Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6558 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 28/02/2022), n.6558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11635/2021 R.G. proposto da:

J.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Carotta, con

domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 206/21,

depositata il 2 febbraio 2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre

2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che J.E., cittadino del Gambia, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 2 febbraio 2021, con cui la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 24 febbraio 2019 dal Tribunale di Venezia, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere la credibilità delle dichiarazioni da lui rese a sostegno della domanda, la Corte d’appello ha omesso di valutare le censure da lui proposte, non avendo tenuto conto della plausibilità e verosimiglianza della vicenda narrata, che non aveva costituito oggetto di richieste di precisazioni o approfondimenti in sede di audizione, e non avendola posta a confronto con le informazioni disponibili in ordine alla situazione del suo Paese di origine;

che il motivo è inammissibile, per difetto di specificità e pertinenza;

che, nel disattendere le censure proposte avverso l’ordinanza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso la credibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda, la sentenza impugnata ne ha infatti escluso in primo luogo l’ammissibilità, rilevando che l’atto di appello non si confrontava con le osservazioni specificamente formulate dal Tribunale in ordine alla logicità ed alla coerenza della narrazione, e procedendo quindi soltanto ad abundantiam alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente;

che, nel censurare la predetta statuizione, il ricorrente non si cura di confutare il rilievo pregiudiziale formulato dalla Corte territoriale, limitandosi a lamentare l’omessa valutazione delle censure da lui proposte, senza neppure riportarne il contenuto a corredo del motivo d’impugnazione, nonché ad insistere sull’attendibilità della vicenda personale da lui narrata, la cui esclusione deve ritenersi estranea alla ratio della decisione;

che qualora infatti, come nella specie, il giudice, dopo aver dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi al riguardo, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione, e quindi prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 1/02/2021, n. 2155; Cass., Sez. I, 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. VI, 19/12/2017, n. 30393);

che ove intenda censurare, in sede di legittimità, la dichiarazione di inammissibilità di un motivo di appello per difetto di specificità, il ricorrente ha inoltre l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice di secondo grado, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, senza limitarsi a rinviare all’atto di appello (cfr. Cass., Sez. I, 6/09/2021, n. 24048; 20/09/2006, n. 20405; Cass., Sez. V, 29/09/2017, n. 22880);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, e art. 14, lett. b) e c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, si è soffermata sulla fattispecie di cui all’art. 14 cit., lett. c), senza peraltro valutare adeguatamente la situazione generale del suo Paese di origine;

che il motivo è inammissibile;

che, nel lamentare il vizio di violazione di legge, in riferimento alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il ricorrente non si cura di illustrare la propria censura, limitandosi a richiamare la predetta disposizione, ed omettendo di spiegare il modo e le argomentazioni in cui si sarebbe consumata tale violazione, nonché di esporre le ragioni per cui ritiene errata la decisione;

che, nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), la Corte territoriale ha richiamato informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione, dalle quali ha desunto che la situazione del Gambia, oltre ad essere decisamente migliorata sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali, a seguito del superamento del regime dittatoriale e dell’insediamento di un Presidente liberamente eletto, non è sicuramente caratterizzata da una condizione di violenza indiscriminata talmente grave da esporre a rischio la vita o l’incolumità personale di chiunque risieda nel territorio di quello Stato;

che, nel censurare la predetta valutazione, il ricorrente si limita a denunciarne l’inadeguatezza e la contrarietà alla norma indicata, senza indicare le ragioni di tale contrasto né le lacune argomentative o le incongruenze del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/ 2017, n. 19547);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per inesistenza o apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, artt. 11 e 29, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che il giudizio d’inattendibilità della vicenda personale da lui riferita precludesse la valutazione di circostanze idonee ad evidenziare una condizione di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, e per aver omesso di valutare il livello d’integrazione sociale da lui raggiunto in Italia, desumibile dalla frequentazione di corsi di lingua e di formazione professionale e dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che il motivo è infondato;

che, nel conferire rilievo all’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata si è infatti conformata al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’applicazione della predetta misura, pur postulando una condizione di vulnerabilità personale, la cui configurabilità deve costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella dei presupposti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non richiede specifici approfondimenti istruttori da parte del giudice di merito allorquando, come nella specie, quest’ultimo abbia già escluso la credibilità della vicenda personale allegata dal richiedente, e non siano state fatte valere ragioni di vulnerabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte a sostegno della domanda di applicazione delle forme di protezione c.d. maggiori (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2020, n. 29624; Cass., Sez. I, 7/08/2019, nn. 21123 e 21129);

che, in assenza di un’effettiva condizione di vulnerabilità, la Corte territoriale ha correttamente considerato insufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, dal momento che, presi isolatamente, il livello di integrazione dello straniero in Italia ed il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani esistente nel Paese di provenienza non integrano di per sé i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione in questione (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2019, n. 5358; Cass., Sez. VI, 28/06/2018, n. 17072);

che, in contrario, non vale richiamare una recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale, premesso che nell’ambito della predetta comparazione occorre attribuire alla condizione in cui il richiedente versava prima dell’espatrio un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che egli dimostri di aver raggiunto nella società italiana, ha affermato che, ove si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine comporterebbe un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, tale da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della CEDU, deve ritenersi sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. Un., 9/09/2021, n. 24413);

che, nonostante la precisazione che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese di origine possono giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello d’integrazione in Italia, la predetta pronuncia ha infatti ribadito che ai fini dell’applicazione di tale misura è necessaria una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, in tal modo confermando l’insufficienza di quest’ultima, presa isolatamente;

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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