Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6551 del 16/03/2018

Civile Sent. Sez. 2 Num. 6551 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: BELLINI UBALDO

PU

SENTENZA
sul ricorso 28098-2013 proposto da:

A.A.
– ricorrente contro

V.V., M.M., C.C.,
G.G., S.S. e R.R.,
ciascuno in proprio e quale erede di L.L.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1634/2012 della CORTE D’APPELLO di
PALERMO, depositata il 19/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/11/2012 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

Data pubblicazione: 16/03/2018

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FEDERICO FERINA, per la ricorrente, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA

1978, V.V. esponeva che, in data 27 dicembre
1967, era deceduto a Montereale il padre B.B., lasciando
eredi legittimi, oltre all’attore, i fratelli, con l’usufrutto in
favore della madre L.L.; e che la massa, formata da
numerosi immobili e dalla quota di una impresa edile, era stata
detenuta senza rendere il conto del’amministrazione dal solo
M.M.. L’attore chiedeva quindi lo scioglimento della
comunione e la resa dei conti tra i coeredi.
Si costituivano tutti i convenuti, fatta eccezione per Anna Lo
3acono, non opponendosi alla divisione. M.M. e G.G., inoltre, chiedevano un compenso per la gestione utile
svolta a vantaggio della massa, oltre che darsi atto che A.A. aveva ricevuto, per convenzione in data 4 dicembre
1972, alcuni beni immobili in conto di anticipata divisione.
Con sentenza n. 4387/2001, depositata il 5 luglio 2001, il
Tribunale di Palermo, definitivamente pronunciando sulle domande
proposte da V.V., dichiarava che la massa relitta da
B.B., deceduto in Montereale, il 27 dicembre 1967, era
formata da: quota pari a tre sesti dei magazzini di Via Repubblica
n. 51, 53, 55 (in catasto al fg. 27 m.u. 2127 sub 4, 2127 sub 5) e
del magazzioni di Via della Repubblica n. 47, 49 (in catasto al fg.
27 m.u. 2127 sub 1); quota pari a un mezzo della casa di primo
piano in Via Piave, Monreale (in catasto alla partita 1240);

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Con atto di citazione, ritualmente notificato il 23 dicembre

appartamento e magazzino al piano terra siti in Monreale, Chiasso
Piave n. 5 e 7 (in catasto alla partita 1145, m.u. 3473 sub 1 e
1937 sub 5); appartamento e terreno siti in Monreale Fondo
Ferreri, Via Cangemi n. 1 (in catasto alla partita 1005477, fg. 1
m.u. 1483 sub 2 e 2308); dichiarava altresì in comunione ordinaria

C.C., in ragione di un quinto ciscuno gravato
dall’usufrutto uxorio di L.L., la casa a piano terra di via XX; dichiarava che
A.A. doveva imputare al valore della quota sui
predetti immobili, a lei spettante in conseguenza della successione
paterna, il controvalore dell’appartamento sito in Palermo, Via dei
Cantieri n. 88 piano settimo ed annesso vano di sgombero a piano
terra, oggetto della vendita alla convenuta da parte di M.M. e C.C. (in notar
Allegra in data 4 dicembre 1972); respingeva le altre domande
delle parti compensando integralmente le spese di lite; ordinava la
cancellazione della trascrizione della domanda di scioglimento della
comunione, proposta con citazione notificata il 23 dicembre 1978
(formalità trascritta il 16 gennaio 1979 ai nn. 2129 generale e
1943 particolare), esonerando il Conservatore dei PP.RR. II. da
responsabilità al riguardo.
Avverso tale sentenza proponeva appello A.A.. A loro volta, C.C. e V.V. si
costituivano proponendo appello incidentale.
Disposto supplemento di c.t.u., ammesso ed espletato
l’interrogatorio formale e la prova testimoniale dedotta
dall’appellante e da C.C., il processo – interrotto
per la morte di L.L. – veniva riassunto dalla appellante
e vi si costituivano C.C. e V.V., anche nella

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tra i soli V.V., A.A., M.M., R.R. e

qualità di eredi della madre defunta. Si costituiva anche M.M., aderendo alla dommanda di divisione e chiedendo il
rigetto degli altri motivi d’appello principale e incidentale.
Con sentenza n. 1634/2012 depositata il 19 novembre 2012,
la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di

alla massa relitta da B.B. sui seguenti beni: quota pari ai
3/6 di magazziono a piano terra in Monreale Via della Repubblica
oggi ai civici 47 e 49 in catasto al foglio 27 p. 2127 sub 1; quota
pari ai 3/6 di magazzino a piano terra in Monreale in via della
Repubblica ai civici 53 e55 in catasto al foglio 27 part. 2127 sub 2
(euro 113.500,00); quota pari ai 3/6 di magazzino a piano terra in
Monreale in via della Repubblica ai civici 57/57° in catasto al foglio
27 part. 2127 sub 2; quota pari ai 3/6 dell’intero piano cantinato
facente parte dell’edificio con scivolo di accesso (posto alla testata
ovest) sito in Minreale via della Repubblica n. 59/61 al N.C.E.U.
alla partita 6854 fg 27 part. 2227 sub 4; quota pari ad un mezzo
della casa al primo piano in Monreale a sinistra salendo la scala di
Via Piave n. 14 all. UTE part. 1240 MU 1947 sub 4; intero edificio
di modesta dimensione sito in Monreale Chiasso Piave n. 5 e 7
angolo Via Piave al N.C.E.U. alla part. 1145 MU. 3473 sub 1 e MU.
1937 sub 5; intero appartamento al primo piano in Via Fondo
Ferreri, via Cangemi n. 13/a e piccolo catoio al piano terra Via
Cangemi n. 26 con terreno circostante di circa mq. 125 in catasto
al fg. 27 part. 1483 sub 2 e fg. 27 part. (M.U.); con conferma nel
resto della sentenza impugnata e integrale compensazione tra le
parti delle spese di giudizio.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di
Palermo, A.A. ha proposto ricorso sulla base di
nove motivi, depositando altresì note ex art. 378 cod. proc.civ.

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primo grado, ha dichiarato sciolta la comunione ereditaria relativa

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. la nullità
della sentenza o del procedimento, nonché ai sensi dell’art. 360,
primo comma, numero 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt.

domande dalla medesima spiegate. In particolare, la ricorrente
lamenta il malgoverno delle regole del rito civile in cui sarebbe
incorsa la Corte d’appello, che avrebbe di fatto seguito il rito
processuale attualmente vigente, ignorando le diverse regole
previste dalla originaria sua formulazione, modificata dalla legge n.
581 del 1950 (c.d. vecchio rito civile) e dettate in particolare dagli
artt. 112, 184 e 189, primo comma, cod. proc. civ.
1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., la errata
valutazione del valore probatorio dell’inventario redatto dal Notaio
Allegra di Montereale, in data 31 marzo 1970, là dove la Corte
d’appello afferma il principio secondo cui l’inventario stesso
avrebbe valore probatorio nullo e comunque addirittura deteriore
rispetto alle visure catastali.
1.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., la
violazione degli artt. 713 e segg. cod. civ. e 112 cod. proc. civ.
(anche in relazione all’art. 360, primo comma, numero 4, cod.
proc. civ.) per lesione del tendenziale principio di universalità della
divisione e della eccezionalità della divisione parziale.
1.4. – Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., la nullità
della sentenza o del procedimento ed in particolare l’omessa
considerazione della documentazione ipocatastale prodotta in

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184, 189 e 112 cod. proc. civ., l’omessa valutazione delle

appello, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero 4,
cod. proc. civ., la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. ed
ulteriormente degli artt. 1100, 1111 e 1113 cod. civ. stante la
negazione della necessaria ricomprensione nell’asse di immobili
ceduti a terzi solo da taluni coeredi.

dell’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., la nullità
della sentenza o del procedimento, in particolare per omessa
lettura degli atti processuali e della integrale documentazione
ipocatastale allegata alla C.T.U. (e successivi richiami), nonché,
anche ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc.
civ., la violazione dell’art. 345 codice di rito ed ulteriormente la
violazione degli artt. 1100, 1111 e 1113 cod. civ. sulla necessaria
ricomprensione nell’asse di immobili ceduti a terzi solo da taluni
coeredi.
1.6 – Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., la
violazione degli artt. 1470, 1498 e 1252 cod. civ. in ragione
dell’inserimento nella massa comune dell’immobile sito in Palermo
Via dei Cantieri n. 88, e del rigetto del quarto motivo d’appello.
1.7. – Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., la nullità
della sentenza o del procedimento in particolare per omessa
considerazione della domanda correttamente spiegata in primo
grado, nonché, anche ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero
3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 184, 189 e 345 cod.
proc. civ., in relazione alla ammissibilità della domanda precisata a
seguito di emendatio libelli in primo grado.
1.8. – Con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, numero 3 e numero 4, cod. proc. civ.,

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1.5. – Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi

la violazione degli artt. 2729 e 2730 cod. civ. e 116 cod. proc.
civ., per erronea valutazione degli atti processuali della
controparte in relazione all’ammissione della gestione esclusiva
dell’impresa e del compendio ereditario.
1.9. – Con il nono motivo, la ricorrente deduce, ai sensi

violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in quanto, in tema di giudizio
di divisione, le spese vanno poste a carico della massa con
proporzionale incidenza sui singoli condividenti in ragione delle
quote di ciascuno.
2. – Il primo motivo non è fondato.
2.1. – A ben vedere, quello che, in sostanza, l’odierna
ricorrente contesta è non già la asseritamente errata applicazione
da parte della Corte d’appello – a fronte di un giudizio proposto
con citazione notificata il 23 dicembre 1978 – delle regole del rito
processuale civile riformato dalla legge n. 353 del 1990 (il cui art.
90, comma 1, come sostituito dal D.L. 21 aprile 1995, n. 121, art.
1, più volte reiterato, da ultimo dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432,
art. 9, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534, stabilisce che
«ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le
disposizioni vigenti anteriormente a tale data»), quanto l’omissione
in cui sarebbero incorsi il C.T.U. e, di conseguenza, i giudici di
primo e secondo grado, nel non accertare integralmente l’oggetto
della divisione secondo il

thema decidendum

legittimamente

introdotto dalle parti. Ed in particolare il non avere tenuto conto di
quanto ritualmente e ripetutamente dedotto dalla ricorrente
medesima onde pervenire all’accoglimento della sua richiesta di
divisione dell’intera massa comune, come risultante composta da
tutti i beni mobili ed immobili, denaro, crediti, poste passive e
quant’altro relitto dal

de cuius

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B.B., al momento

dell’art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., la

dell’apertura della successione, inseriti nell’inventario redatto (in
ragione della presenza di minori chiamati all’eredità) dal Notaio
Allegra del 31 marzo 1970 (come specificamente riportati anche
nelle conclusioni trascritte nell’epigrafe della sentenza d’appello
gravata: pp. IV-IX).

doglianze non attengono alla configurazione di violazioni delle
regole del rito civile vigente
configurano

ratione temporis,

erro res in procedendo.

e quindi non

La ricorrente infatti non

specifica (né formalmente contesta) che si siano verificate, nel
giudizio a quo, specifiche preclusioni, che abbiano arrecato lesioni
o restrizioni alla maggiore latitudine e flessibilità di esercizio delle
sue facoltà processuali, come garantita dal vecchio rito civile. Essa,
piuttosto, deduce che – nonostante fosse stato originariamente
affidato al C.T.U. l’incarico di «descrivere e valutare i beni caduti in
successione e di cui all’inventario redatto in Notar Allegra,
procedere alla formazione delle quote a ciascuna delle parti
spettanti», e nonostante questi fosse stato richiamato a
chiarimenti, anche attraverso supplemento di accertamento
disposto in grado di appello – il consulente ometteva di
comprendere nella massa da dividere alcuni immobili appartenenti
al de cuius, con ciò non rispondendo alla domanda, reiterate
durante tutto il corso del processo, di divisione dell’intera massa
comune, come risultante composta indiscriminatamente da tutti i
beni mobili ed immobili, crediti e quant’altro relitto dal medesimo.
Ove anche in ipotesi verificatasi, tale omissione, in cui si
lamenta siano incorsi conseguentemente anche il Tribunale e la
Corte d’appello, si sostanzierebbe non già in un vizio
procedimentale, quanto semmai in un errore

in judicando

involgente (in ultima analisi) la correttezza della valutazione

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2.2. – E’ pertanto, viceversa, evidente che le formulate

giudiziale circa la fondatezza della domanda, anche in riferimento
alla condivisione o meno delle argomentazioni poste a supporto
dell’inclusione o della esclusione dei beni elencati nell’inventario ed
inclusi nella massa ereditaria.
3. – Il secondo motivo è fondato.

testualmente che «quanto all’inventario del notaio Allegra, va
osservato che è stato redatto sulla base delle sole dichiarazioni
delle parti, cosicché da detto documento non può ricavarsi alcun
elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni in capo al de
cuius e, quindi, in ordine alla loro appartenenza all’asse ereditario
da dividere».
Orbene, va rilevato che, nel degradare l’inventario a
documento privo di rilevanza probatoria, la Corte territoriale ha
errato nel non considerare che, ai sensi dell’art. 775 cod. proc.
civ., il notaio è in quella sede tenuto ad accertarsi della reale
consistenza dell’asse, sicché l’inventario da lui rogato acquisisce
valore di vera e propria prova sulla consistenza effettiva del
patrimonio relitto. E, d’altronde, va altresì sottolineato che non è
contestato che l’inventario del Notaio Allegra di Montereale, in data
31 marzo 1970, era stato da questo redatto a seguito di incarico,
conferito dal Pretore di Montereale con decreto del 7 febbraio 1968
(in ragione della presenza di minori chiamati a succedere al de
cuius,

deceduto in data 27 dicembre 1967, come si evince

dall’epigrafe della sentenza di appello, da cui risulta che
V.V., G.G., R.R., S.S. momento dell’apertura della successione, non avevano raggiunto
la maggiore età, all’epoca fissata a 21 anni ai sensi dell’originario
testo dell’art. 2 cod. civ., prima della modifica apportata dall’art. 1
della legge n. 39 del 1975, in vigore dal 10 marzo 1975).

9

h
I

3.1. – La Corte d’appello di Palermo ha sottolineato

3.2.1. – Questa Corte (in materia di responsabilità
disciplinare) ha affermato la natura pubblica dell’ufficio ricoperto
dal notaio e la pubblica fede attribuita dalla legge agli atti dal
medesimo rogati nell’esercizio della sua funzione (Cass. n. 17266
del 2015). Ed ha sottolineato che il notaio, nell’assolvimento dei

inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato,
sicché la sua eventuale designazione da parte dell’erede accettante
con beneficio si configura come semplice indicazione e non come
vero e proprio conferimento di incarico professionale (Cass. n.
9648 del 2000).
3.2.2. – A sostegno della sussistenza, in capo al notaio,
dell’obbligo di attestare personalmente la presenza o meno di
ulteriori beni da inventariare, la Corte (Sent. n. 17266 del 2015,
cit.) richiama l’art. 775 cod. proc. civ., che espressamente prevede
quale debba essere il contenuto dell’inventario, stabilendo al primo
comma, che: «Il processo verbale d’inventario contiene: 1) la
descrizione degli immobili, mediante l’indicazione della loro natura,
della loro situazione, dei loro confini, e dei numeri del catasto e
delle mappe censuarie; 2) la descrizione e la stima dei mobili, con
la specificazione del peso e del marchio per gli oggetti d’oro e
d’argento; 3) l’indicazione della quantità e specie delle monete per
il danaro contante; 4) l’indicazione delle altre attività e passività;
5) la descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato
attivo e passivo, le quali debbono essere firmate in principio e in
fine dall’ufficiale procedente. Lo stesso ufficiale deve accertare
sommariamente lo stato dei libri e dei registri di commercio,
firmarne i fogli, e lineare gli intervalli»; e al secondo comma che
«Se alcuno degli interessati contesta l’opportunità d’inventariare
qualche oggetto, l’ufficiale lo descrive nel processo verbale,

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compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di

facendo menzione delle osservazioni e istanze delle parti». Tra i
compiti del notaio, rientra quindi anche la diretta attestazione circa
l’esistenza o no di ulteriori beni mobili da inventariare, risultando
pregiudicata, in caso di mera riproduzione delle dichiarazioni in tal
senso ricevute dagli eredi, l’elevata affidabilità che l’ordinamento

ufficiale.
3.2.3. – In secondo luogo, la Corte sottolinea che (con
riferimento all’art. 192 disp. att. cod. proc. civ.) l’interpello agli
eredi presenti al momento dell’inventario sull’esistenza di altri beni
da ricomprendere nell’inventario non può logicamente essere
svolto, da parte di chi proceda alla redazione dell’inventario, se
non dopo una personale ricognizione sui beni da inventariare,
risultando, altrimenti, priva di utilità la previsione di procedere
all’interpello.
3.2.4. – Osserva, infine, la Corte che (siccome «una qualsiasi
omissione parziale nell’indicazione di beni ereditari è idonea a
ledere i diritti dei creditori del defunto»: Cass. n. 16195 del 2007)
tale omissione produce, evidentemente, conseguenze diverse per
l’erede dichiarante e per il notaio rogante, ma tali conseguenze
rispondono alla comune esigenza di tutela dei creditori del de
culus. Pertanto non può essere condivisa la tesi circa la natura di

atto unilaterale a contenuto dichiarativo dell’inventario, nel quale è
la parte, e non il pubblico ufficiale, a dover rendere le dichiarazioni
prescritte dalla legge, giacché, quel che l’ordinamento pretende dal
notaio rogante, infatti, non è la completezza delle dichiarazioni,
requisito al quale deve ottemperare l’erede dichiarante, ma è la
possibilità di attribuire pubblica fede alla attività da lui espletata.
Sicché il notaio deve operare affinché l’atto finale risulti esente da

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pretende sul contenuto degli atti direttamente ricevuti dal pubblico

omissioni che potrebbero minare la pubblica fiducia sulla
osservanza delle procedure previste per la redazione dell’atto.
La ragione della previsione della redazione del verbale di
inventario per mezzo di un pubblico ufficiale, in altri termini, non
risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della

necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall’elevato
grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo
svolgimento dell’attività da parte di un pubblico ufficiale. Per questi
motivi, l’idoneità dell’inventario ad attestare l’effettiva consistenza
patrimoniale del

de cuius,

anche a garanzia dei creditori di

quest’ultimo, scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni
rese dall’erede, quanto dalla pubblica attestazione svolta dal
notaio.
3.3. – In conclusione, dunque, l’inventario redatto dal notaio
ex art. 775 cod. proc. civ. non poteva essere svalutato a mero atto
riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati, e pertanto,
come tale, ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla
effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo
essere considerato (almeno fino a prova contraria) quale fonte
privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione ed
all’ammontare dell’asse ereditario, al momento della apertura della
successione.
4. – Poiché tale pronuncia – comportando necessariamente
una riconsiderazione complessiva dei beni facenti parte dell’asse
ereditario, al fine dello scioglimento della comunione e della resa
dei conti tra i coeredi – produce effetti pregiudiziali e riflessi su
tutti gli altri motivi di impugnazione, gli stessi vanno dichiarati
assorbiti.

12

completezza delle attestazioni dell’erede, quanto piuttosto nella

5. – Nei limiti di cui in motivazione, rigettato il primo motivo,
il ricorso deve essere accolto, con assorbimento dei restanti motivi,
e la sentenza impugnata va dunque cassata e rinviata alla Corte
d’appello di Palermo che provvederà anche sulle spese del
presente giudizio.

La Corte, rigettato il primo motivo di ricorso, accoglie il
secondo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, con
assorbimento dei restanti motivi. Cassa e rinvia ad altra sezione
della Corte d’appello di Palermo che provvederà anche sulle spese
del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda

P.Q.M.

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