Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6536 del 14/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2017, (ud. 07/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10004-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato STUDIO TRIFIRO’

& PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’

SALVATORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.C.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato CARUSO ANTONIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO SIRACUSA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/04/2010 r.g.n. 1256/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SOTTILE per delega verbale SALVATORE

TRIFIRO’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 8 aprile 2010, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dalla società il 19 marzo 2004 con L.C.G. e la conversione in rapporto a tempo indeterminato dal 20 marzo 2004, con la condanna della società datrice alla riammissione in servizio della lavoratrice e al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dalla data di messa in mora del 23 luglio 2004, oltre accessori di legge.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la nullità del termine, in difetto di specifica indicazione delle persone da sostituire dalla lavoratrice (addetta al recapito presso l’U.D.R. di Sesto San Giovanni), nè delle ragioni della loro assenza (per il periodo dal 15 marzo al 31 maggio 2004 presso il Polo Corrispondenza Lombardia) e neppure di prova della effettività di tali esigenze e del nesso causale tra queste e l’assunzione a tempo determinato (piuttosto risultata per sopperire carenze di organico).

Essa riteneva quindi coerente la conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, nell’inapplicabilità della disciplina di nullità parziale dell’art. 1419 c.c., della condanna risarcitoria della società datrice al pagamento, in favore della lavoratrice, delle retribuzioni mensili dalla costituzione in mora, individuata nella notificazione di richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’art. 410 c.p.c..

Con atto notificato il 18 aprile 2011, Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste la lavoratrice; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in relazione al contratto di assunzione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la sufficiente specificazione delle ragioni (sostitutive) indicate nel contratto, della tipologia dei lavoratori da sostituire (personale addetto al servizio di recapito), dell’ambito territoriale di riferimento (Polo Corrispondenza Lombardia), dell’ufficio (U.D.R. di Sesto San Giovanni), della durata del contratto (dal 15 marzo al 31 maggio 2004).

Con il secondo, la ricorrente deduce vizio di omessa e insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alle evidenti specificazioni contenute nel contratto a termine.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e contraddittoria e insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per non corretta valutazione delle risultanze probatorie, da inserire nel particolare contesto di prestazione dell’attività della lavoratrice a termine, in zona (n. 4), normalmente coperta da personale non di ruolo, con il sistema dell’areola. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c., art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la conversione, conseguente alla nullità del termine apposto al contratto, del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, in quanto non prevista, al contrario che nell’anteriore regime generale di nullità parziale, retto dalla L. n. 230 del 1962 ed essendo inestensibili le deroghe stabilite dagli D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 18, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inesistenza di un obbligo retributivo, erroneamente ritenuto, a carico datoriale dalla data di messa in mora, in difetto di prestazione lavorativa, in assenza di un diritto risarcitorio della lavoratrice, ma eventualmente del solo ripristino del rapporto, in realtà neppure essendo mai stata licenziata.

In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto tempestivo essendo stato consegnato per la notifica (8 aprile 2011) entro il termine annuale prescritto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, (nel testo applicabile ratione temporis) dalla pubblicazione della sentenza impugnata (8 aprile 2010): nell’irrilevanza della posteriorità del termine di ricevimento, per la scissione degli effetti della notificazione a mezzo posta per il notificante e il destinatario (Cass. s.u. 26 luglio 2004, n. 13970; Cass. 3 luglio 2014, n. 15234; Cass. 24 aprile 2015, n. 8395).

Il primo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per la sufficiente specificazione delle indicazioni del contratto di assunzione a termine) può essere congiuntamente esaminato, per stretta connessione, con il secondo (omessa e insufficiente motivazione su tali specificazioni).

Essi sono fondati.

Ed infatti, secondo indirizzo assolutamente consolidato di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass. 1 agosto 2016, n. 15983; Cass. 10 maggio 2016, n. 9483; Cass. 25 gennaio 2016, n. 1246; Cass. 7 gennaio 2016, n. 113; Cass. 26 novembre 2015, n. 24196; Cass. 12 gennaio 2015, n. 208; Cass. 26 gennaio 2010, n. 1577).

E tali elementi nel caso di specie la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato, in favore di una incongrua valorizzazione della mancata specificazione del numero dei lavoratori assenti e della ragione della loro assenza (in particolare al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’accoglimento dei due mezzi congiuntamente esaminati, con assorbimento degli altri: ciò che comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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