Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6559 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/03/2010, (ud. 17/11/2009, dep. 18/03/2010), n.6559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G., M.R.M., P.A.,

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARCIALIS

LUIGI, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

LAVORAZIONI INDUSTRIALE DEL SALE (LI.SAL.) S.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato SARACENI

STEFANIA, rappresentata e difesa dall’avvocato PINNA ELIGIO, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 14/07/2005 R.G.N. 215/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/11/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato MARCIALIS LUIGI;

udito l’Avvocato SARACENI STEFANIA per delega PINNA ELIGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi in data 31 ottobre 1997 al Giudice del Lavoro di Cagliari (successivamente riuniti per ragioni di connessione), B.G., M.R.M. e P.A. esponevano di avere lavorato alle dipendenze della ITALKALI S.p.a.

fino al 18 giugno 1997, data in cui la Società aveva ceduto alla LI.SAL. S.r.l. un ramo di azienda sito in (OMISSIS), località (OMISSIS).

Precisavano che, a seguito della cessione, i dipendenti della ITALKALI S.p.a., in base alle previsioni del contratto di cessione ed a seguito di comunicazione da parte di entrambe le società interessate all’operazione, erano stati assunti dalla LI.SAL. S.r.L..

Aggiungevano che, in vista della cessione, al fine di poter acquisire e riattivare lo stabilimento della ITALKALI S.p.a., la LI.SAL. S.r.l.

aveva richiesto un finanziamento regionale in forza della L.R. n 66 del 1976, e la Giunta, con atto n. 9/38 del 7.3.1987, aveva deliberato di concedere un finanziamento di L. 800.000.000 alle condizioni previste nella relazione istruttoria della SFIRS, fra le quali era contemplata l’assunzione delle unità lavorative licenziate dalla ITALKALI S.p.a. con l’impegno, da parte della ditta cessionaria, di mantenere occupate le unità lavorative per tutta la durata del finanziamento fissata in dieci anni.

Soggiungevano che in data 20 luglio 1997 avevano, tuttavia, ricevuto una lettera di licenziamento dalla LI.SAL. S.r.l. con la motivazione che il personale amministrativo risultava in eccedenza rispetto alle effettive esigenze aziendali.

Ciò premesso, i ricorrenti, lamentando di essere stati illegittimamente licenziati, pur in mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, stante l’insussistenza delle ragioni poste a base dei recessi (l’esubero del personale amministrativo e la necessità organizzativa aziendale di ridurre il suddetto personale), ed in violazione dell’impegno assunto dalla LI.SAL. S.r.l. con la ITALKALI S.p.a., chiedevano la condanna della prima al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti ed corrispondere in loro favore, nell’ammontare risultante da specifici conteggi.

La LI.SAL. Srl si costituiva contestando le domanda con articolate argomentazioni.

Con sentenza 12 novembre – 24 dicembre 2003, il Giudice Unico del Tribunale di Cagliari accoglieva le domande, dichiarando la nullità/inefficacia dei licenziamenti intimati ai ricorrenti in data 29 luglio 1997, condannando la LI.SAL. S.r.l. a reintegrarli nel posto di lavoro ed a risarcire loro il danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dal giorno dei licenziamenti fino a quello dell’effettiva reintegrazione, da dedurre l'”aliunde perceptum” per i soli B. e P., come risultante dalla documentazione dei redditi acquisita in atti, con rivalutazione monetaria ed interessi.

Contro tale decisione, con ricorso 20 aprile 2004, appellava la LI.SAL. S.r.l.

chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto delle domande.

Resistevano i lavoratori concludendo, in via principale, per la conferma della sentenza, ed in via subordinata (in accoglimento del proposto appello incidentale) per la condanna della LI.SAL. S.r.l. al pagamento, in favore di ciascuno, delle somme non corrisposte e già richieste in primo grado per differenze retributive, premio di produzione, indennità sostitutiva di mancato preavviso e T.F.R..

Con sentenza del 20 aprile-14 luglio 2005, l’adita Corte di Appello di Cagliari accoglieva per quanto di ragione l’appello principale nonchè l’appello incidentale.

Osservava, in particolare e tra l’altro, che il materiale probatorio acquisito induceva a ritenere la sussistenza delle condizioni cui la legge subordina la riconducibilità dei recessi alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo stante la provata effettività delle esigenze organizzative che, nella specie, avevano indotto la LI.SAL a sopprimere le tre unità addette al servizio amministrativo e, quindi, a recedere dal rapporto con i tre lavoratori, e stante pure la indimostrata possibilità di reimpiego in altre mansioni e l’assenza di garanzia di durata dei rapporti.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono i lavoratori con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste la società con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 e dell’art. 3, nonchè motivazione insufficiente e/o contraddittoria su un punto decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamentano che la Corte di Appello di Cagliari, erroneamente interpretando il materiale istruttorio ed, altrettanto erroneamente, valorizzando circostanze, che avevano, al contrario, indotto il Giudice di primo grado a ritenere non dimostrata la sussistenza delle ragioni poste a base del recesso, abbia ritenuto, nei licenziamenti in oggetto, la sussitenza del giustificato motivo oggettivo.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., ovvero l’insufficienza o contraddittorietà di motivazione, lamentano che il Giudice di secondo grado abbia espressamente ritenuto di doversi attenere al dato letterale della clausola del contratto di cessione di azienda, concernente l’impegno a mantenere occupate le unità operative per almeno dieci anni, considerando detto dato “chiaro nell’escludere la sussistenza di un obbligo a carico della società cessionaria di garantire la continuità dei rapporti per una certa durata”.

Così operando, il Giudice a quo sarebbe incorso nella violazione dell’art. 1362 c.c., che impone, invece, di indagare la comune volontà delle parti, di non limitarsi al senso letterale delle parole e di considerare anche il comportamento complessivo delle parti stesse.

Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1411 e 1362 c.c., nonchè motivazione insufficiente e/o contraddittoria su un punto decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Osservano che la richiesta di finanziamento e il decreto assessoriale di concessione configurerebbero un contratto a favore di terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c.; con la conseguenza che i lavoratori, avendo con la domanda giudiziale, manifestato inequivocabilmente la volontà di avvalersi della pattuizione in loro favore, l’avrebbero resa, in tal modo, irrevocabile (art. 1411 c.c., comma 2).

Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è infondato. Va preliminarmente osservato che la Corte territoriale, in punto di fatto, ha accertato che la società ITALKALI S.p.A., con sede in Palermo, aveva ceduto alla LI.SAL. S.r.l. il ramo di azienda costituito da uno stabilimento per la trasformazione e la lavorazione del sale marino sito in (OMISSIS), con contratto in data 18 giugno 1997, che al suo art. 3, comma 4, prevedeva l’impegno della LI.SAL. S.r.l. “a garantire la continuità del posto di lavoro, mediante assunzione della forza di lavoro pregressa nello stabilimento alle condizioni attuali di trattamento”; che i lavoratori, attuali ricorrenti, lavoravano alle dipendenze della Società cedente ITALKALI S.p.a.: B.G. come Responsabile dello stabilimento, inquadrato nella Ctg. (OMISSIS) (Quadri); M.R.M. come impiegata amministrativa, inquadrata nella Ctg. (OMISSIS); P.A. come impiegato amministrativo, inquadrato nella Ctg. (OMISSIS); che la Società cessionaria LI.SAL. S.r.l. aveva provveduto alle assunzioni del personale in carico alla Società cedente con lettere del 18 giugno 1997 ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 cod. civ. e, successivamente, con lettere del 29 luglio 1997, aveva comunicato ai suddetti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; che i lavoratori occupati presso la Società cedente ITALKALI S.p.a., al momento della cessione, erano complessivamente tredici di cui quattro con qualifica di impiegati amministrativi.

La stessa Corte ha poi tenuto a rimarcare che nelle lettere di licenziamento, in data 29 luglio 1997, si faceva presente che il personale amministrativo risultava in assoluta eccedenza rispetto alle reali ed effettive esigenze aziendali, con conseguente decisione di attuare nel settore una riduzione del personale che consentisse una più economica gestione dell’impresa e rendesse l’ufficio proporzionato alle necessità. A ciò era da aggiungere che la Società, da calcoli fatti, si trovava già in forte passivo, sicchè, per questi motivi, si rendeva necessario sopprimere tre unità addette all’ufficio amministrativo; e di qui la comunicazione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo con dispensa del preavviso.

In questo contesto, il Giudice a quo ha voluto innanzitutto valutare il contenuto dell’impegno assunto dalla Società cessionaria con la sottoscrizione del contratto in data 18 giugno 1997 che, all’art. 3, comma 4, prevedeva che la LI.SAL. S.r.l. garantisse “… la continuità del posto di lavoro, mediante assunzione della forza di lavoro pregressa nello stabilimento alle condizioni attuali di trattamento”, e, nella sua attività interpretativa, è pervenuta alla conclusione che il tenore letterale della clausola era chiaro nell’escludere la sussistenza di un obbligo a carico della Società cessionaria di garantire la continuità dei rapporti per una certa durata.

L’impegno della LI.SAL. S.r.l. risultava, infatti – a giudizio del Giudice di merito – semplicemente, indirizzato a favorire la “continuità dei rapporti”, ma non di certo a non procedere ad alcun licenziamento.

L’interpretazione proposta – ad avviso della Corte territoriale – era, del resto, conforme al “tipo” contrattuale dal momento che la garanzia concernente la continuità dei rapporti caratterizzava la stessa fattispecie del trasferimento d’azienda (o di un ramo di essa), ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., la cui disciplina non interdice la possibilità, per l’imprenditore, di recedere dai rapporti di lavoro, tutte le volte che si realizzino le condizioni cui la legge subordina il potere datoriale di recedere dai rapporti di lavoro instaurati con il proprio personale dipendente; sicchè era da ritenere che lo stesso inserimento, nell’art. 3, comma 4, del contratto di cessione del 18 giugno 1997, di una garanzia relativa alla continuità del posto di lavoro si rivelasse affatto pleonastica perchè, anche se non fosse stata espressamente prevista, non per ciò solo sarebbe venuto meno, a carico della Società cessionaria, un obbligo nascente direttamente dalla legge (ex art. 2112 cod. civ.).

E’ principio ripetutamente affermato da questa Corte che l’interpretazione del contratto – individuale o collettivo di diritto comune – è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica.

Nell’interpretazione dei contratti, ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole – prevalgono su quelli interpretativi-integrativi; l’indagine sulla corretta applicazione di essi compete al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. 25 ottobre 2005 n. 20660).

Nella sua motivazione, l’impugnata sentenza affronta anche l’ulteriore questione, anch’essa oggetto di esame nel presente ricorso, secondo cui, nella prospettazione difensiva dei lavoratori, il riferimento, nel contratto di cessione, alla continuità dei rapporti, spiegherebbe l’assunzione, da parte della LI.SAL S.r.l., di un obbligo ulteriore rispetto a quello “minimo” previsto dall’art. 2112 cod. civ.: in altre parole, l’impegno della Società acquirente a mantenere nel tempo il rapporto di lavoro in corso a garanzia di quei lavoratori (e non altri) che erano già alle dipendenze della ITALKALI S.p.a., si evincerebbe anche dalla richiesta del Finanziamento ex L.R. n. 66 del 1976, da parte della LI.SAL. S.r.l., la quale rappresenterebbe un elemento confermativo di un impegno ulteriore, rispetto a quello previsto dall’art. 2112 cod. civ., a tenere ferme nel tempo le assunzioni degli ex dipendenti ITALKALI S.r.l..

Ma a tale osservazione, la Corte ha replicato che detta circostanza non avalla, ma anzi contraddice la tesi dei lavoratori, se si considera che il contratto di finanziamento regionale non era mai stato stipulato (tant’è che la SFIRS in data 20 luglio 2000 comunicò alla LI.SAL. S.r.l. l’archiviazione della pratica per l’inutile decorso del tempo dalla comunicazione di concessione del finanziamento nel marzo 1997), laddove solo il perfezionamento del suddetto contratto di finanziamento (contenente espressamente l’impegno del mutuatario di mantenere occupate le unità lavorative per tutta la durata del finanziamento, stabilita in dieci anni), avrebbe semmai, vincolato la LI.SAL. S.r.l. nel senso preteso dai lavoratori. A questo proposito, il Giudice di appello ha tenuto a segnalare che la rinuncia al finanziamento, era stata motivata dalla Società appellante “con il fatto che il mantenimento del numero di unità lavorative richieste dal finanziamento avrebbe comportato il persistere dello stato di perdita finanziaria”; pertanto, doveva ribadirsi che la garanzia di non procedere a licenziamenti di personale per una certa durata, escluso che potesse discendere dalla decennalità di un contratto di mutuo mai perfezionato, avrebbe dovuto essere inserita nello stesso contratto di cessione con una clausola espressa contenente l’indicazione anche del limite temporale.

Correttamente, pertanto di fronte al mancato perfezionamento della fattispecie complessa sopra evidenziata, la Corte territoriale ha escluso che i ricorrenti potessero avanzare pretese ai sensi dell’art. 1411 c.c..

Quanto alla questione riguardante la sussistenza delle ragioni oggettive poste a base dei licenziamenti di cui trattasi ed all’assolvimento del conseguente onere probatorio, gravante per legge sulla Società, la Corte territoriale ha preso in esame la documentazione in atti e le dichiarazioni dei testi e, dopo averle complessivamente valutate, è pervenuta alla conclusione della sussistenza delle ragioni obiettive che hanno determinato la Società appellante a recedere dal rapporto con il B., la M. ed il P.: ovverosia, la sproporzione del numero degli impiegati addetti al settore amministrativo (quattro) rispetto alle reali ed effettive esigenze aziendali che imponevano di potenziare, semmai, il personale con categoria operaia, in considerazione, altresì, dell’impegno personale e diretto nell’ufficio amministrativo del Sig. C.L. A. U. della Società.

Quest’ultima – precisa la Corte – ha anche allegato e dimostrato che nell’anno 1997 vi era stata una perdita di esercizio di L. 349.648.271 (ben evidenziata dal BILANCIO e ben illustrata nella relazione di accompagnamento degli amministratori), di guisa che l’azienda, non avrebbe potuto far fronte all’onere economico derivante dall’impiego di quattro addetti al settore amministrativo su un totale di tredici dipendenti.

Ad avviso della Corte le risultanze, sul punto, sono state sottovalutate dal primo Giudice il quale aveva anche omesso di considerare che il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative produttive che legittimano il licenziamento del lavoratore deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell’impresa, ed il sindacato del Giudice trova un preciso limite nel principio di libertà della iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost., e non può spingersi fino a comprendere il merito delle scelte operate dall’imprenditore.

Così argomentando la Corte di merito ha mostrato di adeguarsi all’orientamento giurisprudenziale consolidato nel senso di ritenere che la determinazione dell’imprenditore di procedere al licenziamento di uno o più lavoratori non sia di per sè illegittima quando il datore di lavoro vi ricorra non fittiziamente ma per ragioni oggettive sul piano tecnico, organizzativo e produttivo (ex plurimis, Cass. 22 agosto 2007 n. 17887).

La Corte non ha poi neppure voluto esimersi dall’affrontare l’aspetto relativo all’assolvimento dello ulteriore onere per il datore di lavoro di provare l’impossibilità di una “differente” utilizzazione dei lavoratori licenziati nell’ambito dell’azienda con l’attribuzione di mansioni “diverse” rispetto a quelle per le quali era stato assunto, trattandosi di questione che non è stata neppure prospettata dagli interessati.

In proposito, ha ancora una volta richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex plurimis, Cass. 22 ottobre 2009 n. 22417), secondo cui siffatto onere può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, con l’ulteriore precisazione che il lavoratore, pur non avendo il relativo onere probatorio, che grava per intero sul datore di lavoro, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego, onere che, nella specie, non risulta assolto dai lavoratori. Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato, riguardando le ulteriori critiche mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata valutazioni di merito non deducibili in questa sede.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

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