Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6533 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. III, 22/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 22/03/2011), n.6533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUIGI RIZZO 36, presso lo studio dell’avvocato IANNACCI

ANTONIO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

e contro

GHIO SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4257/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 12/07/2005, depositata il

06/10/2005; R.G.N. 10535/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.A. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Ghio avverso la sentenza del 6 ottobre 2005, con la quale la Corte d’Appello di Roma ha rigetta l’appello da lui proposto avverso la sentenza del novembre 2001, con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato, per difetto di prova del nesso causale, la domanda da lui proposta contro la Ghio per sentirla condannare al risarcimento dei danni sofferti a causa di infiltrazioni verificatesi in un appartamento di sua proprietà a seguito – a suo dire – del danneggiamento della colonna principale di carico della palazzina nel corso dell’esecuzione da parte della ditta della convenuta di lavori di installazione di un apparecchiatura telefonica sulla parte esterna del fabbricato.

1.1. L’intimata non ha resistito al ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione dell’art. 116 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 su di un punto decisivo della controversia”.

Il motivo è illustrato anzitutto con il rilievo che sia il giudice di primo grado che i quello d’appello non avrebbero preso in alcuna considerazione la prova dei fatti forniti dal C. sia attraverso la relazione tecnica del geometra B. sia attraverso i testimoni escussi, mentre da un attento esame di tali risultanze probatorie emerge chiaramente ed incontrovertibilmente che la responsabilità dei fatti oggetto di causa è senz’altro da addebitarsi ai lavori fatti eseguire dalla società Ghio s.p.a..

Nella sentenza non vi sarebbe alcun cenno alle prove offerte dall’attore ed in ciò risiederebbe la violazione dell’art. 116 c.p.c. Viene, quindi, evocata, per dare sostanza all’asserita violazione dell’art. 116 c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte circa la devoluzione al giudice di merito dell’individuazione delle fonti del proprio convincimento, ma con il limite di un’adeguata motivazione in ordine alla scelta di alcune piuttosto che di altre.

Si riportano, poi, parzialmente le dichiarazioni di tre testi e si assume che del loro contenuto i giudici di merito non avrebbero tenuto conto.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 115 c.p.c. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

Vi si assume che i giudici d’appello, non ponendo a fondamento della loro decisione le prove proposte dall’attore, ma argomentando per “illazioni” e “deduzioni”, hanno violato la norma di cui all’art. 115 c.p.c. che impone loro di porre a fondamento della loro decisione le prove offerte dalle parti.

La successiva illustrazione si articola con il riprodurre la seguente parte della motivazione della sentenza impugnata: “…. Il Ctu ha anche accertato che la colonna portante era situata ad una profondità di circa 40 cm. e, quindi, tenuto conto che per il fissaggio degli stop in questione la buona tecnica impone l’utilizzo di una punta di eguale dimensione, tra la fine del fissaggio e la colonna di scarico vi era una distanza di circa 24 cm.”.

In relazione a tale affermazione si assume che nè il c.t.u. nè i giudici che hanno esaminato il suo elaborato avrebbero potuto dire con certezza che i tecnici della Ghio avevano effettivamente utilizzato una buona tecnica. Si sostiene, poi, che il c.t.u. avrebbe formulato le sue conclusioni circa l’assenza di nesso causale sulla base del servizio fotografico dello stato dei luoghi prima delle riparazioni che era allegato alla c.t.p. dell’attore e, quindi, non sulla base di dati oggettivi e/o tecnici.

Si riportano poi alcuni passi motivazionali della sentenza impugnata imputando ad essi di essere semplici supposizioni ed illazioni.

3. I motivi si presentano inammissibili anzitutto perchè sono articolati con palese violazione del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.

Nè alle insufficienze espositive dell’illustrazione dei motivi sotto tale profilo supplisce l’esposizione del fatto, che è quasi al limite della violazione dello stesso art. 366 c.p.c., n. 3, posto che:

a) non si fornisce una precisa descrizione dei fatti storici oggetto della domanda introduttiva del giudizio, i quali vengono genericamente riferiti come rappresentati da infiltrazioni verificatesi nell’appartamento dell’attore ricorrente, causate da danneggiamento della colonna principale di carico della palazzina, provocati durante la installazione di un apparato sulla parete esterna, senza che si precisi se vi fu o non vi fu contestualità fra le infiltrazioni ed i lavori;

b) non si precisano, seppure succintamente, le ragioni poste a base della sentenza di primo grado;

c) si indicano del tutto genericamente i motivi di appello, dicendosi che essi sarebbero stati relativi all’omessa considerazione delle testimonianze che indicavano che i danni si erano verificati per fatto addebitabile alla Ghio.

Le insufficienze dell’esposizione relative alle ragioni dell’appello contro la sentenza di primo grado hanno l’effetto che i due motivi di ricorso pretendono di criticare la sentenza impugnata – come dimostra la promiscuità dei riferimenti ai giudici di entrambi i gradi – senza evidenziare come essa avrebbe errato nel decidere sui motivi di appello, di cui la Corte territoriale era investita, quasi che il giudizio di cassazione sia un giudizio nel quale si sollecita la Corte di Cassazione ad una nuova valutazione sulla vicenda giudicata senza che si evidenzi alla Corte entro quali limiti era stata devoluta al giudice d’appello.

5. In tale quadro, che, lo si ripete, quasi da luogo alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, i motivi risultano inammissibili per inosservanza del requisito di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, atteso che fanno riferimento alla c.t.u. ed – il primo – ad una relazione B., senza riprodurre le parti di tali atti sulla base delle quali si argomenta e senza precisare se e dove tali gli atti stessi stati prodotti in questa sede di legittimità e sarebbero esaminabili.

Viene in rilievo il principio di diritto espresso dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione dev’essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360, n. 3 o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi del primo comma dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. n. 12239 del 2007, seguita da numerose conformi).

6. Peraltro, lo si osserva per completezza, entrambi i motivi presentano anche ulteriori ragioni di inammissibilità.

Il primo motivo risulta, infatti, inammissibile anche perchè la sua illustrazione non si riferisce alla pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., ma semmai ad una violazione dell’art. 115 c.p.c. Al riguardo, si deve ricordare che è stato statuito che poichè l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure che il legislatore prevede per una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi). La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. (Cass. n. 26965 del 2007; in senso conforme: Cass. n. 20112 del 2009).

Il secondo motivo, a sua volta, non contiene alcunchè che corrisponda alla preannunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., perchè contesta l’apprezzamento della c.t.u. fatto dai giudici d’appello e, quindi, vorrebbe articolare un vizio di motivazione 6.

Il ricorso è, conclusivamente, rigettato. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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