Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6551 del 14/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 14/03/2017, (ud. 03/11/2016, dep.14/03/2017),  n. 6551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12182/2012 proposto da:

PUMA SE, già PUMA AG Rudolph Dassler Sport, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, e PUMA ITALIA S.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA SAN SEBASTIANELLO, 9, presso lo STUDIO LEGALE BIRD &

BIRD, rappresentate e difese dagli avvocati MASSIMILIANO MOSTARDINI,

FULVIO VINCENZO MELLUCCI, GIOVANNI GALIMBERTI, giusta procura in

calce al ricorso e procura per Notaio Dott. K.M. di

(OMISSIS) con Apostille del 3.4.2012;

– ricorrenti –

contro

SIMOD S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso

l’avvocato EZIO SPAZIANI TESTA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO DE CRISTOFARO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 679/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2016 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

uditi, per le ricorrenti, gli Avvocati GIOVANNI GALIMBERTI e FULVIO

VINCENZO MELLUCCI che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Simod s.p.a. Industria Calzature conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova Puma AG Rudolf Dassler Sport e Puma Italia s.r.l., chiedendo accertarsi l’insussistenza della contrattazione da parte sua (della frazione italiana) del marchio figurativo internazionale (OMISSIS), registrato dalla Puma Ag. costituito da una banda ondulata, accertandosi in via incidentale la nullità della porzione italiana di detto marchio, nonchè l’insussistenza di concorrenza sleale, entrambe affermate dalle convenute, le quali presso il Tribunale di Torino avevano agito in sede cautelare contro l’attrice ottenendo inaudita altera parte decreto di sequestro ed inibitoria, revocato dopo venti giorni con ordinanza per incompetenza territoriale, ribadita poi dal Tribunale con sentenza a definizione del giudizio di merito instaurato dalle istanti. La Simod chiedeva inoltre la condanna delle convenute al risarcimento del danno derivatole dalla esecuzione del sequestro e dalla diffusione della relativa notizia. Le convenute chiedevano a loro volta accertarsi la contraffazione del proprio marchio ed il compimento di atti di concorrenza sleale ai loro danni da parte dell’attrice, della quale chiedevano la condanna alla cessazione della condotta illecita ed al risarcimento dei danni.

Il Tribunale, istruita la causa mediante consulenza contabile, con sentenza del 29.4.2008 accertava la validità del marchio ma escludeva sia la contrattazione sia la concorrenza sleale; rigettava inoltre la domanda di risarcimento del danno proposta dall’attrice.

La sentenza, gravata di appello da Puma Ag e Puma Italia s.r.l., resistito da Simod s.p.a. – che proponeva anche appello incidentale per la declaratoria di nullità del marchio, è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia, che ha rigettato entrambi gli appelli. Esaminando in primo luogo la questione, posta con l’appello incidentale, concernente (sia pure nei limiti della richiesta originaria di un accertamento incidentale) la nullità del marchio, la corte di merito l’ha esclusa, rilevando come la funzione distintiva del marchio in questione – rispetto ad altri marchi rinomati presenti nel settore, anch’essi formati da bande sagomate e o striscie – fosse evidente, anche tenendo presente il contributo della massiccia comunicazione pubblicitaria di settore nel consentire al consumatore di percepire le differenze tra un segno e l’altro nonostante le varianti minime tra di essi: nè la coesistenza di tale funzione distintiva della banda ondulata con una funzione estetica e con una tecnica può considerarsi in contrasto con il disposto dell’art. 9 C.P.I., che vieta la registrazione di un marchio avente esclusivamente funzioni non distintive. Confermata dunque la validità del marchio, la corte ha però rilevato come si tratti di marchio debole: considerato infatti che per marchio forte deve intendersi quello frutto di pura fantasia e senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti (il che, ha precisato, vale anche per i marchi di forma perchè anche la forma e non solo la denominazione o il logo, può avere o non aderenza con le caratteristiche tecniche del prodotto), una siffatta mancanza di aderenza concettuale con il prodotto non può sostenersi per la banda ondulata costituente oggetto del marchio in esame, che – come per analoghi segni apposti sulla maggior parte delle scarpe sportive in commercio – assolve da un lato ad una funzione estetica di accompagnare la forma della scarpa e dall’altro alla funzione tecnica di contribuire al rafforzamento della tomaia. Nè, ha aggiunto la sentenza in esame, rileva la circostanza che Puma abbia contrassegnato con la banda ondulata anche altri prodotti come borse ed indumenti, perchè la rivendicazione ed il disegno della registrazione del marchio fanno esclusivo riferimento a calzature e l’applicazione del marchio ad altri prodotti, pur se legittima nel quadro di una tendenza espansiva del marchio, non ne modifica le caratteristiche originarie. Ciò posto, la corte distrettuale ha ritenuto che, trattandosi di marchio debole, le differenze introdotte da SIMOD sono sufficienti a escludere la confondibilità dei prodotti, tenendo presente che il marchio registrato mostra un’unica banda (sia pur suddivisa in tre parti dalle cuciture) compatta, mentre nelle scarpe prodotte da Simod la banda risulta svuotata (mediante ritaglio) nella parte centrale, così assumendo diversa conformazione. Quanto infine alla concorrenza sleale per imitazione servile, la corte ha osservato che, nonostante le indubbie somiglianze tra i prodotti, la possibilità di confusione vada esclusa sia sulla base della già evidenziata differenza rilevante nel segno distintivo, sia per l’apposizione, sui prodotti SIMOD, di un logo (SMD) del tutto dissimile da quello apposto sulle scarpe Puma, ed ha aggiunto che, per, consolidata giurisprudenza, l’imitazione illecita considerarsi tale solo se avvenuta a breve distanza di tempo dall’iniziativa del concorrente, mentre nella specie alcuna allegazione avevano espresso le appellanti principali circa la distanza di tempo intercorsa tra le iniziative della SIMOD e la diffusione degli analoghi prodotti PUMA.

Avverso tale sentenza PUMA SE (già PUMA AG) e PUMA Italia s.r.l. propongono ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso SIMOD s.p.a. (ora Fallimento SIMOD). Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è basato su cinque motivi.

1.1. Con il primo motivo le ricorrenti lamentano che la corte d’appello, in violazione degli artt. 7 e 9 codice della proprietà intellettuale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, d’ora in poi C.P.I.) ed incorrendo anche in vizio di motivazione, abbia ritenuto il marchio – banda ondulata – quale marchio di forma, laddove un semplice esame del marchio stesso e le concrete modalità della sua apposizione sul prodotto contraddistinto porterebbero chiaramente ad affermare che si tratti di marchio figurativo, consistente in un disegno atto a distinguere il prodotto della propria impresa.

1.2. Con il secondo e terzo motivo censurano il ritenuto carattere debole del marchio stesso, deducendo la violazione dell’art. 13 C.P.I. ed il vizio di motivazione, in quanto la corte distrettuale:

1) avrebbe omesso di motivare il proprio convincimento, diverso da quello espresso dal tribunale, circa la sussistenza di una funzione tecnica della banda ondulata:

2) avrebbe erroneamente considerato la funzione tecnica e quella estetica ai fini della valutazione del “livello” della riconosciuta capacità distintiva del segno, laddove tale valutazione dovrebbe prescindere da tali considerazioni e basarsi esclusivamente sul disposto dell’art. 13 C.P.I., applicando il quale la corte non avrebbe potuto che concludere per il carattere “forte” del marchio stesso, trattandosi di segno di pura fantasia che certamente nulla significa, comunica o evoca al pubblico in relazione al prodotto (calzature) che contraddistingue:

3) non avrebbe considerato (in ciò consiste la doglianza di cui al terzo motivo) il rafforzamento che sarebbe derivato al marchio, in questione per effetto dell’uso intenso fattone dalla stessa Puma nel corso degli anni (“secondary meaning”).

1.3. Con il quarto motivo le ricorrenti censurano – sotto il profilo della violazione dell’art. 20 C.P.I. e dell’art. 11 del relativo regolamento di attuazione (D.M. n. 33 del 2010) nonchè sotto quello del vizio motivazionale – la esclusione della contraffazione del marchio “banda ondulata”, pur se considerato “debole”: erroneamente la corte distrettuale avrebbe ritenuto elementi differenziatoti sufficienti la sola parziale differenza di colore tra i segni in esame e la ripartizione del segno (nelle scarpe SIMOD) in tre striscie anzichè in una (come nelle scarpe PUMA).

1.4. Con il quinto motivo denunciano i vizi di violazione dell’art. 2598 c.c. e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nei quali sarebbe incorsa la corte distrettuale escludendo la sussistenza nella specie di concorrenza sleale per imitazione servile: lamentano l’omesso ricorso ad una valutazione comparativa complessiva e l’illegittimo riferimento alla presenza sui prodotti SIMOD del logo cioè del marchio dell’imitatore, che dovrebbe invece considerarsi, anche per la sua collocazione, privo di rilievo al fine di escludere l’imitazione servile.

2. Tali doglianze non meritano accoglimento.

3. Il primo motivo pone una questione astratta di carattere classificatorio che non risulta avere avuto alcuna influenza sulla sentenza d’appello, nè per la parte (che peraltro le ricorrenti non hanno interesse ad impugnare) riguardante l’accertamento della validità del marchio in questione – per la riscontrata funzione distintiva pur concorrente con la funzione tecnica ed estetica, nè per la parte relativa alla qualificazione dello stesso in termini di marchio – “debole”, alla quale la corte distrettuale è pervenuta sulla base di criteri – inerenti alla verifica del grado di capacità distintiva – che ha espressamente affermato valevoli tanto per i marchi di forma quanto per le altre categorie di marchi, senza ricevere nell’illustrazione del motivo (nè invero degli altri motivi, ai quali ivi si fa generico rinvio) specifica confutazione. Il motivo è dunque inammissibile per carenza di interesse.

4. Privo di fondamento è il secondo motivo nella parte in cui le ricorrenti assumono che la corte distrettuale, una volta affermata la capacità distintiva del segno in questione ai fini della sua valida registrabilità come marchio, avrebbe dovuto, a norma dell’art. 13 C.P.I., prescindere, ai fini della sua qualificazione quale marchio -forte – o – debole, da ogni apprezzamento circa la compresenza di una sua funzione estetica, o tecnica.

Al contrario, pur prescindendo dalla funzione tecnica, la chiara indicazione, che si rinviene nella motivazione della sentenza impugnata, di una funzione estetica svolta dal segno in questione nell’accompagnare la forma della scarpa va letta in chiave di collegamento descrittivo con il prodotto, cui fa riferimento l’art. 13, lett. b). Collegamento che, pur consentendo nella specie la registrabilità del marchio – in quanto non esclusivo ma concorrente con una certa capacità distintiva del segno, nondimeno affievolisce tale capacità distintiva (nella misura in cui lascia trasparire quale prodotto contraddistingua) venendo conseguentemente ad incidere sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che – a differenza del marchio “forte” – sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte. Di tali principi, più volte affermati anche di recente da questa corte di legittimità (cfr. da ultimo: Cass. Sez. 1, n. 1267/16: n. 13170/16: cfr. anche Cass. n. 3984/04), la corte distrettuale ha fatto retta applicazione nella propria motivazione in diritto, anche nella parte peraltro non specificamente censurata in ricorso) in cui ha fatto puntuale riferimento alla incidenza, sulla valutazione del grado di capacità distintiva del segno in questione, della estesa diffusione, nel settore, di segni simili per distinguere i prodotti delle imprese concorrenti. E, del resto, gli stessi ricorrenti non prospettano criteri giuridici alternativi di valutazione, bensì una diversa valutazione in fatto – evidentemente estranea alla verifica di legittimità riservata a questa corte, là dove affermano che il marchio da essi registrato avrebbe dovuto essere considerato “segno di pura fantasia che certamente nulla significa, comunica o evoca al pubblico in relazione al prodotto (calzature) che contraddistingue”.

5. Quanto poi al “secondary meaning”, della cui omessa considerazione ai fini del rafforzamento del marchio Puma per effetto dell’uso intenso fatto del marchio si duole il terzo motivo, va osservato come in sentenza non si rinviene motivazione sul punto, nè il ricorso indica se e come, tale circostanza avesse formato oggetto di specifiche deduzioni in appello, limitandosi l’illustrazione del motivo a far riferimento ad un passo della sentenza di primo grado appellata dalle odierne ricorrenti, in cui veniva evocata la diffusione commerciale del marchio Puma, senza però chiarire in quale contesto (se cioè ai fini della acquisita distintività di un segno non proteggibile o alla acquisizione del carattere forte di un marchio originariamente debole). Si tratta in definitiva di questione nuova il cui esame è precluso in questa sede di legittimità.

6. Neppure il quarto motivo merita accoglimento. La valutazione in ordine alla idoneità duoli elementi indicati nella sentenza a diversificare i due marchi si mostra, da un lato, coerente con la qualificazione di marchio “debole” del segno registrato da Puma (tenendo cioè presente che in tal caso anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la contimilibilità, tanto più in un contesto di mercato, quale quello descritto in sentenza e non censurato, di utilizzo diffuso di segno simili), dall’altro adeguatamente e non illogicamente motivata in fatto – e quindi insindacabile in questa sale di leitittimità – là dove la corte di merito ha fatto concreto riferimento. più che alla differenza di colore, alla diversa conformazione derivante al marchio SIMOD dallo svuotamento (mediante ritaglio) della parte centrale. in unione alla apposizione del logo SMD che certo in sè considerata non sarebbe stata sufficiente.

7. Inammissibile infine deve ritenersi il quinto motivo, con il quale si contesta la ritenuta sussistenza nella specie di una fattispecie di concorrenza sleale senza censurare la parte di motivazione della sentenza secondo cui limitazione illecita può considerarsi tale solo se avviene a breve distanza di tempo e non quando la forma di un prodotto è entrata nel patrimonio comune di conoscenze ed esperienze di chi opera nel settore: ratio decidendi, questa, la cui autonoma idoneità a sostenere la statuizione impugnata comporta, in difetto di censura, la mancanza di interesse delle ricorrenti impugnazione stessa.

8. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al rimborso in favore della controparte costituita delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 7.200.00 (di cui Euro 200.00 per esborsi (oltre spese generali forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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