Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6540 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 10/03/2021), n.6540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17802-2019 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN NICOLA DE’

CESARINI n. 3, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MACARIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GALLETTI;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., in persona del responsabile

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO

2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FRONTONI, rappresentata e

difesa dall’avvocato MAURIZIO PARISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1066/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

M.D. con atto di citazione notificato in data 10/11/2008 aveva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina la MPS Banca Personale s.p.a. (già Banca 121 Promozione Finanziaria s.p.a.) e la Banca Monte dei Paschi di Siena, lamentando di essere stato indebitamente indotto ad aderire al piano finanziario “(OMISSIS)” e chiedendo l’annullamento del contratto stipulato il 27/9/2001 e l’annullamento per dolo della successiva transazione del 27/9/2005, con il risarcimento dei danni;

si era costituita la sola Banca Monte dei Paschi di Siena, contestando l’avversaria pretesa, mentre MPS Banca Personale s.p.a. era rimasta contumace;

all’esito del procedimento, trattato secondo il rito c.d. “societario” di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, con sentenza del 19/7/2011 il Tribunale di Messina ha dichiarato la legittimazione passiva di Banca Monte dei Paschi di Siena, ha annullato il contratto e la successiva transazione, ha condannato MPS Banca Personale alla restituzione degli importi versati progressivamente dall’attore in forza dei contratti annullati, ha compensato le spese processuali fra attore e Banca Monte dei Paschi di Siena e ha condannato MPS Banca Personale alla rifusione delle spese del sig. D.;

con sentenza del 4/12/2018 la Corte di appello di Messina ha accolto l’appello proposto da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e in riforma della decisione di primo grado ha dichiarato l’estinzione del giudizio, a spese compensate;

secondo la Corte, il Tribunale aveva errato nel non dichiarare l’estinzione del giudizio, già rilevata con il provvedimento del 26/3/2010 del giudice relatore, che aveva rimesso le parti dinanzi al collegio con riferimento alla tardiva notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza per violazione dell’art. 8, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del cosiddetto rito societario di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, applicabile ragione temporis alla controversia;

la Corte territoriale ha affermato (pag.5) che negli atti di causa non vi era traccia della rituale notifica, che certamente non era stata eseguita, come confermava il fatto che la parte onerata aveva poi proposto ricorso per la riassunzione del giudizio ex art. 307 c.p.c., opzione peraltro preclusa dallo specifico disposto del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, comma 4;

avverso la predetta sentenza del 4/12/2018, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione M.D., con atto notificato il 30/5/2019, con il supporto di due motivi;

con atto notificato il 4/7/2019 ha proposto controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso e in subordine il rinvio per l’esame dei motivi di appello da essa proposti e rimasti assorbiti;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

il ricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese.

Ritenuto che:

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, comma 4, all’art. 9, comma 3, e all’art. 12, comma 5;

il motivo appare inammissibile, anche a prescindere dal rigoroso rispetto dei presupposti indicati nella sentenza delle Sez. U, n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 – 01 per procedere alla riclassificazione del motivo sub art. 360 c.p.c., n. 4, come denuncia di error in procedendo comportante nullità della pronuncia impugnata;

il ricorrente sostiene che da parte sua era mancato il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 9, ma non la notificazione della predetta istanza alla controparte ex art. 8 stesso decreto;

il ricorrente tuttavia non ha indicato la collocazione negli atti processuali della dedotta documentazione della notificazione dell’istanza di fissazione di udienza su cui si fonda la censura, con conseguente vizio di specificità e autosufficienza;

indicazione questa tanto più necessaria, posto che al riguardo la Corte di appello, a pagina 5, secondo paragrafo, della sentenza impugnata, ha escluso recisamente la presenza in atti della predetta notificazione della memoria di repliche e dell’istanza di fissazione dell’udienza che assume non essere mai stata eseguita, anche a prescindere dall’ulteriore argomentazione rafforzativa che scorge un riscontro di tale inesistenza nella proposizione del ricorso in riassunzione ex art. 307 c.p.c.;

le pur puntigliose difese svolte dal ricorrente con la memoria non consentono di correggere le esposte conclusioni;

nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 e 380 bis c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Sez. 2, n. 24007 del 12/10/2017, Rv. 645587 – 01; Sez. 1, n. 26332 del 20/12/2016, Rv. 642766 – 01; Sez. 6 – 3, n. 3780 del 25/02/2015, Rv. 634440 – 01; Sez. 2, n. 30760 del 28/11/2018, Rv. 651598 – 01);

con la memoria il ricorrente sostiene che:

(a) la notificazione da parte sua dell’istanza di fissazione di udienza sarebbe stato un fatto pacifico inter partes, perchè mai contestato dalla controricorrente ed anzi da questa esplicitamente ammesso con l’atto di appello;

(b) della predetta notificazione avvenuta il 14/5/2009 era stata fatta menzione nell’istanza di fissazione di udienza in riassunzione;

(c) che a tale notificazione, sia pure errando nell’indicarne la data, aveva fatto riferimento il giudice relatore con il provvedimento del 29/3/2010, traendone argomento circa il difetto di prova della sua tempestività;

(d) che il D. con la memoria dell’8/10/2010 aveva dato prova della tempestività della notifica dell’istanza depositando tutti i documenti rassegnati in originale;

(e) che il Tribunale di Messina con la sentenza di primo grado aveva disatteso l’eccezione di estinzione della Banca, per non rituale notifica delle memorie di replica e dell’istanza di fissazione dell’udienza, accertando che nel fascicolo di parte attrice erano presenti tutti gli atti citati ritualmente notificati nei termini di legge;

secondo il ricorrente il tema del contendere in appello riguardava la tempestività del deposito dell’istanza di fissazione di udienza e le sue conseguenze e non già la mancata notifica dell’istanza predetta che era invece pacificamente avvenuta;

in sintesi, conclude il ricorrente, l’originale dell’istanza notificata il 15/5/2009 si trovava sub 4 in allegato alla memoria dell’8/4/2010 nel fascicolo di parte depositato da parte del ricorrente;

tutte queste precisazioni e integrazioni, volte a dimostrare con precisi riferimenti ad atti processuali che la notificazione dell’istanza di fissazione di udienza era pacificamente avvenuta (mentre si discuteva solo del suo mancato deposito) e che essa poteva essere rinvenuta fra gli allegati della memoria dell’8/4/2010, non possono sanare le deficienze originarie del ricorso, carente di autosufficienza sotto entrambi i profili, alla luce dei sora rammentati limiti funzionali assegnati alla memoria illustrativa nel giudizio di legittimità; con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 9, comma 3, e art. 1, comma 4, e all’art. 307 c.p.c.;

secondo il ricorrente, la proposizione dell’istanza ex art. 307 c.p.c., istituto processuale questo di carattere generale, idoneo a recuperare il processo da situazioni di quiescenza per inattività delle parti, non comportanti la più grave sanzione dell’estinzione immediata, come appunto il mancato deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza tempestivamente notificata alla controparte, non aveva alcun valore sintomatico della mancata notifica dell’istanza di fissazione, che invece le aveva indebitamente attribuito la Corte territoriale;

il predetto secondo motivo presuppone la dimostrazione della tempestiva notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, non ritualmente offerta con il primo motivo per le ragioni esposte, quand’anche si dovesse concordare sull’insufficienza dimostrativa dell’inesistenza della notifica della proposizione dell’istanza di riassunzione ex art. 307 c.p.c.;

resta pertanto assorbita ogni considerazione circa la tesi propugnata dal ricorrente relative alle conseguenze, non immediatamente estintive, della violazione del termine D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 9, comma 3, qualificato come “perentoria” dalla legge;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 1.800,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

 

 

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