Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6538 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. I, 28/02/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 28/02/2022), n.6538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37063/2019 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pompeo Magno n.

23/a, presso lo studio dell’avvocato Rossi Guido, rappresentato e

difeso dall’avvocato Tramacere Giorgio, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ca.Fr., elettivamente domiciliata in Roma, Via Luigi

Settembrini n. 28, presso lo studio dell’avvocato Morcavallo

Francesco, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce

alla memoria di nomina e costituzione di nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1434/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Brescia pronunciò la separazione dei coniugi C.I. e Ca.Fr., con addebito alla moglie.

Per quanto di interesse in questa sede, affidò al padre la figlia minore V. (classe (OMISSIS)), regolando il diritto-dovere di visita della madre alla presenza di un educatore incaricato dai servizi sociali.

Tale statuizione è stata riformata in appello, in accoglimento del (solo) secondo motivo del gravame della Ca..

Alla luce delle risultanze di causa la corte d’appello di Brescia ha osservato che vi era stata in effetti, nei confronti del padre, un’infondata accusa di abusi sessuali verso la figlia, come poi appreso nel contesto del procedimento penale che ne era derivato, ma che ciò aveva prodotto un clima di conflittualità divenuta nel tempo esasperata, con conseguenze sulla serenità della bimba. In particolare ha sottolineato che dalla situazione erano derivati un crescendo di sofferenze della bambina (ritenuta affetta da sindrome conclamata Pas) per il timore di esser distaccata dalla madre, con la quale aveva nel frattempo instaurato un rapporto simbiotico, e un progressivo stallo della situazione quanto al rapporto col padre, anche per l’insofferenza nei confronti dell’operato dei servizi sociali.

Menzionato il materiale istruttorio rappresentato da tre relazioni di c.t.u. e varie relazioni dei servizi sociali succedutesi tra il 2013 e il 2019, la corte d’appello ha reputato che male avesse fatto il tribunale ad affidare la figlia al padre sulla base della forzatura della situazione in atto, e che invece, anche considerata la sindrome Pas, congruo fosse collocarla presso la madre ma con affidamento ai servizi sociali, per l’adozione di tutte le iniziative utili al benessere della stessa previa consultazione coi genitori, e con individuazione delle opportune misure di sostegno psicologico e alla genitorialità.

Per la cassazione di questa sentenza C. ha proposto ricorso sorretto da cinque motivi, illustrati da memoria.

La Ca. ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza per omesso esame delle risultanze delle c.t.u. svoltesi in primo grado (art. 360 c.p.c., n. 5), per violazione degli artt. 132 e 115 c.p.c., e per motivazione apparente, sostenendo che quelle risultanze, compiutamente indicate nell’illustrazione del mezzo, non sarebbero state esaminate in vista del giudizio di nocività dell’atteggiamento della madre, ritenuta inidonea a svolgere il proprio ruolo genitoriale.

Col secondo mezzo il ricorrente ulteriormente censura la sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., art. 132 c.p.c., art. 111 Cost., nonché per vizio di motivazione, non essendo stati esaminati ulteriori fatti decisivi relativamente alla condotta assunta dalla madre nei confronti della figlia, giacché la madre ne aveva ostacolato in ogni possibile modo lo sviluppo di un corretto e armonioso rapporto con entrambi i genitori.

Col terzo motivo ancora si deduce la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 132 e 156 c.p.c., e l’omesso esame di fatti decisivi, essendosi in più punti dinanzi a una motivazione solo apparente: in particolare, a fronte di poche righe di motivazione, sarebbe stato omesso l’esame di ben più complesse risultanze processuali, desumibili dalle tre relazioni peritali, da ventuno relazioni dei servizi sociali, dalla denuncia orale per presunti atti di violenza sessuale conclusasi con successiva archiviazione nei riguardi del ricorrente, nonché dal documentato contegno della madre, contrario a ogni riavvicinamento della figlia al padre.

Col quarto mezzo è dedotta la violazione degli artt. 101 e 115 c.p.c., per avere la corte d’appello considerato rilevante un documento contestato e formato in violazione del contraddittorio, costituito dalla relazione dei servizi sociali dell’8 novembre 2018 nella quale erano state espresse opinioni in merito al collocamento della minore unilaterali e non richieste dal tribunale.

Infine col quinto motivo la sentenza è censurata per violazione o falsa applicazione degli artt. 91,92 e 112 c.p.c., a proposito dell’avvenuta compensazione delle spese di lite anche con riguardo a quelle di primo grado e della ripartizione al 50 % delle spese di c.t.u.

II. – I primi tre motivi, unitariamente esaminabili per connessione, sono fondati.

La corte d’appello di Brescia si è determinata a collocare la minore presso la madre in considerazione della manifestazione di sofferenza della stessa a stare col padre, desunta da alcune relazioni dei servizi sociali che avevano evidenziato l’esistenza di una situazione di stallo dopo la denuncia – peraltro rivelatasi falsa – di abusi sessuali del padre nei confronti della figlia.

Riguardo alla suddetta condizione di “sofferenza”, la corte d’appello ha motivato la decisione con la lapidaria frase secondo cui detta situazione andava “indagata e non classificata”, poiché difatti era stata collegata dalle c.t.u. a una sindrome conclamata Pas e a una possibile diagnosi di struttura narcisistica della personalità.

In definitiva la corte territoriale, sottolineando lo spartiacque segnato dall’accusa di abusi sessuali, ha semplicemente ritenuto, in base alle menzionate relazioni dei servizi sociali, che la collocazione della figlia presso la madre fosse la risposta migliore al crescendo di sofferenza della bambina, per la paura di essere distaccata dalla madre con la quale aveva instaurato un rapporto simbiotico.

III. – Una simile decisione non è tuttavia sorretta da congrua motivazione, né può considerarsi conforme a ciò che deve essere dal giudice del merito valutato dinanzi a situazioni del genere, a salvaguardia del principio di genitorialità.

IV. – Occorre ribadire che la stessa sentenza dà atto che il collocamento della bimba presso il padre era stato al tribunale consigliato dal c.t.u., “per avere ravvisato una sindrome conclamata (Pas) e una possibile diagnosi (struttura narcisistica della personalità)”.

Dal ricorso, nel quale sono stati specificati i tratti salienti delle c.t.u. anzidette, emerge che “l’ostinato rifiuto della bambina a frequentare il padre trae(va) origine sia da un conflitto d’alleanza con la madre, sia dalla struttura di personalità narcisistica”, cosicché proprio il rifiuto di vedere il padre avrebbe potuto portare la minore (sempre secondo le c.t.u.) a “sviluppare un disturbo di identità di genere o un disturbo di personalità paranoide o antisociale”.

Ancora emerge che tali conclusioni delle c.t.u. erano state finanche condivise dal c. t. di parte della madre, così da giustificare in qualche modo l’inferenza – niente affatto indagata dalla corte d’appello di Brescia nonostante l’apodittica affermazione iniziale di necessità di un’indagine al riguardo (v. sentenza, pag. 17, rigo 5) – che l’afferente condizione poteva per l’appunto esser derivata proprio dai condizionamenti operati dalla madre, dopo che la stessa madre aveva denunciato il C. per abusi sessuali nei confronti della figlia. Tanto è vero che ancora le c.t.u. avevano evidenziato che in precedenza la figlia aveva “sempre mostrato felicità nel vedere il padre” né si era “mai sottratta agli incontri, né (..) manifestato segni di disagio”, a fronte della capacità del padre di relazionarsi con la stessa.

Per tale ragione la trascrizione dei singoli passi della c.t.u. sta a dire che la conclusione in quella sede operata era stata opposta a quanto poi ritenuto dalla corte d’appello, avendo il c.t.u. specificato che “se l’esito del procedimento penale sarà favorevole per il sig. C., e se il disagio della bambina nell’incontrare il padre rimarrà tale o si intensificherà (…) sarà opportuno prevedere un collocamento della minore presso il padre”, esattamente come aveva fatto, poi, il tribunale.

V. – E’ altresì un fatto certo – come si evince dalle trascrizioni operate dal ricorrente – che all’infondatezza dell’accusa della madre nei confronti del padre aveva fatto seguito un’iniziativa del pubblico ministero per la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale; iniziativa che si assume non conclusasi con una specifica decisione medio tempore ma che, comunque, è pacifico che abbia anticipato un analogo procedimento incardinato dal padre e dai nonni paterni.

Invero nel ricorso è in prospettiva di autosufficienza riportato (pag. 24) finanche l’atto (la memoria della costituzione di secondo grado) in cui tale fatto risulta esser stato puntualmente evidenziato alla corte territoriale, la quale però – ed è un’altra lacuna della sentenza – non lo ha considerato in alcun modo, neppure per smentirne la concludenza.

Ne’ la corte d’appello ha minimamente valutato l’ulteriore circostanza per la quale la Ca. aveva provveduto a registrare le conversazioni avvenute nel corso delle c.t.u. per operare una sostanziale sostituzione della figura paterna con l’attuale compagno, col quale aveva intrapreso la relazione extraconiugale che ha dato luogo all’addebito di responsabilità nella separazione.

Tutti questi fatti emergenti dalle c.t.u. non sono stati neppure menzionati dalla corte d’appello, anche al solo fine di eventualmente smentirli.

VI. – Ora questa Corte a più riprese ha affermato che ove un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, e a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (v. Cass. n. 691916, Cass. n. 13217-21).

Non si può affermare – come invece la corte d’appello apoditticamente ha fatto – che la riscontrata esistenza di una sindrome del genere debba essere indagata senza poi effettivamente indagarla.

Ne’ si può avallare la superficiale valutazione di sofferenza della minore a stare col padre in mancanza di una chiara considerazione dei riferiti elementi di fatto, chiaramente desumibili dalle c.t.u. pur menzionate in sentenza, potenzialmente idonei a sostenere che quella sofferenza fosse stata indotta dal comportamento della stessa madre.

Difatti tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva – come detto – anche e proprio la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

VII. – Poiché allora il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio – limitatamente ai fatti che essa veicola nel processo – integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere nel giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex anis Cass. n. 13922-16, Cass. n. 13399-18, Cass. n. 18598-20, Cass. n. 14599-21); e poiché è certo che l’impugnata sentenza ha ribaltato la valutazione del tribunale sul collocamento della minore senza fornire alcuna specifica motivazione a riguardo di codesti fatti, potenzialmente suscettibili di incidere invece in termini decisivi, non resta che accogliere i dianzi menzionati tre motivi di ricorso e cassare la sentenza con rinvio per nuovo esame.

VIII. – A tanto provvederà la corte d’appello di Brescia in diversa composizione, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti. Restano assorbiti i motivi quarto e quinto.

La corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla corte d’appello di Brescia anche per le spese del giudizio di cassazione.

Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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