Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6532 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21312-2011 proposto da:

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS),

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SCAVONE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 174/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/03/2011 R.G.N.944/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega orale Avvocato TOSI

PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale con assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 174/2011, depositata il 15 marzo 2011, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame di P.A., osservando – con riferimento ai due contratti a termine dallo stesso stipulati con la S.p.A. Poste Italiane, entrambi ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, (per i periodi rispettivamente dal 18/12/2006 al 28/2/2007 e dall’1/4/2008 ai 30/6/2008) – che era privo di rilievo, quanto al primo rapporto, lo svolgimento di mansioni relative non al servizio postale ma all’attività di Banco Posta; che la disciplina, di cui alla norma richiamata, non doveva ritenersi aggiuntiva rispetto a quella dell’art. 1 ma tale da configurare un’ipotesi speciale e tipizzata di apposizione legittima del termine, così da escludere la necessità della specificazione delle ragioni che giustificavano l’assunzione; che, inoltre, la disciplina in questione non contrastava con l’ordinamento comunitario; che risultava applicabile anche all’appellante la norma di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, entrata in vigore tra il primo e il secondo contratto a termine, e ciò in virtù della disposizione transitoria posta dalla L. n. 247 del 2007, art. 43, che l’aveva introdotta.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il P. con quattro motivi; la società ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Il ricorrente censura la sentenza di appello: 1) con il primo motivo, denunciando la violazione ed erronea applicazione di norme di diritto e, in particolare, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, co. 1 bis, in relazione alle clausole n. 7, n. 8 e n. 9 dell’Accordo Quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE, per avere ritenuto conformi ai principi dell’ordinamento comunitario la norma contenuta nella suddetta disposizione e di conseguenza i contratti a termine stipulati dalle parti in riferimento ad essa; 2) con il secondo, denunciando la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in relazione alla clausola n. 5 dell’Accordo Quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE, per avere ritenuto conforme alle previsioni di quest’ultima la stipula di più contratti a termine successivi e senza che la situazione di conflitto tra norme nazionali e comunitarie potesse ritenersi modificata a seguito dell’introduzione (con la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 40) del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis; 3) con il terzo e con il quarto, denunciando rispettivamente la violazione dell’art. 2, comma 1 bis, nonchè del D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1 e 3, e del Decreto 17 aprile 2000, del Ministro delle comunicazioni, e la insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte ritenuto non rilevante accertare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore e distinguere quelle attinenti strettamente al servizio postale dalle altre.

Il ricorso deve essere respinto.

Il primo e il secondo motivo propongono questioni già risolte da questa Corte a Sezioni Unite con la recente sentenza n. 11374/2016, la quale ha stabilito i seguenti principi di diritto: a) “le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 1, comma 1, trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore”; b) “in tema di rapporti di lavoro nel settore delle poste, la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, e successive integrazioni, applicabile ratione temporis, è legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano e, in ispecie, il D.Lgs. n. 368 cit., art. 5, come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto”.

Con riferimento alla non equivalenza delle mansioni svolte nel primo e nel secondo dei successivi rapporti a termine e alle ripercussioni di tale circostanza sulla “tenuta” anti – abusiva della disciplina dì cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, in rapporto alla clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, si osserva trattarsi di questione non proposta, come tale, nei due gradi di merito e nel ricorso per cassazione.

Quanto, poi, alla dedotta (nell’ambito del primo motivo) assenza di prova, da parte di Poste Italiane S.p.A., del rispetto della percentuale del 15% di assunzioni a termine in confronto all’organico aziendale, si deve rilevare come, per tale parte, il motivo in esame sia inammissibile, non risultando nè che il ricorrente, dopo avere allegato il superamento del limite nel proprio atto introduttivo, abbia in seguito contestato nella loro attitudine probatoria i documenti (prospetti) depositati dalla società, nè che la relativa questione sia stata riproposta avanti al giudice di secondo grado.

Anche il terzo e il quarto motivo sollecitano nuovamente la valutazione di tematiche su cui questa Corte si è già pronunciata.

Al riguardo si richiama, in particolare, Cass. n. 13609/2015, per la quale “in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del c.d. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali, percentuali (sull’organico aziendale) e di comunicazione previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”.

Nel rigetto del ricorso principale resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, con il quale Poste Italiane S.p.A. ha dedotto la nullità totale (e non meramente parziale) dei contratti a termine e, in subordine, chiesto l’applicazione della disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in tema di conseguenze economiche per il caso di conversione del contratto a tempo determinato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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