Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6550 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. II, 18/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 18/03/2010), n.6550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., G.R., Z.F. e B.G.

rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale in calce al

ricorso dall’avv. Bertelo Roberto del Foro di Verbania e dall’avv.

Brandi Rita, presso la quale sono elettivamente domiciliati in Roma,

alla via Alberga, n. 45;

– ricorrenti –

contro

S.C. e N.O. — rappresentati e difesi in

virtu’ di procura speciale a margine del controricorso dall’avv.

Sicher Francesco del Foro di Verbania e dall’avv. Stefano Giove,

presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, al viale

Regina Margherita, n. 278;

– controricorrenti –

e

O.F. e C.D. — elettivamente domiciliati in

Torino, alla via Bligny, n. 15, presso l’avv. Spitale Antonella;

– intimati –

e sul ricorso notificato il 7 gennaio 2005 da:

S.C. e N.O. — rappresentati e difesi in

virtu’ di procura speciale a margine del controricorso dall’avv.

Francesco Sicher del Foro di Verbania e dall’avv. Stefano Giove,

presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, al viale

Regina Margherita, n. 278;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

P.A., G.R., Z.F. e B.G.

— elettivamente domiciliati in Roma, alla via Alberga, n. 45, presso

l’avv. Rita Brandi, presso la quale sono;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 998 del 23

giugno 2004 – notificata il 23 settembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

gennaio 2010 dal Consigliere dott. ODDO Massimo;

uditi per i ricorrenti l’avv. Rita Brandi e per i controricorrenti

l’avv. Stefano Giove;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20 ottobre 1990, S.C. ed N.O., proprietari di un appartamento nell’edificio condominale “Ex Convitto” di (OMISSIS), convennero P.A., B.G., G.R., Z.F., C. L., P.E., O.F. e C.D., condomini del medesimo edificio e proprietari di fondi ad esso limitrofi, davanti al Tribunale di Verbania e domandarono la declaratoria dell’inesistenza di una servitu’ di elettrodotto e di altra di passo carraio sul cortile condominiale in favore dei fondi dei convenuti estranei al condominio e la condanna degli stessi alla rimozione delle condutture elettriche, interrate nell’area comune per l’esercizio della prima, ed al risarcimento dei danni.

Si costituirono il B., il G., lo Z. ed il C. e chiesero il rigetto delle domande, deducendo l’acquisto della servitu’ di passo carraio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, nonche’, in caso di accoglimento della domanda di rimozione delle condutture elettriche, la condanna degli attori all’eliminazione di un collegamento elettrico anche da essi realizzato nel terreno condominiale.

Nella contumacia della P.A., del P.E., dell’ O. e del C.D., il Tribunale con sentenza del 6 dicembre 2001, accolse in parte le domande degli attori e dichiaro’ l’inesistenza di entrambe le servitu’ da essi lamentate sul cortile condominiale ed ordino’ ai convenuti la rimozione dei cavi elettrici e l’astensione dal passaggio nelle aree comuni per accedere ai loro fondi.

La decisione, gravata dalla P.A., dal G., dallo Z. e dal B., venne confermata il 23 giugno 2004 dalla Corte di appello di Torino, che respinse l’impugnazione.

Osservarono i giudici di secondo grado che la facolta’ del condomino di fare uso della cosa comune non consente anche l’utilizzazione di essa al servizio di una sua proprieta’ esclusiva, perche’ cio’ comporta inevitabilmente l’imposizione di una servitu’, che deve essere consentita dalla totalita’ dei condomini.

La P.A., il G., lo Z. ed il B. sono ricorsi con quattro motivi per la cassazione della sentenza, il S. e la N. hanno resistito con controricorso, proponendo contestuale ricorso incidentale, e gli intimati O. e C.D. non hanno svolto attivita’ in giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno dichiarati inammissibili il controricorso ed il contestuale ricorso incidentale notificati il 7 gennaio 2005, perche’ entrambi proposti dopo il decorso del termine di quaranta giorni dall’ultima notifica del ricorso in data 23 novembre 2004 (cfr.: art. 369 c.p.c., comma 1, e dell’art. 370 c.p.c., comma 1), e, il secondo, anche di quello di sessanta giorni dalla notifica della sentenza in data 23 settembre 2004 (cfr.: art. 325 c.p.c., comma 2, e art. 326 c.p.c., comma 1).

Con il primo motivo, il ricorso denuncia la nullita’ del procedimento e della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., non essendo stati convenuti nel giudizio quali contraddittori necessari le comproprietarie dei fondi del G., del B. e dello Z., che costituivano contraddittori necessari rispetto alle domande degli attori, e, in grado di appello, il convenuto C..

Il motivo e’ infondato.

L’actio negatoria servitutis, riconosciuta al proprietario per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa propria, quando ha motivo di temerne pregiudizio, e/o ad ottenere la cessazione di eventuali turbative o molestie, non comporta un litisconsorzio necessario nell’ipotesi in cui il diritto affermato da altri sia una servitu’ ed il fondo dominante appartenga pro indiviso a piu’ proprietari, giacche’ la sentenza emessa all’esito del giudizio, salvo che sia domandata anche la demolizione di manufatti o di costruzioni realizzati su detto fondo per l’esercizio della servitu’, non viene ad incidere su di una situazione, la cui inscindibilita’ e comunanza alla pluralita’ dei proprie tari ne impedisca l’esecuzione (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 18 dicembre 2007, n. 26653; cass. civ., sez. 2^, sent. 7 giugno 2002, n. 8261).

La domanda degli attori di declaratoria dell’inesistenza delle servitu’ di elettrodotto e di passo carraio sul cortile condominiale a favore dei fondi limitrofi non imponeva, quindi, la partecipazione al giudizio delle comproprietarie di detti fondi, ne’ la stessa era necessaria per l’esecuzione della richiesta condanna dei convenuti alla rimozione delle condutture elettriche interrate nell’area asservita, e neppure la citazione in secondo grado del convenuto non appellante, rispetto al quale la decisione di primo grado era divenuta definitiva a seguito della sua mancata impugnazione.

Con il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo del divieto ai condomini convenuti di utilizzare il cortile comune per accedere a fondi limitrofi esterni al condominio, sui quali essi avevano realizzato dei garages al servizio dei propri appartamenti, e per addurre ad essi l’energia elettrica, giacche’ siffatto utilizzo non alterava la destinazione del bene condominiale e non impediva agli altri condomini di farne parimenti uso. Il motivo e’ infondato.

La sentenza ha fatto corretta applicazione del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, che l’uso della cosa comune da parte di un condomino a vantaggio di un bene di sua proprieta’ esclusiva, estraneo al condominio, costituisce un abuso, non solo quando alteri la destinazione della cosa, ma anche quando si risolva in un’attivita’ corrispondente all’esercizio di una servitu’, poiche’ lo stesso si risolve nell’imposizione di fatto di una limitazione di carattere reale al diritto di proprieta’, che non rientra tra le facolta’ del partecipante alla comunione, ma e’ consentita unicamente con il consenso di tutti i condomini (cfr. da ultimo: cass. civ., sez. 2^, sent. 26 settembre 2008, n. 24243; cass. civ., sez. 2^, sent. 19 aprile 2006, n. 9036; cass. civ., sez. 2^, sent. 27 ottobre 2003, n. 16097). Ne’ valgono ad escludere l’abuso il riferimento ad un utilizzo conforme a quello gia’ esistente della cosa comune o non idoneo al suo asservimento, laddove lo stesso non sia riconducibile a mera tolleranza o connotato da una utilita’ a vantaggio in un altro fondo del tutto transitoria (cfr. con riferimento ad un preesistente utilizzo di un terreno comune come passaggio pedonale e per le auto a vantaggio di un fondo di proprieta’ esclusiva: cass. civ., sez. 2^, sent. 11 agosto 1999, n. 8591), ovvero ad un mero utilizzo piu’ intenso del bene comune ed al mancato impedimento dell’uso paritetico da parte degli altri condomini, giacche’ il diritto di ciascun comproprietario di trarre dal bene comune un’utilita’ anche maggiore e piu’ intensa di quella eventualmente goduta in concreto dagli altri comproprietari, non puo’ sconfinare nell’esercizio di una servitu’ (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 3 giugno 2003, n. 8830).

Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ed insufficiente e contraddittoria sul fatto decisivo della (ir)rilevanza della prova testimoniale articolata per dimostrare che le autorimesse poste sui fondi di proprieta’ esclusiva costituivano pertinenze di appartamenti compresi nel condominio e si ponevano rispetto al cortile comune nella loro stessa posizione. Il motivo e’ inammissibile.

La questione della rilevanza del vincolo pertinenziale nell’uso della cosa comune e’ stata affrontata in epoca risalente dal giudice di legittimita’ e risolta con riferimento ad una fattispecie similare mediante l’affermazione che la sottoposizione della cosa accessoria al medesimo regime giuridico della cosa principale, comporta la necessaria conseguenza che il proprietario della cosa principale, cui sia stata collegata altra cosa con rapporto di subordinazione pertinenziale, puo’ usare della cosa comune per accedere tanto alla cosa principale quanto alla pertinenza (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 5 marzo 1968, n. 711). Il riesame di essa, ai fini della valutazione della rilevanza dei mezzi di prova articolati dagli appellanti, e’ tuttavia precluso dalla carenza di autosufficienza del motivo che censura, anche sotto la specie della violazione e falsa applicazione di una norma processuale, la motivazione che sorregge la declaratoria di irrilevanza contenuta nella sentenza impugnata senza riportare quella specificazione dei capitoli, sui quali era stata richiesta l’audizione dei testi, necessaria a valutare la concludenza e la decisivita’ della prova onde pervenire ad una decisione diversa da quella adottata nella sentenza impugnata (cfr.: cass. civ., sez. 3^, sent. 19 marzo 2007, n. 6440; cass. civ., sez. 3^, sent. 20 gennaio 2006, n. 1113).

All’inammissibilita’ od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.

PQM

Riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.

Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

 

 

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