Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6540 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2017, (ud. 07/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16593/2011 proposto da:

R.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

BATTISTA LUCIANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 483/2010 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 28/06/2010 r.g.n. 376/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato DANIELE MANCA BITTI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale Avvocato LUIGI

FIORILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 giugno – 19 luglio 2010 la Corte d’Appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da R.C. avverso la sentenza emessa in data 15.7.2008 dal Tribunale di Cagliari (nr. 1802/2008), con la quale veniva respinta la domanda nei confronti della s.p.a. Poste Italiane per l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dall’11.11.2000 all’8.2.2001 ai sensi dell’art. 8 CCNL 1994, ritenendo intervenuta la risoluzione del contratto per mutuo consenso.

La Corte territoriale osservava che la lavoratrice aveva prestato attività per soli tre mesi, aveva ritirato il libretto di lavoro e ricevuto le spettanze di fine rapporto senza alcuna riserva, aveva contestato la legittimità del termine apposto al contratto oltre tre anni dopo la scadenza.

La condotta era non solo incompatibile sotto il profilo obiettivo con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro ma anche con la esistenza, sotto il profilo psicologico, di un interesse a tale ripresa.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.C., affidando l’impugnazione a due motivi di censura, illustrati con memoria.

Ha resistito con controricorso Poste Italiane.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1369 c.c..

Ha esposto che la Corte di merito aveva disatteso il principio di diritto secondo cui per potersi configurare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso era necessario accertare una chiara e comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

Nella fattispecie di causa Poste Italiane non aveva adempiuto all’onere probatorio a suo carico in ordine al formarsi di un mutuo consenso, fornendo quali elementi di prova unicamente il decorso del tempo – pari a poco più di tre anni ed il pagamento del TFR.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Ha dedotto che la Corte di merito non aveva individuato elementi certi ed univoci che attestassero la volontà di risolvere il rapporto di lavoro, tali non essendo nè il decorso del tempo nè la restituzione del libretto di lavoro (di cui peraltro non vi era prova in causa) nè la accettazione senza riserve del TFR e neppure la durata di soli tre mesi della attività lavorativa.

I due motivi che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, sono fondati. Come ripetutamente affermato da questa Corte, “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (ex plurimis: Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932, da ultimo, Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773, 13538, 14818/2015, nonchè Cass. 14809/2015).

Va ulteriormente confermato tale indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che – come è stato chiarito da Cass. 28-1-2014 n. 1780 “la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo. D’altra parte, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, di per sè è irrilevante. Nè può essere sufficiente al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti (v. fra le altre Cass. 7-7-1998 n. 6615)”.

La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione dei rapporto per mutuo consenso (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1/2/2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).

Nella fattispecie di causa la Corte di merito ha valorizzato circostanze di fatto, quali il decorso di tre anni dalla cessazione del contratto a termine, la restituzione del libretto di lavoro e la percezione del TFR che non sono idonee alla prova del mutuo consenso sullo scioglimento del contratto.

Non possono invece esaminarsi ulteriori indici dedotti in controricorso da Poste Italiane ma non rinvenibili nella statuizione impugnata (l’avere stipulato altri rapporti di lavoro, la mancata richiesta di adesione all’accordo sindacale del 13.1.2006).

Va in questa sede ribadito che il decorso del tempo è indice presuntivo di una volontà negoziale di risoluzione del rapporto di lavoro soltanto in presenza di altre circostanze di fatto univoche e convergenti in tal senso.

Nè la restituzione del libretto di lavoro nè la percezione del TFR sono elementi significativi e concludenti: tali condotte non esprimono il consenso alla cessazione del rapporto di lavoro ma piuttosto l’adeguamento delle parti alla formale scadenza del termine apposto; la ricezione del TFR, poi, non è comportamento incompatibile con la volontà di impugnare il contratto, ben potendo rispondere piuttosto – alla esigenza di mantenimento del lavoratore nel momento in cui è venuto meno il reddito da lavoro.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del ricorso e gli atti rinviati ad altro giudice che si individua nella Corte di appello di Cagliari in diversa composizione affinchè provveda a rinnovare il giudizio di fatto, emendandolo dal vizio rilevato ed ad applicare il principio di diritto sopra esposto.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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