevano
indebitamente posto in essere operazioni con il regime del margine non era possibile che il
cessionario potesse criticare tali comportamenti. L’omissione dell’esame di tale doglianza difensiva
rendeva viziata la decisione impugnata.
8. L’Agenzia delle Entrate, costituitasi, ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevando gradatamente
che:a)il giudicato formatosi nel processo penale non poteva essere preso in alcuna considerazione,
in ragione dell’autonomia fra processo penale e procedimento tributario, non sussistendo in ogni

Giustizia, alla cui stregua non era possibile attribuire un’autonoma responsabilità tributaria per

caso alcun rapporto di dipendenza fra i due giudizi;b)la documentazione rilasciata dall’autorità
fiscale tedesca ha pieno valore giuridico e non poteva essere messa in discussione dalle
dichiarazioni rilasciate dalle società fornitrici riportate in fax o in copia.
9. 11 primo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
9.1 Occorre premettere che il giudice di appello, nel ritenere fondata la pretesa fiscale azionata sul
presupposto che potesse trovare applicazione il c.d. regime del margine disciplinato dal D.L. n. 41

motivazionali che possono così riassumersi: a) non era possibile riconoscere una prevalenza
probatoria alle dichiarazioni dei fornitori in possesso del cessionario rispetto agli accertamenti
fiscali istituzionali operati sulle stesse fatturazioni da parte del fisco tedesco attestanti che le
operazioni NON erano soggette al regime del margine; b) dalla non imponibilità delle cessioni
intracomunitarie operate dai fornitori tedeschi non poteva che emergere l’impossibilità di applicare
il regime del margine; c) la circostanza che i controlli operati dall’autorità fiscale tedesca sui
fornitori tedeschi avevano dimostrato che si vedeva in ipotesi di cessioni intracomunitarie dal
quale conseguiva l’impossibilità di applicare il computo dell’IVA sul margine che presuppone
l’assolvimento dell’Iva a monte rendeva superflua ogni altra considerazione circa la validità e
congruenza della documentazione acquisita dalla contribuente era irrilevante, al più potendo valere
nei rapporti fra cessionario e fornitore in via di rivalsa;d) l’elemento soggettivo rilevava unicamente
sul versante sanzionatorio.
9.2 Rispetto a tale compendio motivazionale la parte ricorrente si duole della non corretta
applicazione da parte del giudice di appello del regime comunitario in tema di cessioni
intracomunitarie che impedirebbe al cessionario di sottoporre a verifica le dichiarazioni rese dal
proprio cedente.
9.3 Tale assunto, a giudizio del Collegio, è solo in parte fondato.
9.4 Giova anzitutto rammentare che questa Corte ha ormai pacificamente riconosciuto che il regime
del margine già sopra ricordato si applica in quanto il contribuente riesca a dimostrare la
sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr.
Cass. 31.1.2011 n. 2227). Ragion per cui il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità
del regime de quo (cfr. Cass.31.1.2011 n. 2227).
9.5 Ne consegue che il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con
applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti non può che ricadere sul
cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze,
non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la
regolarità formale della fattura), risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta

del 1995, art. 36, conv. nella L. n. 85 del 1995, ha fondato il proprio assunto sui passaggi

verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore
commerciale del settore- v., da ultimo, Cass.nn^ 4522, 4524 e 4525/2013-.
9.6 Si è parimenti avuto modo di chiarire che costituisce condizione indefettibile di applicabilità di
tale regime la indeducibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente-operatore comunitario in
occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro
(ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere

imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in
conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti
“requisiti soggettivi” individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del
1995: 1) soggetto che sia privato consumatore; 2)soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta
(avendo destinato i beni ad una attività esente); 3) soggetto che agisca in regime di franchigia nel
proprio Stato membro; 4) soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime
del margine di utile.-cfr.Cass.n.8828/2012-.
9.7 In definitiva, si è ritenuto che il difetto della prova in ordine alla sussistenza dei requisiti
previsti dal regime del margine comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente
dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo
eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Cass.
n.2227/2011 e Cass.n.8635/2012).
9.8 Ne consegue che il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con
applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti ricade sul cessionario
che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia
verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità
formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando
maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità
professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore (“diligentia viri
eiusdem generis ac professionis”) -Cass.n.8635/12-.
9.10 H carattere speciale del regime del margine, d’altra parte, e’ stato più volte sottolineato dalla
Corte di giustizia la quale, individuando la portata interpretativa dell’art. 314 della direttiva
2006/112- che riproduce fedelmente l’art. 26 bis della c.d. sesta direttiva CEE- ha ribadito come
il regime d’imposizione sull’utile realizzato dal soggetto passivo-rivenditore in occasione della
cessione di beni d’occasione quali quelli di cui trattasi nel procedimento principale costituisce
un regime particolare dell’IVA, che deroga al sistema generale della direttiva 2006/112 – cfr.Corte
Giust. 19 luglio 2012, causa C-160/11, Bawaria Motors sp. z o.o., p.28 e Corte Giust. 3 marzo

esercitato ne’ avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia

2011, Auto Nikolovì, causa C 203/10, punto 46- così confermando i principi espressi con riguardo
all’art. 26 bis dir.- per cui v.Corte Giust. 8 dicembre 2005, Jyske Finam, causa C 280/04, p. 35-.
9.11 D’altra parte, nelle pronunzie rese dalla Corte di Giustizia, l’affermazione secondo cui il
soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di
agire in frode alla applicazione dell’IVA è mediata dalla condizione essenziale che detto
contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^

dell’autorità giudiziaria nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla
luce di elementi obiettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente cfr.Corte Giust. 3 marzo 2005, C 32/03, Fini H, p.34-. Ragion per cui soltanto “gli operatori che
adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere a fine di assicurarsi che le
loro operazioni non facciano parte di una frode”, possono fare affidamento sulla liceità di tali
operazioni. Pertanto, un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto
partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA ” non può allegare la buona fede a
garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte
giustizia CE 6.7.2006 in cause finite C-439/04 e C- 440/04)-cfr., sul punto, specificamente
Cass.n. 15219/2012 e le più recenti sentenze nn. 4522-4525/2013-.
9.12 A tali principi si è di recente uniformata questa Corte, ritenendo che la responsabilità del
soggetto cessionario per l’obbligazione tributaria derivante dal fatto illecito del cedente, o del terzo
comunque inseritosi nella catena delle cessioni del bene, rimane esclusa dalla condizione essenziale
che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia
CE sez. III, sent. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-184/03, Optigen Ltd, Fulcrum
Electr. E Bond House), fermo restando che la buona fede del cessionario può essere riconosciuta
soltanto agli “operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere
al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, in quanto solo all’esito
di tali adempimenti può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni. 9.13
Diversamente, un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto
partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può allegare la propria buona
fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr.
Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta)cfr.Cass.n.20302/2013-.
9.13 Orbene, fermi i superiori principi che questo Collegio pienamente condivide, la censura
prospettata dalla parte ricorrente coglie quindi nel segno nei limiti di seguito chiariti.
9.14 Ed infatti, il giudice di appello ha ritenuto di confermare la responsabilità della contribuente

sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03). Rimane pur sempre compito

per l’applicazione indebita del c.d. regime del margine sulla base dell’esclusivo rilievo che gli organi
fiscali tedeschi avevano acclarato la non imponibilità delle operazioni di cessione da parte dei
fornitori della cessionaria-cfr.pag.10 sent.-. Ha poi aggiunto che gli elementi documentali non
consentivano di ritenere esistente “la prova certa della volontarietà di frodare il fisco”, escludendo
così la sanzione pure irrogata dall’ufficio.
9.15 Ora, è erronea la prospettazione della censura nella parte in cui vorrebbe sostenere che il

risultando il Attirai-io proprio in relazione ai particolari oneri di diliegnaza richiesti al predetto le
quante volte egli intenda avvalersi dello speciale regime del margine.
9.16 Ed è parimenti immune da vizi la valutazione operata dal giudice di appello in ordine al valore
attribuito agli accertamenti dell’amministrazione fiscale tedesca resi nell’ambito della piena
collaborazione fra autorità espressamente prevista dall’art.55 d.l.n.331/1991-cfr.Cass.

n.

21352/20129.17 Tuttavia, nel caso di specie l’analisi condotta dal giudice di appello appare non adeguatamente
nè congruamente svolta nella parte in cui ha tralasciato di considerare che ai fini dell’esclusione del
beneficio stesso il giudice è tenuto a verificare che il contribuente si trovava nella peculiare
condizione per cui sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una
operazione che si iscriveva in una frode all’IVA.
9.18 Tale indagine, a ben considerare, è stata totalmente tralasciata dalla CTR sull’unico
presupposto che gli accertamenti fiscali tedeschi avessero valenza probatoria superiore a quella
rappresentata dalle dichiarazioni rese dai fornitori alla ditta cessionaria.
9.19 Sul punto, la decisione appare carente, muovendo dal presupposto che il contribuente dovesse
corrispondere l’IVA secondo il regime ordinario per il solo fatto che le indagini fiscali penali
avevano assodato l’imponibilità delle operazioni a monte.
9.20 L’indagine, per contro, doveva essere completata verificando se, sulla base degli elementi
acquisiti in giudizio e considerando gli oneri di diligenza incombenti sul contribuente per come
riassunti ai §§ 9.10 ss. di questa sentenza, era possibile inferire che il contribuente anzidetto aveva
avuto la possibilità di conoscere la reale condizione dei beni o avrebbe potuto conoscerla.
9.20 Ed è ben chiaro che rispetto a tali conclusioni gli ulteriori elementi fattuali esaminati dal
tribunale penale di Bologna e richiamati dalla parte ricorrente, in quanto sopravvenuti rispetto alla
decisione impugnata, dovranno essere adeguatamente ponderati dal giudice del rinvio, proprio al
fine di verificare se, in concreto, la parte contribuente aveva avuto conoscenza, da parte della
contribuente, dell’impossibilità di applicare il regime del margine.
10. Il secondo motivo è infondato.

cessionario non ha alcun potere di verificare la validità delle dichiarazioni fornite dal cedente, anzi

10.1 Nessun valore di giudicato, invero, può riconoscersi alla sentenza penale assolutoria nel
giudizio tributario. Ed infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte nel contenzioso
tributario – in cui non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale ai sensi
dell’art. 654 cod. proc. pen., vigendo invece le limitazioni probatorie sancite dall’art. 7, quarto
comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e potendo ivi valere anche le presunzioni, inidonee a
supportare una pronuncia penale di condanna – la sentenza penale costituisce semplice indizio od

raccolte nel relativo giudizio e non rappresenta un accertamento preliminare necessario-cfr.Cass.n.
n.

4924/2013;Cass.

n.

8129 /2012;Cass.

n.

20860/2010-.

10.2 Tale conclusione è il frutto delle modifiche legislative introdotte dal D.Lgs. n. 74/2000 -artt.
20 e l’art. 25- in forza delle quali si è affermato il generale principio della piena e reciproca
autonomia tra processo tributario e giudizio penale.
10.3 Ed invero, Part.20 cit. ha introdotto il divieto di sospensione del processo tributario in attesa
dell’esito del processo penale, avente ad oggetto i medesimi atti o fatti dal cui accertamento dipende
la definizione della vicenda fiscale mentre l’art.25 cit., ha abrogato il titolo I della legge n. 516/1982
e con esso l’art. 12. Tale ultima disposizione prevedeva che la sentenza irrevocabile di condanna o
di assoluzione pronunziata in seguito al giudizio relativo a reati previsti in materia di imposte sui
redditi e di imposta sul valore aggiunto aveva autorità di cosa giudicata nel processo tributario per
ciò che concerneva i fatti materiali oggetto del giudizio penale. Inoltre, il comma 2 dell’art.12
aggiungeva che in caso di mancata scadenza del termine per l’accertamento, gli uffici delle imposte
dirette e dell’IVA erano abilitati a procedere ad accertamenti potendo integrare, modificare o
revocare gli accertamenti già notificati sulla base di quei fatti accertati con efficacia di giudicato
dalla sentenza penale.
10.4 Orbene, tale abrogazione, ad onta di quanto affermato dalla parte ricorrente, ha determinato il
venir meno del principio in base al quale la sentenza penale irrevocabile ha autorità di cosa
giudicata dinanzi al giudice tributario per tutto ciò che concerne i fatti materiali oggetto del giudizio
penale, dovendosi ormai ricercare esclusivamente all’interno del codice di procedura penale la
disciplina relativa ai rapporti fra i due procedimenti.
10.5 Tale disciplina è contenuta, in particolare, nell’art. 654 c.p.p. che, quanto ai limiti soggettivi,
prevede l’efficacia della sentenza penale irrevocabile (di condanna o di assoluzione) passata in
giudicato nei giudizi civili ed amministrativi diversi da quelli di danno solo nei confronti
dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o sia intervenuto nel
processo. Per altro verso -e sul versante dei limiti oggettivi- la sentenza penale di condanna o di
assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia nel giudizio civile purché non

elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove

sussistano, nella legge civile, limitazioni di ordine probatorio con riguardo alla posizione giuridica
controversa.
10.6 In definitiva, come acclarato dalla Cassazione penale, deve ritenersi che il ricordato art.20
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha ormai scolpito un ” … vero e proprio principio di reciproca
indipendenza tra il procedimento penale e il processo tributario” -Cass.pen.n.36913/2013 che
richiama, in motivazione Cass. pen.n.77391 2012-.

11. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, mancando apposito autonomo momento di sintesi nel
quale il ricorrente abbia dedotto la questione di fatto controversa e decisiva per il giudizio.
11.1 Ed invero, per pacifica giurisprudenza, è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc.
civ., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la
conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la
disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve
essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore
commesso dal giudice di merito-cfr.Cass.n.24255/2011-.
11.2 Ora, nel caso di specie la ricorrente si è limitata a dedurre senza la formulazione dell’autonomo
momento di sintesi, il vizio di omessa motivazione circa uno dei motivi esposti dalla contribuente a
giustificazione del proprio operato, senza nemmeno individuare la questione di fatto controversa.
12. Sulla base di tali elementi, il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui alla parte motiva, va
accolto, rigettati il secondo ed il terzo.
13. La sentenza impugnata va pertanto cassata per quanto di ragione, con rinvio ad altra sezione
della CTR che dovrà fare applicazione dei principi sopra affermati, anche ponderando gli elementi
tutti acquisiti al processo al fine di compiere gli accertamenti sopra indicati-cfr.Cass.n.
n. 9958/2008-.
13.1 Mette solo conto precisare, rispetto agli elementi eventualmente emersi nel corso del processo
penale e risultanti dalla sentenza del tribunale di Bologna richiamata dalla parte ricorrente ed
oggetto del secondo motivo di ricorso, che il giudice di rinvio dovrà parimenti considerare come nel
giudizio di rinvio non sono ammesse nuove prove, salvo che si tratti di nuovi documenti non potuti
depositare prima per causa di forza maggiore (Cass.14101/12) ovvero salvo che la sentenza
appellata sia stata annullata per violazione di legge e la Cassazione reimposti sotto diverso angolo la
vertenza sì da richiedere l’accertamento di fatti non trattati dalla parti e non esaminati dal giudice di
merito perché ritenuti privi di rilievo (Cass.n.16180/13). Ne consegue che se la sentenza penale

10.7 Sulla base dei superiori principi è dunque evidente l’infondatezza della censura.

ESENTE DA T ‘T. A 7,101’,1r
SENS
N. i3


,

MAISUA TRLCU’ff.
non fa stato nel processo tributario, per come sopra evidenziato la stessa, pur posteriore alla
sentenza di appello, può valere solo ad introdurre documenti ed elementi sopravvenuti al processo
tributario di merito.
14. Il giudice del rinvio pure procederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
la Corte
ertit–uk Roi1Mf3A
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Ijaziet per nuovo esame, la
quale pure procederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Coì eciso il 25 novembre 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione

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