Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6560 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/03/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 18/03/2010), n.6560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA ROMA S.P.A., già denominata MINGHETTI FINANZIARIA S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale

atto notar ANTONIO MARIA ZAPPONE di ROMA del 28/09/06, rep. 814 01;

– ricorrente –

contro

R.P.;

– intimato –

e sul ricorso 33865-2006 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato FONTANA GIUSEPPE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FELUCA ANTONIO, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

BANCA ROMA S.P.A., già denominata MINGHETTI FINANZIARIA S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale

atto notar ANTONIO MARIA ZAPPONE di ROMA del 28/09/06, rep. 81401;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2624/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/05/2006 R.G.N. 2059/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato FELUCA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato a R. P. in data (OMISSIS) da parte della s.p.a. Banca Di Roma e condannava la suddetta società “al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento al raggiungimento dell’età pensionabile”.

Premesso che il licenziamento de quo doveva essere inquadrato nell’ambito dei licenziamenti per riduzione di personale, disciplinati dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, osservava che l’accordo sottoscritto dalle parti sociali all’esito della procedura prevista dalla normativa sopra citata, dopo aver indicato l’obiettivo di ridurre il personale di 700 unità nel 1998 e dopo aver fissato alcuni criteri di scelta per l’individuazione del personale da licenziare, aveva previsto una clausola di riserva in forza della quale era stata riconosciuta all’azienda la facoltà di mantenere in servizio 130 unità, ancorchè in possesso dei requisiti individuati dai citati criteri di scelta, allo scopo di salvaguardare la funzionalità della struttura operativa ed organizzativa aziendale in tutte le sue componenti.

Osservava che la suddetta clausola introduceva un ulteriore criterio di scelta, da considerarsi illegittimo in quanto privo di oggettività e di sufficiente specificità, che incideva in termini di mancanza di trasparenza e di coerenza nella stessa applicazione dell’accordo sottoscritto dal datore di lavoro con le organizzazioni sindacali. Riteneva infine che la suddetta clausola incideva su tutti i criteri di scelta adottati non essendo stato dimostrato dalla società che il mantenimento in servizio dei lavoratori che la clausola di riserva aveva consentito di sottrarre al numero delle unità da licenziare non aveva inciso sulla graduatoria.

Ritenuta l’illegittimità del licenziamento de quo e la conseguente applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, escludeva di poter disporre la reintegrazione del lavoratore atteso che questi aveva superato il 65^ anno di età e che non sussistevano ragioni per credere che lo stesso avesse titolo per proseguire il rapporto oltre tale età. Condannava pertanto Banca di Roma s.p.a. unicamente al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (31 maggio 1998) alla data del raggiungimento dell’età pensionabile.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Banca di Roma s.p.a. affidato a tre motivi; il lavoratore resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a un unico motivo. Banca di Roma s.p.a. resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Col primo motivo del ricorso principale l’istituto bancario lamenta il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha affermato la nullità della cd. clausola dei 130.

Deduce in primo luogo che la Corte territoriale aveva affermato in modo del tutto apodittico che la suddetta clausola determinava un irrazionale stravolgimento della graduatoria; ed infatti le esigenze organizzative dell’impresa, a tutela delle quale la clausola in questione era stata inserita, sono ritenute perfettamente legittime.

Sottolinea poi che il mantenimento in servizio dei soli dipendenti necessari a garantire le funzionalità organizzative delle strutture di appartenenza costituiva una circostanza verificabile ex post, inoltre era previsto che le organizzazioni sindacali sarebbero state adeguatamente informate in ordine alle posizioni di lavoro interessate dall’applicazione della clausola; infine, poichè le unità ancora in servizio al termine del triennio sarebbero state portate in detrazione dal numero degli esuberi conclusivi, la clausola avrebbe avuto l’effetto di salvare posti di lavoro.

Col secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1419 cod. civ., nonchè vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la nullità della clausola potesse determinare la nullità dell’intero accordo contrattuale del 21 marzo 1998.

L’istituto ricorrente deduce che la cd. clausola dei 130 aveva carattere non già essenziale bensì accessorio. Il successivo comportamento della Banca, che aveva utilizzato la clausola in esame in minima parte, costituiva una ulteriore dimostrazione, disattesa peraltro dalla Corte territoriale, del carattere accessorio della clausola in questione.

Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., con riferimento alla statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la società non aveva provato che la clausola dei 130 non aveva avuto incidenza sulla posizione in graduatoria del R.. Ed infatti la Banca aveva già nel primo grado di giudizio allegato che la clausola aveva trovato applicazione relativamente a poche unità e non aveva inciso sulla posizione del R. e tali allegazioni non erano state contestate dalla controparte.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione ed erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè vizio di motivazione con riferimento alla omessa condanna, da parte della Corte territoriale alla reintegrazione del lavoratore quale conseguenza della declaratoria di illegittimità del licenziamento.

I tre motivi del ricorso principale devono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi.

Questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 24 aprile 2007 n. 9866) ha precisato che, in materia di licenziamenti collettivi – come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale), poichè adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Con la stessa sentenza la Corte ha altresì affermato che il suddetto accordo, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, può adottare uno o più criteri di scelta in sostituzione di quelli legali, a condizione che i nuovi criteri adottati escludano qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro.

La necessità che i criteri di scelta adottati in sede di accordo tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali escludano margini di discrezionalità da parte del datore di lavoro è stata ribadita anche da Cass. 2 settembre 2003 n. 12781.

Nel caso in esame la Corte di merito ha correttamente applicato i suddetti principi. Ed infatti, nell’interpretare l’accordo stipulato in data 20 marzo 1998 dall’Istituto di credito con le organizzazioni sindacali, ha osservato che lo stesso – dopo aver individuato una serie di criteri per l’individuazione dei lavoratori da licenziare (al fine di raggiungere lo scopo di ridurre il personale di 700 unità entro l’anno 1998), ed in particolare, oltre alla volontarietà, il possesso dei requisiti di legge per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia, ovvero, in via gradata, la prossimità alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione AGO, con la previsione di correttivi in relazione ai carichi familiari dei singoli lavoratori per le ipotesi di concorrenza di più soggetti – conteneva una clausola di riserva in forza della quale si riconosceva all’azienda la facoltà di mantenere in servizio 130 unità, ancorchè in possesso dei suddetti requisiti (di anzianità contributiva o anagrafica), in relazione allo scopo di salvaguardare la funzionalità della struttura operativa ed organizzativa aziendale, con onere per l’azienda di fornire alle organizzazioni sindacali sfegata informativa in ordine alle posizioni di lavoro interessate. La clausola prevedeva altresì la precisazione che essa non riguardava gli esodi volontari e che le predette unità ancora in servizio al termine del triennio sarebbero state portate in detrazione dal numero degli esuberi conclusivi.

La Corte di merito ha osservato in particolare che tale clausola si pone in contrasto con i parametri di razionalità, ragionevolezza e non discriminazione in quanto introduce criteri privi dei caratteri di obiettività e generalità destinati ripercuotersi inevitabilmente nella fase di attuazione dell’accordo stesso e quindi nella scelta dei lavoratori da licenziare. Ed infatti la facoltà di mantenere in servizio 130 unità in possesso dei requisiti, che in base al medesimo accordo sui criteri di scelta, ne avrebbero consentito il licenziamento non poteva non determinare l’irrazionale stravolgimento della scelta da operare annullando di fatto i risultati di una valutazione comparativa effettuata sulla base degli altri parametri.

Il ragionamento seguito dalla Corte territoriale resiste agevolmente alle censure proposte dalla società ricorrente principale.

Quanto al denunciato vizio di motivazione ed alla censura di violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, deve osservarsi, in primo luogo, che la Corte territoriale ha dato ampia e logicamente corretta motivazione circa le ragioni per cui la cd.

clausola dei 130 non poteva essere considerata come meramente accessoria rispetto all’accordo sui criteri di scelta. Tale clausola si inserisce, infatti, nel suddetto accordo integrando i criteri in esso fissati con la previsione di una loro derogabilità a tutela di esigenze di funzionalità operativa ed organizzativa dell’azienda.

Non può pertanto parlarsi di nullità parziale dell’accordo in quanto l’assetto complessivo dei criteri di scelta fissati dall’accordo stesso è intrinsecamente caratterizzato dal contenuto della clausola in esame. Nè può dubitarsi del fatto che l’accordo così come formulato, nella sua integrità, sia affetto da nullità.

Esso infatti, nel prevedere la derogabilità dei criteri di scelta concordati a favore di un certo numero di lavoratori, senza fissare precisi parametri per l’individuazione di tali lavoratori – non potendosi qualificare tale il generico riferimento, contenuto nella clausola, allo scopo di salvaguardare la funzionalità della struttura operativa ed organizzativa aziendale in tutte le sue componenti -, introduce un ambito di discrezionalità a favore del datore di lavoro nella scelta dei lavoratori da licenziare che, come si è sottolineato nella giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, non è consentito per tale tipo di accordi.

Nè tale ambito di discrezionalità trova un limite nell’impegno della società, stabilito nell’accordo in esame, di fornire adeguata informativa in ordine alle posizioni di lavoro interessate.

L’informativa presuppone, infatti, una scelta già compiuta che, per le ragioni sopra indicate, rimane discrezionale. Per le medesime ragioni non giova alla ricorrente principale invocare la verificabilità ex post dell’applicazione concreta della clausola in esame.

Altrettanto inconferente, rispetto alla problematica concernente la legittimità dell’accordo in questione, è la clausola secondo cui le unità ancora in servizio al termine del triennio (in virtù della clausola) verranno portate in detrazione dal numero degli esuberi conclusivi. E’ infatti evidente che la suddetta clausola, riguardando una fase successiva alla scelta dei lavoratori da licenziare, non incide sui profili attinenti all’illegittimità dell’accordo sui criteri di scelta.

Per le medesime ragioni anche il terzo motivo di impugnazione è privo di pregio, atteso che le allegazioni concernenti, da un lato, il numero ridotto delle unità lavorative salvate dal licenziamento in applicazione della cd. clausola dei 130 e, dall’altro, l’anzianità contributiva del R. che avrebbe reso comunque inevitabile il licenziamento, non sono tali da inficiare le conclusioni della Corte di merito circa l’inevitabile sussistenza di uno stravolgimento della scelta dei lavoratori da licenziare.

Premesso infatti che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la corretta applicazione dei criteri di scelta, appare corretto il rilievo operato dalla Corte territoriale secondo cui il datore di lavoro non ha provveduto ad indicare nominativamente i lavoratori relativamente ai quali aveva applicato la clausola di riserva nè ha fornito elementi utili a consentire una verifica della scelta compiuta. In altre parole non ha fornito elementi di valutazione idonei a verificare le ragioni per cui la scelta dei lavoratori da mantenere in servizio sia caduta su lavoratori diversi dal R..

Il ricorso principale deve essere in definitiva rigettato.

Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata è stata depositata in data 29 maggio 2006, e quindi nella vigenza dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, a norma del quale, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Nel caso di specie il ricorso incidentale è inammissibile nella parte in cui viene denunciata violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto è del tutto privo di quesito di diritto. E’ altresì inammissibile anche nella parte in cui invoca il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) atteso che l’art. 366 bis c.p.c., impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti (Cass. S.U. 12 maggio 2008 n. 11652); ed infatti il motivo di ricorso, tutto incentrato sulla denuncia della violazione di legge, è privo di indicazioni volte ad individuare il vizio di motivazione.

Tenuto conto della parziale reciproca soccombenza si reputa conforme a giustizia compensare tra le parti il 50% delle spese del giudizio di cassazione e condannare la ricorrente principale al pagamento del residuo 50% liquidato come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa per il 50% le spese del giudizio di Cassazione e condanna la ricorrente principale al pagamento del residuo 50% liquidato in Euro 15,00, oltre Euro 1500,00 (millecinquecento) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

 

 

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