Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6537 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2017, (ud. 07/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Gugliemo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16173-2011 proposto da:

C.M. C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2010 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 16/06/2010 r.g.n. 260/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 16 giugno 2010, la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da C.M. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto le sue domande di accertamento della nullità del termine apposto da Poste Italiane s.p.a. al contratto di lavoro stipulato tra le parti per il periodo 16 giugno – 30 settembre 2000 e di conversione in rapporto a tempo indeterminato, con la condanna della società datrice alla riammissione in servizio del lavoratore e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva, come già il Tribunale, lo scioglimento del contratto per mutuo consenso, nella sufficienza degli scrutinati ulteriori elementi, oltre al silenzio della lavoratrice, sintomatici della sua volontà abdicativa, quali in particolare: la breve durata del contratto a termine, l’intervallo di tempo (oltre quattro anni) dalla cessazione del rapporto a termine e la prima contestazione di nullità del termine, la restituzione del libretto di lavoro, l’accettazione incondizionata del T.f.r. e delle competenze finali, lo svolgimento di altra attività lavorativa.

Con atto notificato il 11 (16) giugno 2011, C.M. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso e decisivo dell’esistenza di una risoluzione per mutuo consenso del contratto di lavoro tra le parti, a norma dell’art. 1372 c.c., alla luce dei dati di fatto scrutinati dalla Corte territoriale, inidonei all’accertamento di una chiara e certa volontà abdicativa della lavoratrice dal rapporto.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. anche in riferimento agli artt. 1422, 2946, 2948 e 2113 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erroneo accertamento di risoluzione per mutuo consenso, sulla base dell’intervallo temporale di oltre quattro anni, in contrasto con il regime di imprescrittibilità dell’azione di nullità intrapresa e le disposizioni in materia di prescrizione, nonostante l’iscrizione della lavoratrice in una graduatoria di aspiranti all’assunzione e l’emissione di circolare datoriale di divieto di assunzione di lavoratori impugnanti precedenti contratti a termine.

Con il terzo, la ricorrente deduce vizio di insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, sul fatto controverso e decisivo dell’interpretazione degli effetti della inclusione della lavoratrice nella graduatoria dei c.d. “trimestrali” e della circolare del 14 febbraio 2000, anche in riferimento all’art. 428 c.c..

Tutti i motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

Essi si risolvono, infatti, in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto, in vista della sollecitazione di un riesame del merito di ricorrenza della risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine tra le parti, nell’inidoneità del solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844).

Ma tale principio di diritto è stato esattamente applicato dalla Corte territoriale, per assunzione di una consapevole opzione interpretativa (affermata al primo capoverso di pg. 13 della sentenza), in esito ai ricostruiti diversi indirizzi giurisprudenziali (dal penultimo capoverso di pg. 10 all’ultimo di pg. 12 della sentenza).

E comunque si tratta di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906; Cass. 5 giugno 2013, n. 14209), le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistano vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932, con affermazione di principio ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1): da escludere nel caso di specie (per le argomentate ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 14 all’ultimo di pg. 16 della sentenza).

Ed infine, deve pure essere evidenziato il difetto di specificità del terzo motivo, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per la violazione del principio di autosufficienza in difetto di trascrizione dei documenti citati, quali in particolare la graduatoria dei c.d. “trimestrali” e della circolare del 14 febbraio 2000 (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna C.M. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge. nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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