Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 656 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 15/01/2020), n.656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13010/2018 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in Roma Largo Somalia n. 53,

presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che lo rappresenta e

difende, unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina, giusta

procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende ope legis.

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il

20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/10/2019 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, R.A., cittadino del Pakistan, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata al medesimo dalla competente Commissione territoriale. Con Decreto n. 987 del 2018, depositato il 20 marzo 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.

2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento al medesimo dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non attendibili le dichiarazioni del richiedente circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, e non sussistente, ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), una situazione di violenza generalizzata nel Paese d’origine, nonchè rilevando che non erano state allegate dal medesimo specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso R.A. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. Il resistente ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111, e 77 Cost..

1.2. Le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.

1.2.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputarsi, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.

1.2.2. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

1.2.3. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr., su tutti i profili suindicati, Cass., 05/07/2018, n. 17717; Cass., 05/11/2018, n. 28119).

1.2.4. Neppure coglie nel segno, infine, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, e non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr, tra le tante, Corte Cost., 25/09/2007, n. 351; Corte Cost., 21/02/2007, n. 107; Corte Cost., 12/02/2003, n. 84). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30/10/2018, n. 27700; Cass., 05/11/2018, n. 28119).

2. Con il secondo motivo di ricorso, R.A. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto – ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – non attendibile la narrazione dei fatti che lo avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere perseguitato dai familiari dell’uccisore di un suo cugino, per avere il richiedente denunciato il loro congiunto.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.2.1. Nel caso di specie, il giudice adito ha, invero, ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque non idonee a fondare la domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni del richiedente, non essendo credibile che il medesimo, pur non avendo assistito all’omicidio del cugino, si fosse indotto a denunciare i presunti aggressori, pur non potendo essere in alcun modo certo della loro colpevolezza. Di più, del tutto inverosimile si è rivelato il fatto che – sebbene il movente del delitto, peraltro spazialmente collocato dall’istante in luoghi diversi, nelle dichiarazioni rese in sede amministrativa e giurisdizionale, fosse da individuare, a detta dell’esponente, nei contrasti per la proprietà di alcuni terreni – nessun altro componente della famiglia del cugino, proprietaria dei terreni in questione, avrebbe mai ricevuto minaccia alcuna, mentre i pretesi aggressori se la sarebbero presa esclusivamente con il denunciante, pur sapendo che non era in grado di riferire nulla di concreto sulla dinamica del delitto. A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758). E neppure risulta che l’istante abbia allegato e dimostrato, nel giudizio di merito, di essersi rivolto alle autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c).

Alla stregua di tali considerazioni, va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non credibilità dello straniero – la concessione al medesimo dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

2.2.2. Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del decreto succitato, va osservato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato che i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda personale del richiedente, in relazione alla quale il medesimo è stato, peraltro, ritenuto inattendibile. Ad ogni buon conto, il Tribunale ha altresì accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali, citate nel provvedimento – che la regione di provenienza del ricorrente è immune da una situazione di violenza, derivante da un conflitto armato interno o internazionale, mentre la censura sul punto è del tutto generica.

2.3. Per tali ragioni, pertanto, il mezzo – poichè inammissibile – deve essere disatteso.

3. Con il terzo motivo di ricorso, R.A. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia inteso concedere al medesimo neppure la protezione umanitaria, sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità del richiedente.

3.2. La censura è inammissibile.

3.2.1. Il giudice territoriale ha, invero, motivato il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenziano situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata non attendibilità della narrazione dei fatti operata dal medesimo e la mancato allegazione di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461).

Nè il ricorrente – al di là di un riferimento del tutto generico, in quanto in alcun modo circostanziato, alle proprie condizioni di salute ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.

3.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.

4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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