Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6537 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. I, 28/02/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 28/02/2022), n.6537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24780/2017 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Zebio n.

30, presso lo studio dell’avvocato Camici Giammaria, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cappello Alessandro,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.V., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni Nicotera

n. 29, presso lo studio dell’avvocato Sarnari Giulia, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Semeraro Maria Teresa,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1571/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata il 03/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 3 luglio 2017 la corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione con la quale il tribunale della stessa città aveva determinato in 1.500,00 Euro al mese l’importo dell’assegno divorzile spettante a R.V., sul presupposto della comparativa situazione economica di questa rispetto a quella dell’ex coniuge C.C., a cui era stata legata da un matrimonio durato quarantasei anni durante i quali la R. (classe (OMISSIS)) si era occupata sempre e solo della famiglia e dei figli.

Ha motivato la decisione considerando che la determinazione del patrimonio delle due parti era stata correttamente ricostruita dal tribunale in base alla eseguita c.t.u., e che in particolare C. (classe (OMISSIS)), ex dirigente d’azienda, era risultato in possesso, oltre alla pensione, di disponibilità liquide per oltre 522.000,00 Euro.

Ha osservato che il medesimo C. viveva in un immobile posseduto a seguito di preliminare di compravendita, a un prezzo a suo dire già versato di 350.000,00 Euro e, per quanto il bene non fosse ancora a lui intestato, era pendente una causa per inadempimento contrattuale nei confronti della venditrice (OMISSIS), al momento in liquidazione. Tuttavia non era stata dimostrata una conseguente diminuzione patrimoniale di C., visto che egli comunque risiedeva nell’immobile assieme alla nuova moglie, e visto che, in caso estremo, avrebbe potuto rivalersi sulla promittente venditrice in ragione della prospettata responsabilità contrattuale.

Ulteriormente la corte d’appello ha osservato che, in base alla c.t.u., C. era risultato in possesso di ancor maggiori disponibilità di denaro transitate su altri conti, l’uno intestato alla nipote (per 500.000,00 Euro) e un altro all’attuale convivente (per 50.000,00 Euro).

Non comparabile è stata ritenuta invece la situazione patrimoniale della R.: ella era risultata vivere in un appartamento locatole dal figlio a un canone di 700,00 Euro al mese; l’ex marito si era reso inadempiente all’obbligo di versamento del contributo di separazione e anche dell’assegno provvisorio, costringendola a ricorrere all’aiuto dei due figli; a questi la R., per sdebitarsi, aveva donato la somma di 100.000,00 Euro ciascuno all’indomani della vendita di una casa a (OMISSIS); in effetti, la R. aveva ottenuto una certa disponibilità liquida (630.000,00 Euro) anche dalla vendita di una casa a (OMISSIS), ma la somma le sarebbe servita per un futuro acquisto di una casa di abitazione e per le notorie necessità legate all’età avanzata, vista la mancanza di fonti ulteriori di reddito da pensione o da locazione.

In tale comparata condizione la corte d’appello, pur considerando che C. aveva creato una nuova famiglia, e pur tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale non più attestato sulla necessità di valutare, in casi simili, il criterio del mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ha valutato come non autosufficiente economicamente la situazione della medesima R. e ha confermato, con ciò, il diritto all’assegno.

C. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a otto motivi, illustrati da memoria.

L’intimata ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Il ricorso è articolato in otto motivi.

I primi cinque motivi attengono tutti alla valutazione della corte d’appello in ordine al patrimonio della R..

Di questi, i primi tre sono correlati alla questione del futuro verosimile acquisto di una casa di proprietà tale da incidere sull’autosufficienza economica derivante dalla disponibilità di risorse finanziarie.

Vi si sostiene:

(i) la violazione dell’art. 5 Legge div., per avere la corte d’appello valutato, ai fini dell’autosufficienza economica, la mera futura eventualità di esborsi per acquisto della casa di proprietà, a fronte del provato possesso di una notevole liquidità finanziaria, in contrasto con la necessità di accertare gli indici economici all’attualità e al momento della pronuncia di divorzio;

(ii) la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c., avendo la corte territoriale giudicato su base solo congetturale, senza spiegare perché fosse presumibile e ragionevole ritenere che una donna di ottant’anni, vivendo in locazione in una casa di proprietà del figlio, avrebbe dovuto procedere a un verosimile futuro acquisto di un’abitazione;

(iii) la nullità della sentenza per motivazione apparente.

I restanti due mezzi attengono a una parte della ricostruzione istruttoria afferente.

Vi si sostiene:

(iv) la violazione o falsa applicazione dell’art. 782 c.c. e artt. 112 e 132 c.p.c. con riguardo alla donazione fatta ai due figli, non essendo stata considerata l’eccezione sollevata in primo grado e reiterata in appello circa la nullità delle donazioni per mancanza di forma solenne, oltre che il fatto che le stesse fossero state sorrette dalla mera finalità di diminuire artatamente il patrimonio della donante;

(v) la violazione dell’art. 5 Legge div. e dell’art. 132 c.p.c. per motivazione apparente, e comunque errata, stante l’utilizzazione di un criterio di giudizio alternativo a quello prospettato nelle ipotesi ricostruttive del c.t.u., circa la ripartizione del saldo del conto corrente della R. cointestato con uno dei figli.

II. – I primi tre motivi sono fondati nel presupposto, alla luce delle considerazioni seguenti.

Nei giudizi di divorzio questa Corte, a sezioni unite, ha affermato (Cass. Sez. U n. 18287-18) che all’assegno in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e che conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale “adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”.

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, pertanto, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

Ne segue che il giudizio deve essere espresso – sì – alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma “in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”.

A sua volta la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, “ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

III. – Gli anzidetti principi, enunciati dalle Sezioni unite nell’esatto senso sopra virgolettato, costituiscono patrimonio acquisito nella giurisprudenza della sezione (e v. difatti Cass. n. 1882-19, Cass. n. 21234-19, Cass. n. 5603-20) e con essi confligge la ricostruzione, per molti aspetti pur lacunosa ed evasiva, della corte d’appello di Bologna. La quale difatti ha motivato il diritto all’assegno e la sua quantificazione sulla scorta di considerazioni eccentriche rispetto alla funzione equilibratrice rettamente intesa.

Codesta non dipende dalla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale (come la corte d’appello ha giustamente premesso), ma neppure costituisce un semplice predicato del giudizio sull’autosufficienza economica in sé considerata (come implicitamente ritenuto in affermata adesione alla isolata Cass. n. 11507-17).

Fermo restando che non risulta dalla sentenza minimamente spiegato il congetturale assunto per cui non si possa considerare autosufficiente una persona come la R., pur dotata di un patrimonio liquido di oltre 700.000,00 Euro, il punto centrale è che la funzione equilibratrice va ancorata al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge, economicamente più debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale di entrambi.

Cosa sulla quale niente è stato detto nell’impugnata sentenza, che si è dilungata in disquisizioni atomistiche a proposito della consistenza dei patrimoni reciproci, ma senza alcuna attenzione alla ricostruzione della vita matrimoniale in rapporto alle scelte fatte durante la stessa, e alle eventuali rinunzie rispetto a concrete prospettive individuali. Ciò comporta che l’intera valutazione deve essere ripetuta, in applicazione dei principi affermati dalle Sezioni unite e qui ribaditi.

IV. – Il quarto e il quinto motivo, che nel dettaglio attengono alla individuazione di elementi confluiti nella valutazione di consistenza del patrimonio della R., sono inammissibili.

Il ricorrente censura la sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 782 c.c. e artt. 112 e 132 c.p.c. con riguardo alla donazione fatta ai due figli, e lamenta che non sia stata considerata l’eccezione sollevata in primo grado e reiterata in appello circa la nullità delle donazioni per mancanza di forma solenne, oltre che il fatto che le stesse fossero state sorrette dalla mera finalità di diminuire artatamente il patrimonio della donante.

La censura è inammissibile perché non è in sé rilevante la questione della forma della donazione, essendo stata compiuta dalla corte d’appello una valutazione di merito in ordine alla diminuzione patrimoniale comunque subita dalla ex moglie; sicché la critica del ricorrente si infrange, per questa parte, con l’accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità.

Il ricorrente censura poi la sentenza per violazione dell’art. 5 Legge div. e dell’art. 132 c.p.c., stante l’apparenza della motivazione per utilizzazione di un criterio di giudizio alternativo a quello prospettato nelle ipotesi ricostruttive del c.t.u. circa la ripartizione del saldo del conto corrente della R. cointestato con uno dei figli.

Il mezzo, ove non assorbito dalle considerazioni già fatte, è comunque inammissibile per difetto di specificità e perché totalmente attinente al giudizio di fatto, dalla corte d’appello in ogni caso motivato a proposito della consistenza del saldo.

V. – Gli ultimi tre mezzi sono relativi alla ricostruzione del patrimonio del ricorrente.

Vi si sostiene che esistano incongruenze logiche nella valutazione di merito.

Specificamente: nel sesto motivo si denunzia la violazione dell’art. 5 Legge div. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. a proposito della motivazione riferita alla casa di proprietà, avendo la corte d’appello illogicamente considerato il valore dell’immobile nonostante che lo stesso, sebbene totalmente pagato, non fosse mai entrato nella proprietà del ricorrente promissario acquirente, e nonostante che il giudizio promosso ai sensi dell’art. 2932 c.c. fosse stato interrotto per il sopravvenuto fallimento della società promittente; nel settimo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apodittica o apparente sul menzionato profilo; nell’ottavo il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) stante l’omesso esame dei suddetti fatti decisivi.

VI. – I citati tre motivi sono fondati sotto il profilo del vizio motivazionale.

A fronte della riconosciuta stipulazione di un semplice preliminare di compravendita, e a fronte del parimenti riconosciuto inadempimento della società promittente dopo il pagamento integrale del prezzo da parte di C. (promissario), è illogico sostenere che non vi sia stata una corrispondente diminuzione patrimoniale in capo a questo.

La circostanza che il promissario abbia iniziato ad abitare nell’immobile non sposta i termini della questione, salvo ritenere che di tanto si possa tener conto ai fini della quantificazione della diminuzione effettivamente subita, per il corrispondente risparmio di un esborso per l’utilizzazione temporanea del bene.

Di tutto ciò, tuttavia, non v’e’ traccia nell’enigmatico ragionamento della corte territoriale. Che invero si è dipanato sull’inconferente rilievo per cui il promissario avrebbe la possibilità di intraprendere le iniziative giudiziarie conseguenti all’inadempimento della società promittente.

Questa considerazione non giustifica minimamente la decisione assunta, essendo patente la contraddizione da cui è sottesa: il problema è (e resta) quello della diminuzione patrimoniale, che giustappunto è alla base di ogni azione implicante la generica rivalsa contro la promittente.

La diminuzione patrimoniale discendente da un inadempimento contrattuale non può essere esclusa, finanche su base di pura logica, per il fatto di avere il danneggiato a disposizione una o più azioni a propria tutela. Non senza dire che è dedotto in giudizio, senza avverse contestazioni, che la società promittente è fallita, con chiare conseguenze sulla effettiva utilità di quelle ipotetiche azioni.

VII. – In conclusione l’impugnata sentenza va cassata.

Segue il rinvio alla medesima corte d’appello che, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi ai principi dettati al superiore punto II; essa rinnoverà anche il giudizio in ordine alla determinazione del patrimonio del ricorrente, epurando la motivazione dalle aporie sottolineate al punto VI; in ogni caso provvederà sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i motivi primo, secondo, terzo, sesto, settimo e ottavo, inammissibili gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d’appello di Bologna anche per le spese del giudizio di cassazione.

Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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