Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6531 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. I, 28/02/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 28/02/2022), n.6531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18842/2020 proposto da:

O.D.D.C.M., S.A., quali genitori del minore

S.G.D., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Machiavelli n. 50, presso lo studio dell’avvocato Di Maggio Antonia,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Stefania

Michelina, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.B., curatore speciale del minore, Procura Generale presso

la Corte di Cassazione, Procura Generale presso la Corte di Appello

di Roma – Sezione Minori, Pubblico Ministero presso il Tribunale per

i Minorenni di Roma, Sindaco di Roma;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2944/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

pubblicata il 18/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2944/2020, depositata in data 18-6-2020 e notificata nella stessa data, la Corte d’appello di Roma, Sezione specializzata per i minorenni, ha confermato la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma n. 241/2019 depositata in data 26.9.2019, con la quale veniva dichiarato lo stato di adottabilità del minore S.G.D., nato a (OMISSIS), e confermato il suo collocamento in casa famiglia in vista di un collocamento a scopo adottivo previa individuazione di idonea coppia, nonché veniva disposto il divieto di ogni contatto con genitori e familiari e confermata la nomina del tutore del minore. La Corte d’appello, dopo aver ricostruito in dettaglio le vicende oggetto di causa e le storie personali dei genitori O.D.D.C.M. e S.A., ha ritenuto la totale inadeguatezza di detti genitori all’accudimento, all’educazione e cura del minore, che veniva, pertanto, dichiarato in condizione di abbandono morale e materiale.

2. Avverso questa sentenza O.D.D.C.M. e S.A. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del curatore speciale del minore, del tutore provvisorio del minore Sindaco di Roma, del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma, del Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Roma nonché del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che sono rimasti intimati. Con nota inviata tramite PCT il 3-6-2021 i ricorrenti hanno depositato avvisi di ricevimento delle notifiche del ricorso e ordinanza di correzione di errore materiale della Corte d’appello di Roma in ordine all’eliminazione del nominativo della parte C.A. nell’intestazione della sentenza impugnata.

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare della L. n. 184 del 1983, artt. 8,10,12, art. 15, comma 2 violazione degli artt. 3,24,11 Cost. – Lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, art. 112 c.p.c.”. Deducono, riproponendo le doglianze espresse con il motivo d’appello, che G. era stato inserito in casa famiglia senza che prima fossero stati ascoltati la madre ed il padre, per decisione dell’assistente sociale poi avallata acriticamente dal Tribunale per i minorenni, che il padre era stato convocato dal suddetto Tribunale solo il 17.5.18, quando già erano stati emessi tre decreti d’urgenza, che i genitori non erano stati ammessi in aula mentre venivano ascoltati altri soggetti e che le relazioni del Servizio Sociale, del tutore e del responsabile della casa famiglia erano state depositate senza previa instaurazione del contraddittorio. Ad avviso dei ricorrenti, i suddetti fatti erano idonei a giustificare una diversa rappresentazione della vicenda e avrebbero potuto determinare un diverso esito del procedimento. Assumono i ricorrenti che siano stati gravemente lesi il loro diritto di difesa e di rituale contraddittorio, dato che ad essi era stata riconosciuta una presenza solo formale nel procedimento. Deducono che su dette doglianze la Corte d’appello non aveva assolto all’obbligo di pronuncia e al conseguente obbligo motivazionale e, quindi, denunciano il vizio di cui all’art. 112 c.p.c..

2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide e intende ribadire, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 29191/2017; Cass. 20718/2018).

Nella specie, la Corte ha implicitamente escluso tale vizio, decidendo nel merito, evidentemente recependo le considerazioni della curatrice speciale del minore circa l’urgenza dei provvedimenti a favore del neonato, sicché non ricorre il vizio di omessa pronuncia.

La censura, oltre che infondata per il profilo di cui si è appena detto, è anche inammissibile perché contraddittoria, atteso che si denuncia sia l’omessa motivazione, sia l’omessa pronuncia, che sono vizi tra loro incompatibili (Cass. 6150/2021).

Anche la deduzione circa la violazione del diritto difesa è del tutto generica e non autosufficiente, poiché nel ricorso non è riprodotto il contenuto delle due note del tutore (in data 24 giugno e 10 luglio 2019), che si assume non sottoposte all’esame delle parti.

Questa Corte ha ripetutamente chiarito che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali e dei “principi regolatori del giusto processo” (art. 111 Cost., comma 1) non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 23638/2016; Cass. 22341/2017; Cass. 26087/2019).

Ciò posto, i ricorrenti non hanno allegato in qual modo la produzione di tali note e le altre dedotte violazioni avrebbero inciso sul proprio diritto di difesa, ossia non hanno specificamente precisato quale vulnus si sia in concreto determinato in dipendenza delle violazioni denunciate, poiché hanno solo genericamente asserito che, tramite una diversa rappresentazione della vicenda, avrebbe potuto determinarsi un diverso esito del procedimento.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto; L. n. 184 del 1983, art. 1 violazione artt. 2,3,111 Cost.; artt. 3, 5, 7, 18, 29 Convenzione di New York 20-11-1989; art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia e omessa motivazione su mancata concessione istanze istruttorie; violazione art. 132 c.p.c., n. 4, omesso esame in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 sia su fatti decisivi oggetto di discussione, sia in relazione all’appello”. Lamentano la nullità della sentenza per difetto di istruttoria, rilevando che la Corte d’appello ha omesso ogni valutazione sulle richieste istruttorie da essi avanzate avanti al Tribunale per i minorenni ed ha valorizzato elementi che, ove fossero state ammesse quelle richieste, avrebbero assunto una diversa valenza probatoria. In particolare, rimarcano di aver chiesto l’autorizzazione alla visita pediatrica del neonato da parte di un loro medico di fiducia ed evidenziano che il tutore non aveva acquisito la cartella clinica relativa al parto, censurano l’affermazione secondo cui la madre avrebbe causato la nascita prematura del bambino per non essersi sottoposta a visite e controlli, in assenza di parere medico-legale e di idonea documentazione medica sul punto, evidenziando di aver saputo dal tutore per la prima volta solo nel (OMISSIS) che il bambino versava in gravi condizioni di salute. Quanto al rifiuto opposto dalla madre di essere collocata in casa famiglia con G. per non esserle stato consentito di avere con sé anche la figlia A., nata da una precedente relazione e collocata presso gli zii paterni, rilevano che quella condizione posta dalla madre non era affatto pretestuosa e che era stata chiesta, senza esito, l’audizione giudiziale di A. e degli affidatari. La minore A., seconda figlia della ricorrente e separata da quest’ultima senza mai ricevere supporto terapeutico e psicologico, era stata sentita solo dal tutore, mentre era indispensabile la sua audizione giudiziale e, ad avviso dei ricorrenti, anche attendere gli accertamenti in corso sull’idoneità genitoriale della O., la cui responsabilità era stata sospesa, nella procedura pendente avanti al Tribunale per i minorenni di Roma in ordine allo stato di adottabilità della suddetta minore.

4. Il motivo è inammissibile sotto vari profili.

4.1. In primo luogo, la doglianza si risolve, ancora una volta, in una denuncia indistinta di vizi tra loro incompatibili, ossia l’omessa pronuncia e l’omessa motivazione sulle richieste istruttorie.

Inoltre, il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, n. 4 cit. codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, ovverosia con riferimento all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito al diritto sostanziale dedotto in giudizio, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 4120/2016; Cass. 24830/2017).

4.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello, implicitamente rigettando le istanze istruttorie formulate in appello, ivi comprese quella di audizione della seconda figlia della ricorrente A. e di C.T.U., ha fornito, con motivazione adeguata, una spiegazione logica ed argomentata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, sicché non è in alcun modo ravvisabile il vizio motivazionale con il quale solo, per quanto appena precisato, si può denunciare l’omissione di pronuncia su istanze istruttorie, non essendo necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass. 2153/2020), spettando al giudice di merito la selezione delle prove (Cass. 27415/2018; Cass. 21187/2019).

Le censure, in definitiva, sotto tale ultimo profilo, tramite l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e motivazionale, si risolvono in un’impropria richiesta di riesame dei fatti, contrapponendo i ricorrenti la propria versione del vissuto, in ordine ad una serie di circostanze ed elementi (a titolo esemplificativo, circa la giustificazione dell'”abbandono” da parte della ricorrente del primo figlio, il suo rapporto problematico con il marito D.C., padre della seconda figlia A., la stabilità effettiva della relazione di seguito da lei intrapresa con il padre di G. e i comportamenti tenuti da quest’ultimo) a quella ricostruita dai giudici di merito.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8, art. 12, comma 1, art. 15 e art. 17, comma 4; artt. 3, 5, 7, 18, 29 Convenzione di New York 20-11-1989 resa esecutiva con L. n. 357 del 1974; degli artt. 29 e 20 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “. Deducono l’assenza dello stato di abbandono, rilevando che non è sufficiente a tal fine l’inadeguatezza dell’assistenza o degli atteggiamenti psicologici ed educativi dei genitori nei riguardi del figlio e che non era stata provata l’irrecuperabilità delle loro capacità genitoriali. Ad avviso dei ricorrenti, l’unico progetto genitoriale proposto dai Servizi Sociali era stato quello della collocazione nella casa famiglia o in gruppi appartamenti, ma non era stato prestato un reale ed effettivo sostegno alla coppia. Inoltre la descrizione delle figure genitoriali non era contestualizzata ed era frutto di errata ed ambigua ricostruzione dei fatti e di pregiudizi. Riguardo la figura materna, rimarcano l’errato e fuorviante richiamo al non dimostrato abbandono della figlia A. ed alla circostanza che la ricorrente aveva avuto tre figli da tre uomini diversi, il mancato ascolto di A. di fronte alla richiesta della madre di entrare in casa famiglia e nel gruppo appartamento anche con lei, la mancata considerazione del fatto che l’inserimento in tali strutture da parte della madre avrebbe significato per lei la perdita del lavoro. Evidenziano che la O. aveva sempre lavorato per provvedere a mantenere anche il suo compagno D.C., a causa di situazioni materiali di grave difficoltà in cui costantemente si era trovata, e ciò nonostante si era dichiarata disponibile ad entrare in una casa famiglia, purché anche con la figlia A.. Deducono che la ricorrente dal 2018 ha una stabile attività lavorativa, un’idonea abitazione, ha svolto per tre volte accertamenti presso il SERD dimostrando di non essere dedita né all’alcool, né a droghe, e tutti questi elementi erano stati elusi dalla Corte di merito. Riguardo la figura del padre, lo stesso si era recato ogni giorno a trovare il figlio in ospedale assieme alla madre che lo aveva allattato, aveva frequentato un corso di italiano dopo la nascita del figlio, non parla l’italiano e la mancata nomina di un interprete e mediatore culturale aveva gravemente violato il suo diritto di difesa, non avendo neppure potuto usufruire di adeguato percorso di sostegno alla genitorialità. Ad avviso dei ricorrenti, i fatti posti a base della decisione difettano di concretezza e la condizione sociale e culturale dei genitori, e soprattutto del padre, era stata causa di grave pregiudizio e di incomprensioni, essendo carente anche l’accertamento peritale effettuato. Richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui va affermato il diritto del fanciullo di essere allevato dai propri genitori, e la separazione da essi può disporsi solo ove sia necessaria nell’interesse preminente del fanciullo, oltre che in forza del diritto al rispetto della vita privata e familiare, potendo, così, intervenire la declaratoria di adattabilità solo in casi eccezionali e previa rigorosa verifica dei presupposti dell’abbandono.

6. Il motivo è inammissibile.

6.1. Anche detta doglianza si traduce in una palese richiesta di riesame del merito, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (tra le tante Cass. Sez. U. 34476/2019; Cass.5987/2021).

I ricorrenti, infatti, si limitano, ancora una volta e sostanzialmente, a confutare la ricostruzione effettuata in dettaglio dalla Corte di merito, anche in relazione alla storia personale dei genitori.

In particolare la madre, secondo quanto accertato dalla Corte d’appello, non vedeva da dieci anni il primo figlio, lasciato a (OMISSIS) quando era venuta in Italia con il padre della seconda figlia A., pure, di seguito, allontanata dalla madre e posta in affidamento intrafamigliare presso gli zii paterni, aveva palesato fin dalla gravidanza, essendo G. risultato affetto da gravi problemi di salute alla nascita avvenuta prematuramente, comportamenti di nessuna cautela nei confronti del nascituro, e di seguito rifiutava l’inserimento in casa famiglia con il piccolo, sottraendosi al necessario percorso di osservazione della relazione genitoriale in ambiente protetto, peraltro adducendo a cagione del rifiuto la volontà di tenere con sé presso la casa famiglia anche A., disinteressandosi del “benessere raggiunto dalla figlia presso gli zii” (pag.10 sentenza). Inoltre i ricorrenti richiamano fatti non menzionati nella sentenza impugnata, che, in tesi, potrebbero anche avere rilevanza (cfr. pag. 21 ricorso – si allega che la madre dal 2018 ha una stabile e regolarizzata attività lavorativa e un’idonea abitazione, nonché ha svolto per tre volte accertamenti presso il SERD dimostrando di non essere dedita né all’alcool, né a droghe), ma non indicano da quali documenti risultino tali circostanze, né come, quando e dove siano stati dedotti nei giudizi di merito, difettando così la censura, sotto tale profilo, anche di autosufficienza (Cass. 27568/2017; Cass. 16347/2018). Le medesime considerazioni di inammissibilità per impropria richiesta di rivalutazione del merito valgono in ordine alle argomentazioni svolte in ricorso circa la figura del padre, con riferimento alla valutazione delle sue relazioni con il figlio e con la ricorrente, ritenute fragili e discontinue dalla Corte d’appello, e della sua adeguatezza genitoriale. E’ generica e carente di autosufficienza la deduzione sulla sua mancata conoscenza della lingua italiana, pure non menzionata nella sentenza, ed invero contraddittoria rispetto alla contestuale affermazione, pure contenuta in ricorso, secondo cui il padre, dopo la nascita del figlio, aveva frequentato un corso di italiano.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva delle altre parti.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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