Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6564 del 18/03/2010
Cassazione civile sez. lav., 18/03/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 18/03/2010), n.6564
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente –
Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. STILE Paolo – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28069-2006 proposto da:
A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPONIO
LETO 2, presso lo studio dell’avvocato STRONATI CLAUDIO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FOOD & BEVERAGE S.R.L., in persona del legale rappresentante
pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 20, presso
lo studio dell’avvocato CONTI GUIDO, che la rappresenta e difende
giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO TRIPPA CORRADO & FIGLI S.R.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3 893/2 005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 21/10/2005 R.G.N. 1503/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/01/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 11.5/21.10.2005, confermava la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede in data 18.2.2002, che aveva rigettato la domanda proposta da A. E. per far dichiarare l’inefficacia del licenziamento intimatogli dalla Food & Beverage srl, quale cessionaria della TCF srl, per la quale aveva lavorato quale agente, e al pagamento delle differenze conseguenti allo svolgimento di mansioni riconducibili alla posizione di quadro, previo accertamento della natura subordinata della relazione contrattuale instaurata.
Osservava la corte territoriale che il ricorrente non aveva provveduto a dimostrare, per come era suo onere, la sussistenza dei requisiti della subordinazione e che, a tal fine, inconducenti risultavano le istanze istruttorie avanzate.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.E. con un unico motivo. Resiste con controricorso la Food & Beverage srl.
Non si è costituito il Fallimento della TCF di Trippa Corrado e Figli srl.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 violazione degli artt. 175 e 420 c.p.c. nullità del procedimento e vizio di motivazione, prospettando che erroneamente la corte territoriale aveva disatteso l’ammissione della prova orale richiesta, sebbene la stessa fosse idonea a dimostrare tanto la natura subordinata del rapporto che le modalità di cessazione dello stesso.
Giova, al riguardo, premettere che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5 non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe, in realtà, che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, risultando del tutto estraneo all’ambito di operatività del vizio di motivazione la possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr, ad esempio da ultimo Cass. n. 11789/2005;
Cass. n. 4766/2006). Giusto in quanto l’art. 360 c.p.c., n. 5 “non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (così SU n. 5802/1998), non incontrando, al riguardo, il giudice di merito alcun limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le allegazioni che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ad es. Cass. n. 11933/2003; Cass. n. 9234/2006).
Sulla base di tali principi, la sentenza impugnata risulta immune dalle censure denunciate.
Ha accertato la corte di merito che, sebbene fosse onere del ricorrente dimostrare la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione, del tutto apodittiche erano rimaste le affermazioni dallo stesso svolte circa la dipendenza dai vertici aziendali e la natura delle mansioni espletate, prive, in realtà, di specifiche indicazioni circa gli elementi caratterizzanti la prestazione, e che le richieste istruttorie avanzate non risultavano a tal fine decisive e coerenti, per riguardare apprezzamenti irrilevanti e generici e valutazioni precluse ai testimoni.
A fronte di tale accertamento, succintamente ma correttamente motivato, il ricorrente si è limitato a prospettare che la corte d appello ha “gravemente errato” nel non ammettere la prova testimoniale, che “avrebbe … dimostrato appieno” quanto sostenuto in ricorso, ma senza individuare e specificare le ragioni che inducono a qualificare come illogiche o contraddittorie le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine alla ricostruzione dei fatti costitutivi della domanda operata dallo stesso ricorrente e alle relative allegazioni istruttorie, per come era pur imposto dai necessari caratteri di specificità e completezza che debbono caratterizzare, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, l’atto di impugnazione, le cui censure, per consentire un puntuale apprezzamento della questione controversa, debbono manifestare uno specifico e chiaro collegamento col decisum del provvedimento impugnato.
In coerenza, del resto, con il costante indirizzo interpretativo per cui la mancata assunzione di un mezzo istruttorio può dar luogo ad un difetto di motivazione solo se le circostanze oggetto della prova, costituendo punti decisivi, avrebbero potuto determinare una diversa decisione del giudice di merito, attraverso una valutazione che va operata in termini di certezza e non di mera probabilità (v. ad es.
Cass. n. 21249/2006; Cass. n. 5473/2006; Cass. n. 2116/1992).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte costituita delle spese, che liquida in Euro 11,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010