Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6543 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. II, 18/03/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 18/03/2010), n.6543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A. e V.M., elettivamente domiciliati in

Roma, via Santa Bernadette n. 15, presso lo studio dell’Avvocato

Verde Carmine, che li rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato

Claudio Neri, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

VA.MI.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 159/03,

depositata in data 16 dicembre 2003;

Udita, la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 1

dicembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Adito da Va.Mi. con ricorso ex art. 700 c.p.c., il Pretore di Campobasso ordinava a G.A. e V.M. di consentire al ricorrente l’accesso e il passaggio su di un loro fondo per eseguire lavori di intonacatura ad un suo fabbricato che aveva un muro comune con il fabbricato dei resistenti.

All’esito del giudizio di merito, il Tribunale di Campobasso rigettava la domanda, rilevando che l’attore non aveva offerto la prova della sussistenza della necessita’ di effettuare gli interventi edilizi.

Proponeva appello Va.Mi., cui resistevano il G. e la V.M.; il G. proponeva altresi’ appello incidentale eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

La Corte d’appello di Campobasso accoglieva il gravame principale, ritenendo che il Tribunale fosse incorso in errore laddove aveva sostenuto che il requisito della necessita’ di cui all’art. 843 c.c. dovesse essere riferito ai lavori da eseguire piuttosto che all’accesso e al passaggio sul fondo altrui; necessita’ di accesso e di passaggio che, osservava la Corte, non era mai stata contestata dai convenuti, i quali avevano anzi sostenuto di non avere mai negato il consenso al passaggio.

Peraltro, le risultanze istruttorie escludevano l’assunto dei convenuti, posto che agli operai incaricati dall’attore di eseguire i lavori venne impedito l’accesso. I convenuti, inoltre, non avevano mai dato riscontro alle missive con le quali veniva loro chiesto il consenso formale all’accesso e al passaggio e di concordarne le modalita’, la durata e l’indennizzo. In sostanza, l’affermazione dei convenuti di aver sempre manifestato la propria disponibilita’ era null’altro che una mera enunciazione, priva di ogni riscontro.

L’appello principale doveva quindi essere accolto, con conferma del provvedimento cautelare.

La Corte rigettava invece l’appello incidentale, rilevando che il G. non aveva documentato la estraneita’ del fondo al regime di comunione legale e che, comunque, l’obbligo di consentire l’accesso e il passaggio grava su chiunque si trovi nel godimento del fondo per un rapporto reale o personale.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono G.A. e V.M. sulla base di tre motivi; l’intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato procura (non notarile).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente rilevarsi la nullita’ della procura depositata dall’intimato, trattandosi di procura conferita al difensore in violazione delle norme che disciplinano il conferimento della procura speciale per il giudizio di cassazione.

Nel giudizio di cassazione, infatti, la procura speciale non puo’ essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 33 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilita’ di atti diversi da quelli suindicati (salvo il suo conferimento mediante le forme dell’atto pubblico e della scrittura privata autenticata, alla stregua del secondo comma dello stesso art. 83 c.p.c.) (Cass., n. 14843 del 2007) . Ne consegue la invalidita’ della procura che, come nel caso di specie, sia stata rilasciata dalla parte su un foglio con scrittura privata non autenticata.

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 342, 346, 163 e 112 c.p.c., nonche’ vizio di omessa o insufficiente motivazione.

I ricorrenti ritengono che la Corte d’appello, nell’affermare il corretto principio giuridico sulla base del quale ha riformato la sentenza di primo grado, avrebbe violato le indicate disposizioni perche’ sul punto si era formato il giudicato, non avendo il Va. formulato specifici motivi di gravame in ordine alla ratio decidendi sulla base della quale il Tribunale aveva rigettato la sua domanda. Dalla semplice lettura dell’atto di appello, invero, si desumerebbe che il Va. si era limitato a lamentare il fatto che il Tribunale aveva travisato i fatti laddove aveva affermato che egli non aveva fornito la prova della necessita’ di effettuare i lavori di intonacatura del proprio fabbricato, ma non aveva affatto censurato la sentenza per la violazione del principio di diritto secondo cui la necessita’ deve riguardare l’accesso e il passaggio e non anche i lavori.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e 2697 c.c., nonche’ vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

I ricorrenti censurano in primo luogo il fatto che la Corte d’appello abbia disposto la conferma del provvedimento cautelare, abbia cioe’ adottato una statuizione che in quei termini non era stata richiesta dall’attore. Sotto altro profilo, rilevano che la Corte d’appello ha dato per provata la necessita’ dell’accesso, pur se essi ricorrenti avevano contestato la sussistenza dei relativi presupposti e senza che l’attore avesse allegato e provato detta necessita’, riferita all’accesso e non anche ai lavori. Inoltre, contraddittoriamente la Corte d’appello ha affermato, da un lato, che i convenuti non avrebbero mai contestato la necessita’ dell’accesso, e, dall’altro, che gli stessi convenuti avevano opposto resistenza alla pretesa dell’attore di accedere sul loro fondo, tanto da averlo impedito.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione degli artt. 843 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonche’ vizio di omessa e/o insufficiente motivazione. La censura si riferisce al capo della sentenza di rigetto dell’appello incidentale, in riferimento al quale i ricorrenti rilevano che, a fronte della eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata all’atto della costituzione, era onere dell’attore fornire la prova della sussistenza di detta legittimazione. Al contrario, la Corte d’appello ha rigettato il gravame incidentale estendendo il concetto di proprietario, e cioe’ del soggetto destinatario della norma di cui all’art. 843 c.c., fino a comprendervi chi, comunque, si trovi nel godimento del fondo in virtu’ di un rapporto reale e personale, in tal modo finendo per ignorare che l’art. 843 c.p.c. individua in capo al proprietario del fondo un obbligo costituente una obbligazione propter rem.

Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

Esso si sostanzia nell’affermazione che la Corte d’appello non avrebbe potuto accogliere l’appello, in quanto l’appellante principale non aveva censurato la statuizione del Tribunale, secondo cui l’appellante medesimo non aveva fornito la prova della necessita’ di eseguire i lavori, deducendone la erroneita’, dovendo invece aversi riguardo, ai sensi dell’art. 843 c.c., alla necessita’ dell’accesso e del passaggio sul fondo del vicino piuttosto che alla necessita’ della esecuzione dei lavori. In sostanza, assumono i ricorrenti, sulla insussistenza della necessita’ di accedere e di passare sul fondo si sarebbe formato il giudicato, sicche’ era precluso alla Corte territoriale prendere nuovamente in esame la questione.

Tale assunto e’ infondato, dal momento che la circostanza che il Tribunale abbia rigettato la domanda sul rilievo che l’attore non aveva provato la sussistenza della necessita’ di effettuare gli interventi edilizi ai quali erano finalizzati accesso e passaggio, non comporta alcun effetto di giudicato, preclusivo di un accertamento in ordine alla sussistenza o no della necessita’ per il proprietario di accedere al fondo del vicino e di passare sullo stesso al fine di eseguire lavori sul proprio edificio.

E la Corte d’appello ha, appunto, ritenuto che la questione non fosse preclusa e che la stessa potesse essere esaminata, stante la mancata contestazione degli appellati della necessita’ dell’accesso e del passaggio sul loro fondo.

Per il resto, non puo’ non rilevarsi che la censura e’ stata prospettata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e non anche ai sensi del n. 4 di tale articolo, il che non consente al Collegio l’esame diretto degli atti e quindi la valutazione della fondatezza o meno delle denunciate violazioni di legge, mentre il vizio di motivazione appare prospettato non in via autonoma, ma quale conseguenza di dette violazioni.

Il secondo motivo e’ infondato.

La Corte d’appello, come si e’ gia’ rilevato, ha ritenuto che i ricorrenti non avessero contestato la necessita’ dell’accesso e del passaggio sul proprio fondo al fine di consentire all’intimato l’esecuzione dei lavori. La Corte ha altresi’ osservato, con riferimento all’assunto dei ricorrenti di avere acconsentito all’accesso e al passaggio, che le risultanze istruttorie avevano dato esito negativo, nel senso che doveva escludersi, sulla base sia delle deposizioni di due testi, sia del mancato riscontro degli appellati tanto alla richiesta di consenso all’accesso e al passaggio avanzata a mezzo raccomandata dell’11 maggio 1994, quanto alla successiva richiesta del 26 maggio 1994, che gli appellati, odierni ricorrenti, avessero in concreto manifestato il proprio consenso all’accesso e al passaggio.

Ne’ puo’ ritenersi che il ragionamento della Corte d’appello sia affetto dal denunciato vizio di contraddittorieta’, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe fondato la propria decisione su valutazioni tra loro contrastanti: mancata contestazione della necessita’ dell’accesso e del passaggio; comportamento in concreto oppositivo all’accesso del vicino. Invero, l’affermazione della mancata contestazione si riferisce alle posizioni difensive assunte dai ricorrenti, chiaramente volte ad escludere che fosse necessario il provvedimento richiesto dell’attore, sul rilievo che al detto accesso vi era consenso; la seconda, da atto delle risultanze della istruttoria esperita nel corso del giudizio e si riferisce al comportamento degli appellati, di fatto oppositivo alla richiesta dell’attore.

A fronte di tale motivazione, le censure dei ricorrenti difettano di specificita’, nel senso che non evidenziano lacune o errori nel ragionamento della Corte d’appello, apparendo piuttosto volte ad evidenziare difese svolte solo in sede di comparsa conclusionale e di note di replica, e, in sostanza, a sollecitare un apprezzamento delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie diverso da quello cui e’ pervenuta la Corte territoriale.

Per quanto attiene poi al rilievo secondo cui la Corte d’appello, adottando in dispositivo una pronuncia di “conferma” del provvedimento cautelare, avrebbe a-dottato una statuizione non consentita in sede di merito, ritiene il Collegio che la stessa sia infondata. All’evidenza, infatti, la statuizione di conferma del provvedimento che aveva ordinato ai convenuti di consentire all’attore l’accesso e il passaggio ad un loro fondo, rappresenta una pronuncia che, essendo adottata in sede di merito, altro significato non puo’ avere che quello di riconoscimento della fondatezza della domanda proposta dall’originario attore; accoglimento espresso in forma sintetica attraverso il richiamo al provvedimento cautelare, che peraltro, al momento della decisione di merito, aveva avuto esecuzione. Si puo’ solo dire che della imprecisione della Corte d’appello avrebbe avuto interesse a dolersi unicamente l’appellante principale, dal momento che, mentre la domanda originaria era quella di ottenere l’autorizzazione ad accedere sul fondo dei vicini e a passare sullo stesso ai sensi dell’art. 843 c.c. e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, la pronuncia di conferma del provvedimento cautelare ha comportato l’accoglimento della sola domanda principale e non anche di quella risarcitoria. Ne’ i ricorrenti deducono che la statuizione in concreto adottata dalla Corte d’appello, ancorche’ tecnicamente non precisa, abbia arrecato loro un qualche pregiudizio, e in particolare la mancata attribuzione dell’indennita’ volta a compensare, ai sensi dell’art. 843 c.c., comma 2, eventuali danni che siano stati prodotti dall’accesso e dal passaggio del vicino.

Il terzo motivo e’ inammissibile.

La Corte d’appello ha motivato la reiezione dell’appello incidentale osservando, da un lato, che il G. non aveva fornito la prova della estraneita’ del bene, sul quale si sarebbe dovuto praticare l’accesso e il passaggio, alla comunione legale con il coniuge;

dall’altro, che comunque era sufficiente, a radicare la legittimazione rispetto alla domanda ex art. 843 c.c., una situazione di godimento del fondo in virtu’ di un rapporto reale e personale.

Orbene, le censure dei ricorrenti si appuntano solo sulla seconda ratio decidendi, ma non attaccano la mancanza di prova della estraneita’ del fondo alla comunione legale. Trova quindi applicazione, con riferimento al motivo in esame, il principio secondo cui, “in tema di ricorso per Cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa” (Cass., n. 389 del 2007; Cass., n. 20118 del 2006).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi e’ luogo a provvedere in ordine alla spese del giudizio di legittimita’, non avendo il resistente svolto alcuna valida attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

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