Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6566 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/03/2017, (ud. 10/11/2016, dep.14/03/2017),  n. 6566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12474/2013 proposto da:

M.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, V.

GIOVANNI VITELLESCHI 26, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO

PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CECILIA BEVACQUA;

– ricorrente –

contro

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI QUATTRO

VENTI 57, presso lo studio dell’avvocato LUCA BOLOGNESI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO RADDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 218/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito l’Avvocato LAMICELLA Edoardo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato BEVACQUA Cecilia, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TURCHINI Stefano con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RADDI Stefano, difensore della resistente che ha

chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con citazione notificata il 6.7.2009 R.R. convenne innanzi al Tribunale di Firenze M.F., dalla quale aveva acquistato un immobile risultato affetto da vizi, onde ottenere il rimedio della riduzione del prezzo e la condanna della convenuta alla restituzione di quanto percepito in eccesso.

All’esito del giudizio, celebratosi in contumacia della M., il tribunale accolse la domanda, condannando quest’ultima al pagamento in favore dell’attrice dell’importo di Euro 38.300,00 oltre accessori e spese.

M.F. propose appello lamentando, fra l’altro e per quanto qui di interesse, l’inesistenza o la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e l’inesistenza della sentenza.

La R. si costituì chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’appello di Firenze dichiarò inammissibile l’impugnazione in quanto notificata oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1.

La Corte precisò al riguardo che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado era stato notificato alla M. a mezzo posta non già presso la sua residenza anagrafica (in (OMISSIS)), bensì presso quella effettiva (in (OMISSIS)) – nota alla controparte fin dall’epoca della vendita immobiliare – e qui l’atto era stato ricevuto dalla madre con lei convivente.

Disattese, pertanto, l’assunto difensivo dell’appellante, secondo cui l’atto doveva esserle notificato presso la nuova dimora ((OMISSIS)), che la controparte non poteva conoscere, in quanto neppure risultante dai registri anagrafici.

Da ciò l’inapplicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2 e la conseguente tardività dell’ impugnazione.

L’atto di appello era stato infatti notificato al procuratore domiciliatario della R. ben dopo la perenzione del termine di sei mesi dal deposito della sentenza di primo grado, termine così individuato in base al disposto dell’art. 46, comma 17, della L. n. 69 del 2009, applicabile al giudizio in quanto instaurato successivamente alla sua entrata in vigore. Avverso tale decisione M.F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi e l’intimata ha resistito con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Conviene per ragioni di priorità logica esaminare anzitutto il secondo, complesso, motivo di ricorso, articolato su quattro profili, con il quale la ricorrente denunzia violazione dell’art. 327 c.p.c., comma 2, censurando la statuizione della Corte d’Appello che ha affermato la regolarità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto effettuata presso la residenza effettiva dell’appellante, ex art. 140 c.p.c., con comunicazione a mezzo raccomandata ed avviso di ricevimento sottoscritto dalla madre convivente.

La ricorrente, in particolare, contesta che il luogo in cui fu effettuata la notifica, in via (OMISSIS), fosse il luogo in cui ella effettivamente risiedeva e deduce altresì la mancata produzione dell’avviso di ricevimento sottoscritto dalla madre.

Contesta altresì il fatto che, all’epoca della notifica dell’atto introduttivo, la madre fosse con lei convivente e lamenta infine che sia stata affermata la legittimità della notifica ex art. 140 c.p.c., nonostante la stessa fosse stata eseguita in un Comune diverso da quello di residenza del destinatario ((OMISSIS) anzichè (OMISSIS)).

Da ciò la conseguenza che si sarebbe dato corso al giudizio in violazione degli artt. 24 e 111 Cost..

Le censure appaiono destituite di fondamento.

Quanto al primo profilo, si osserva che la corte territoriale ha accertato che la notificazione fu eseguita presso la residenza effettiva del destinatario, nota al notificante in quanto a tale indirizzo era stata inviata, previa comunicazione della controparte, pochi mesi prima una raccomandata (relativa alla vendita effettuata), il cui avviso di ricevimento era stato regolarmente sottoscritto dalla ricorrente.

Orbene secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di notificazioni, ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale, quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti: il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata (Cass. 26985/2009).

Nel caso di specie il giudice di appello ha correttamente escluso ogni rilevanza della diversa residenza anagrafica della destinataria, in quanto, come ben noto alla notificante, non poteva corrispondere a quella effettiva.

La residenza anagrafica era stata infatti mantenuta presso l’immobile il cui possesso era stato trasferito sin dalla vendita alla notificante, onde certamente non poteva corrispondere alla sua residenza effettiva.

Ed invero, come questa Corte ha già affermato, è nulla la notifica ex art. 140 c.p.c., effettuata nel luogo di residenza del destinatario, come risultante dai registri anagrafici, qualora questi si sia trasferito altrove e il notificante ne conosca l’effettiva residenza o domicilio, in quanto evincibili dalla stessa relata dell’ufficiale giudiziario (Cass. 3590/2015).

Deve inoltre escludersi, in conformità al consolidato indirizzo di questa Corte, ogni rilievo di una diversa residenza della destinataria, in quanto non era stata comunicata alla notificante, nè poteva essere a lei nota, come desumibile dalla documentazione anagrafica prodotta e dalla stessa allegazione della ricorrente, la quale ha ammesso di aver effettuato il trasferimento anagrafico solo nell’anno 2010.

Nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, come nel caso di specie, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova (Cass. n. 10107/2014).

L’ufficiale giudiziario non è infatti tenuto a svolgere particolari ricerche, salvo che concorrano specifiche circostanze, idonee ad ingenerare il sospetto dell’eventuale trasferimento (Cass. 2929/2007; 17453/2006).

Avuto riguardo, infine, alla prova del perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c., risulta che l’avviso di ricevimento della raccomandata con la quale si dava notizia del deposito presso la casa comunale fu sottoscritto dalla madre convivente.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la consegna del piego a persona di famiglia convivente con il destinatario nel luogo indicato sulla busta contenente l’atto da notificare, fa presumere che in quel luogo si trovino la residenza effettiva, la dimora o il domicilio del destinatario, con la conseguenza che quest’ultimo, qualora intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di ottenere la dichiarazione di nullità della notifica, ha l’onere di fornire idonea prova contraria.

Tale prova, peraltro, non può essere fornita mediante la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza diversa dal luogo in cui è stata effettuata la notifica, in quanto siffatte risultanze, aventi valore meramente dichiarativo, offrono a loro volta una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario, il cui accertamento da parte del giudice di merito non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizi della relativa motivazione (Cass. n. 10091/2009).

Da ciò discende che nel caso di specie non è ravvisabile la dedotta nullità, nè la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., lamentata dalla ricorrente.

Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione della L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17 e art. 58, comma 1, dolendosi del fatto che la corte d’appello abbia ritenuto applicabile, al fine dell’individuazione del termine per impugnare, quello di sei mesi previsto dalle disposizioni invocate sul presupposto della loro intervenuta entrata in vigore, anzichè quello di un anno di cui alla norma previgente.

E ciò quantunque l’atto introduttivo del giudizio di primo grado fosse stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica a mezzo posta il giorno 2 luglio 2009, quando ancora la modifica della disposizione del codice di rito non era entrata in vigore, a nulla rilevando che l’atto fosse poi stato notificato al destinatario il successivo giorno 6 luglio, nella vigenza della nuova normativa.

Pure tale doglianza è infondata, posto che la notifica deve ritenersi perfezionata il 6 luglio 2009.

La distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e il destinatario dell’atto, risultante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, trova applicazione solo quando dall’intempestivo esito del procedimento notificatorio, per la parte di questo sottratta alla disponibilità del notificante, potrebbero derivare conseguenze negative per il notificante, quale la decadenza conseguente al tardivo compimento di attività riferibile all’ufficiale giudiziario, non anche quando la norma preveda che un termine debba decorrere o un altro adempimento debba essere compiuto dal tempo dell’avvenuta notificazione, dovendo essa in tal caso intendersi per entrambe le parti perfezionata al momento della ricezione dell’atto da parte del destinatario (Cass. n. 24346/2013).

Per determinare la litispendenza, infatti, si ha riguardo al perfezionamento del procedimento di notificazione tramite consegna dell’atto al destinatario, non operando la scissione soggettiva del momento perfezionativo per il notificante ed il destinatario, che vale solo per le decadenze non addebitabili al notificante (Cass. Ss.Uu. 23675/20914).

Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denunzia violazione dell’art. 325 c.p.c., assumendo che la corte avrebbe dovuto ritenere applicabile tale termine per proporre appello, decorrente dalla notifica nei suoi confronti della sentenza in forma esecutiva.

Pure tale motivo non ha pregio.

La valida notificazione della sentenza al contumace, anche se intervenuta (nella specie, in forma esecutiva) dopo la scadenza del termine lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza, è infatti idonea a far decorrere il termine breve per proporre impugnazione, qualora sussistano sia la condizione oggettiva della nullità dell’atto di citazione e degli atti di cui all’art. 327 c.p.c., comma 2, sia quella soggettiva della mancata conoscenza del processo a causa di detta nullità, la relativa prova spettando al contumace, salvo il caso di inesistenza della notificazione, la quale pone a carico di chi eccepisca che la parte ebbe, di fatto, conoscenza del giudizio l’onere di fornire la relativa prova Cass. Ss.Uu. 14570/2007; Cass. 837/2007; 20307/2012).

Orbene, nel caso di specie, esclusa sia l’inesistenza che la nullità della citazione dell’atto introduttivo, il decorso del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza ha dunque comportato, la decadenza dall’impugnazione; e ciò a prescindere dall’ulteriore requisito della mancata conoscenza del processo.

La reiezione del secondo, terzo e quarto motivo travolge l’esame del primo motivo, con il quale la ricorrente denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 5 e art. 161c.p.c., comma 2, per aver la Corte d’appello omesso di dichiarare l’inesistenza della sentenza del tribunale, redatta a mano su verbale, senza indicazione del giudice estensore e sottoscritta con una sigla priva di elementi idonei a consentirne l’individuazione.

Ed invero secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la c.d. inesistenza giuridica o nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, non riconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere in ogni tempo, mediante un’azione di accertamento negativo (c.d. actio nullitatis), ovvero con gli ordinari mezzi di impugnazione, ma, in tal caso, nel rispetto dei tempi e modi previsti dall’ordinamento(Cass. 27428/2009).

L’esperibilità dell’ actio nullitatis non esclude infatti che la parte possa dedurre l’inesistenza con i normali mezzi di impugnazione (Cass. 10784/1999; 13171/2004; 26040/2005), purchè tempestivamente.

Orbene, nel caso di specie risulta accertata la tardività dell’impugnazione della ricorrente, con la conseguenza che la dedotta inesistenza della sentenza di primo grado non è utilmente esperibile con gli ordinari mezzi di impugnazione nell’ambito del medesimo processo.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, applicabile ai procedimenti instaurati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in 4.700,00 Euro, di cui 4.500,00 Euro per compensi oltre ad accessori di legge.

Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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