Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6555 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. III, 22/03/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 22/03/2011), n.6555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.R. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), considerati domiciliati “ex lege” in ROMA, presso

CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

BIONDI DAVIDE giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MASSINI & GORI SRL (OMISSIS), in persona del Presidente

del

Consiglio di Amministrazione e Legale Rappresentante pro tempore Sig.

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

ANTONELLI 3, presso lo studio dell’avvocato GIANNUZZI ALESSANDRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BORGHI GIOVANNI giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1654/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione 11 Civile, emessa il 04/02/2007, depositata il 14/12/2007;

R.G.N. 769/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato GIOVANNI BORGHI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 23.8.2000 La Massini & Gori srl prometteva di vendere a M.R. e C.G., che promettevano di acquistare, una unita’ immobiliare in costruzione in (OMISSIS) al prezzo di L. 470.000.000.

Il M. e la C. versavano una caparra di L. 94.000.000.

Essendo insorti dissapori, con atto notificato il 20.12.2001 i promissari acquirenti diffidavano la societa’ promittente venditrice ad adempiere ed a recarsi il giorno 14.1.2002 presso lo studio notarile che indicavano per la stipula del definitivo.

Con citazione notificata il 12.1.2002 (anteriormente alla data fissata per il rogito), la societa’ Massini & Gori conveniva in giudizio i promissari acquirenti, chiedendone la condanna al risarcimento del danno, previa pronuncia di risoluzione, per loro inadempimento, del preliminare.

Si costituivano i convenuti chiedendo in via riconvenzionale che la risoluzione fosse pronunciata per inadempimento dell’attrice, con condanna della stessa alla restituzione dell’acconto di L. 312.400.000 ed al pagamento della somma di L. 94.000.000 quale doppio della caparra confirmatoria.

Con sentenza 2.12.2003 il Tribunale di Arezzo, sez. di Montevarchi, accoglieva la domanda riconvenzionale e, pronunciata la risoluzione del preliminare per inadempimento della societa’, condannava quest’ultima alla restituzione del prezzo riscosso nonche’ al pagamento del doppio della caparra, oltre interessi legali e spese processuali.

Avverso tale decisione proponeva appello la societa’ Massini & Gori, chiedendo che la risoluzione fosse pronunciata per inadempimento dei promissari acquirenti, con loro condanna al risarcimento dei danni.

In subordine, chiedeva che fosse rigettata la loro domanda di pagamento del doppio della caparra.

Si costituivano gli appellati, resistendo ed evidenziando che la societa’, pur essendosi dichiarata pronta all’adempimento anche in sede di comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, aveva in realta’ venduto l’immobile oggetto del preliminare con atto trascritto il 30.5.2003.

La Corte distrettuale, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda riconvenzionale di pagamento del doppio della caparra.

Proponevano ricorso per cassazione M.R. e C. G..

Resisteva con controricorso la srl Massini e Gori.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. sotto il profilo della violazione del divieto dello jus novorum in appello per aver proposto parte appellante eccezioni e domande non prospettate in primo grado”.

Sostengono M. e C. che dall’esame degli atti appare evidente come la questione relativa all’inapplicabilita’ dell’art. 1385, comma 2, non sia mai stata introdotta nel giudizio di primo grado, essendosi l’attrice, In tale giudizio, limitata a chiedere il rigetto della domanda riconvenzionale proposta nei suoi confronti.

Costituiva dunque un’eccezione nuova, inammissibile in appello ex art. 345 c.p.c. la deduzione che, nel caso di specie, il diritto al risarcimento del danno dovesse essere regolato dalle norme generali.

Detta eccezione ha introdotto nel processo un nuovo tema d’indagine ampliando l’ambito dei termini della controversia.

Il motivo deve essere rigettato.

La societa’ Massini & Gori ha solo eccepito il difetto di prova della richiesta di risarcimento del danno, posto che l’utilizzo della caparra e’ stato effettuato al solo scopo di indicare il quantum risarcibile: rilevare che ne e’ mancata la prova in primo grado non equivale a svolgere un’eccezione nuova, bensi’ a far valere il principio dell’onere della prova.

Deve escludersi che quindi nella fattispecie in esame sia configurabile una mutatio libelli.

Con il secondo motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1385 c.c., 1454 c.c.”.

Lamentano i ricorrenti che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che avendo domandato i coniugi M., in via riconvenzionale, la risoluzione del preliminare, fosse loro preclusa la possibilita’ di esigere il doppio della caparra.

Il motivo e’ infondato.

La caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 cod. civ. assume infatti la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso essa e’ legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovra’ essere provato nell”an” e nel “quantum” (Cass., 23.8.2007, n. 17923).

Nel caso di specie, costituendosi nel giudizio di primo grado, i promissari acquirenti, pur chiedendo il pagamento del doppio della caparra versata, domandarono in via riconvenzionale non il recesso bensi’ la risoluzione del contratto preliminare, in tal modo obbligandosi alla prova del danno secondo le regole generali. Neppure in appello i promissari acquirenti optavano per il recesso in luogo della risoluzione. In tal modo si obbligavano alla prova del danno secondo le regole generali, senza tuttavia ottemperarvi.

In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 6.500,00 di cui Euro 6.300,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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