Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6530 del 14/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2017, (ud. 16/11/2016, dep.14/03/2017),  n. 6530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5037-2015 proposto da:

N.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VICOLO MONTE GALLO 33, presso l’abitazione della sig.ra

CLARISSA GANCI, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO

GANCI, ROSALIA GANCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AMAT PALERMO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TIMAVO 3, presso lo studio dell’avvocato MAURO LIVI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MIMI’ ALBERTO MUSUMECI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2463/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/12/2014 R.G.N. 1496/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato LIVI MAURO per delega Avvocato MUSUMECI MIMI’

ALBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 17/12/2014 la Corte d’appello di Palermo rigettò il reclamo L. 28 giugno 2012, n. 91, ex art. 1, comma 58 proposto da N.C. avverso la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto la domanda di impugnativa del licenziamento ex R.D. n. 148 del 1931 avanzata dal predetto nei confronti di Amat Palermo s.p.a. Il licenziamento era stato intimato perchè il lavoratore era stato condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. con sentenza passata in giudicato.

2. La Corte territoriale disattese la doglianza secondo la quale non troverebbe applicazione nella fattispecie il R.D. n. 148 del 1931 in luogo della disciplina ordinaria dettata dall’art. 2106 c.c., con conseguente inidoneità del comportamento penalmente sanzionato, esulante dalle modalità di espletamento della prestazione lavorativa e non integrante trasgressione degli obblighi di cui alla contrattazione collettiva di settore, a integrare giusta causa di licenziamento. Ritenne in proposito che permanesse anche dopo l’introduzione dell’art. 2106 c.c. e della L. n. 300 del 1970 la piena vigenza operativa della disciplina di cui al R.D. n. 148 del 1931 per la regolamentazione del rapporto di lavoro dei ferrotranvieri. Rilevò che il comportamento di rilievo penale del N., sia pure esulante dalla sfera strettamente lavorativa, era idoneo a configurare giusta causa di licenziamento e a legittimare la sanzione anche sotto il profilo della proporzionalità delle condotte. Quanto alle garanzie procedurali di preventiva audizione, ricondotte all’ipotesi di cui all’art. 53 citato R.D., rilevò che l’agente aveva due momenti per formulare le proprie giustificazioni: in risposta alla prima contestazione redatta dai funzionari incaricati del servizio disciplinare e ai momento della comunicazione del provvedimenti di opinamento. Osservò che nella specie il N., rispondendo per iscritto alla lettera di contestazione del 14 maggio 2013, si era riservato di essere sentito al momento della scarcerazione, formulando una richiesta di personale audizione meramente eventuale e ipotetica; che la successiva risposta del 15 ottobre 2013, in replica alla lettera di destituzione dal servizio, redatta e sottoscritta solo dai difensore, era irrilevante per evidente ambiguità contenutistica, anche in ragione dell’astratta deduzione di imprecisate difficoltà del lavoratore a potersi difendere a causa del suo stato di detenzione.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il N. sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso Amat Palermo s.p.a. All’esito di rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull’ordinanza di rimessione n. 3825/2015 la causa è chiamata all’odierna udienza per la decisione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2106 c.c. letto in combinato disposto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 11 nel testo vigente anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009 e con l’art. 3 Cost. e 18 Statuto lavoratori. Rileva che la sentenza è erronea nella parte in cui ritiene automaticamente applicabile il R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 in virtù dell’asserita permanente specialità del rapporto degli autoferrotranvieri. Osserva che il datore di lavoro aveva errato ad avviare un procedimento disciplinare sfociato nella grave sanzione del licenziamento, posto che il comportamento penalmente rilevante non era avvenuto in azienda, nè aveva in alcun modo inciso sulle modalità di svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro. Evidenzia che la condotta non integrava neppure la trasgressione degli obblighi di cui al contratto collettivo nazionale di categoria o di quelli imposti da una normativa interna aziendale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità sentenza n. 2463/2014 resa dalla Corte di Appello di Palermo sezione lavoro per violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione e contraddittorio tra le parti: interpretazione costituzionalmente orientata del R.D. n. 148 del 1931. Rileva che erroneamente era stata confermata la decisione assunta dal giudice di prime cure, omettendo di argomentare su un punto decisivo della controversia, poichè sin dal ricorso introitato in via d’urgenza era stato ampiamente esposto che nell’ipotesi in cui si ritenesse applicabile il R.D. n. 148 del 1931 ciò non avrebbe dovuto precludere un’interpretazione della normativa speciale avulsa dai dettami costituzionali.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in ordine all’asserita lesione del vincolo fiduciario. Licenziamento destituzione non sorretto da giusta causa. Rileva che la Corte d’appello ha errato nel reputare legittimo il licenziamento per presunta irreversibile lesione del vincolo fiduciario. Osserva che, non involgendo le fattispecie criminali poste in essere dal ricorrente la sfera lavorativa, nè essendosi mai avvalso costui della propria posizione lavorativa per fatti riconducibili al capo d’imputazione, non erano ravvisabili condotte lesive del rapporto fiduciario.

4. I motivi testè esposti possono essere trattati unitariamente in ragione dell’intima connessione. Essi presuppongono la soluzione della questione attinente alla perdurante vigenza nell’ordinamento della disciplina speciale prevista con riferimento al rapporto dei ferrotranvieri dal R.D. n. 148 del 1931. La Sezione Lavoro – con ordinanza interlocutoria n. 13825 del 2015 ha promosso la devoluzione del ricorso alle Sezioni Unite, evidenziando la sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza apicale, divisa tra l’indirizzo per cui il R.D. n. 148 del 1931 all. A è considerato fonte primaria della disciplina del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, in quanto regolamento legificato, con carattere di “specialità, sia pure residuale”, modificabile solo mediante specifici interventi del legislatore; l’indirizzo per il quale la normativa speciale è stata implicitamente abrogata per incompatibilità, sin dall’operatività della disposizione di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68; l’indirizzo di legittimità che sostiene la necessità di un’etero integrazione della disciplina del regio decreto, attraverso disposizioni di carattere “universale”, valide per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze, sia di privati, sia di pubbliche amministrazioni. Le Sezioni Unite, le quali con sentenza n. 15540 del 27/07/2016, Rv. 640793 – 01, hanno affermato la perdurante disciplina dell’esonero dal servizio connesso a cessione di linee secondo la previsione dell’art. 26 del regolamento, allegato A al R.D. n. 148 del 1931, si sono attenute all’indirizzo in forza del quale non può ritenersi intervenuta l’abrogazione del Regio Decreto, ferma restando la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti in ipotesi in cui la specifica regolamentazione risulti incompatibile con l’assetto generale, derivante soprattutto dall’immanenza nel nostro sistema giuridico di principi fondamentali anche di livello comunitario.

5. Nella specie non sussiste ragione alcuna perchè debba ritenersi abrogata la speciale disciplina prevista dal R.D. in materia di licenziamento disciplinare, rispetto al quale non è ravvisabile alcuna violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento, anche comunitario. La violazione del vincolo fiduciario, infatti, è stata preventivamente valutata dal legislatore in relazione all’ipotesi di reato contestata, nè, peraltro, la stessa può essere disconosciuta anche secondo i canoni previsti dalla legge generale, in ragione della gravità insita nell’ipotesi di reato, significativa di una personalità estremamente negativa dell’autore anche nell’ambito lavorativo. Ne consegue il rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso, poichè il licenziamento risulta congruamente disposto in ottemperanza della disciplina legale speciale, in relazione alla quale assume rilevanza la condanna subita dal ricorrente per il grave reato associativo.

6. In ordine, poi, al secondo motivo di doglianza, lo stesso è privo di pregio ove si consideri che la compatibilità della disciplina speciale con i principi costituzionali è stata presa in considerazione dalla Corte territoriale, la quale ha fatto riferimento in proposito alle pronunce della Corte Costituzionale n. 301/2004 e 439/2002, affermative della permanente specialità, sia pure residuale, del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, ritenendo non censurabile sul piano costituzionale la discrezionalità esercitata dal legislatore nel peculiare ambito. Il giudice delle leggi in tali occasioni ha ribadito il principio in forza del quale il trattamento differenziato non può essere ritenuto di per sè incompatibile con il principio costituzionale di eguaglianza laddove non irragionevole, stante la peculiarità della situazione fattuale e del servizio regolato, poichè rientra in ogni caso nella discrezionalità del legislatore la scelta di strumenti giuridici diversificati in ragione di condizioni particolari (cfr., tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 3508 del 13/02/2008, Rv. 601507 – 01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 28528 del 01/12/2008, Rv. 605734 – 01).

7. Con il quarto motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza n. 2463/2014 resa dalla Corte d’appello di Palermo per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3. Licenziamento destituzione irrogata in carenza dei requisiti sostanziali e procedimentali ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 2106 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 7. Erronea applicazione dell’allegato A) del R.D. n. 148 del 1931 e comunque in violazione del procedimento di cui all’art. 53 del regolamento allegato A) al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148. Rileva che la Corte territoriale ha mal applicato la normativa in relazione all’iter procedurale finalizzato all’irrogazione della sanzione disciplinare, da individuare nella disciplina dello Statuto dei lavoratori, art. 7, dovendosi ritenere superato il sistema sanzionatorio previsto dal R.D. n. 148 del 1931. Sottolinea la violazione del diritto di difesa. Osserva che sia in occasione dell’addebito disciplinare, sia in occasione dell’opinamento relativo alla destituzione era stata concessa la facoltà di addurre valide giustificazioni, ma in entrambi i casi il ricorrente aveva chiesto una temporanea sospensione per consentire la sua audizione personale, in concreto non espletata.

7.2. Anche l’esposta censura è priva di fondamento. Va premesso in proposito che deve ritenersi vigente, per le ragioni esposte sub 5, ia disciplina speciale che connota il rapporto dei ferrotranvieri per quanto attiene a tutto il regime speciale relativo ai licenziamenti, e, quindi, anche per ciò che riguarda il dispiegarsi del procedimento disciplinare. Va rilevato, inoltre, che la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali non si è proceduto all’ascolto del sanzionato. La stessa Corte, infatti, ha ritenuto la formulazione in termini meramente eventuali ed ipotetici della richiesta di personale audizione seguente alla lettera di contestazione, nonchè della evidente ambiguità contenutistica della seconda istanza, correlata alla deduzione di imprecisate difficoltà a difendersi connesse allo stato di detenzione, così qualificando come “pleonastica” e “sfuggente” l’audizione personale del dipendente.

8. Con la quinta censura il ricorrente deduce nullità della sentenza n. 2463/2014 resa dalla Corte d’appello di Palermo per violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: destituzione in contrasto con la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost., comma 3. Rileva il ricorrente che tra le questioni devolute alla Corte d’appello era posta quella dell’inconciliabilità tra la destituzione e la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost., comma 3 e che il suddetto punto non aveva avuto trattazione da parte del giudicante, nè in primo nè in secondo grado, con conseguente nullità della sentenza.

8.2 La censura è infondata. Va premesso che nella formulazione vigente ratione temporis, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato ex L. n. 134 del 2012, consente la denuncia di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In proposito, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Gli indicati parametri non risultano rispettati nella specie, posto che la doglianza concerne non già l’omesso esame di un fatto storico, ma l’omessa considerazione di una circostanza giuridica (funzione rieducativa della pena) della quale, tra l’altro, il ricorrente non indica la decisività, trattandosi di argomentazione mutuata dall’ordinamento penale ed estranea del tutto alle considerazioni che investono il regime del rapporto di lavoro e delle sanzioni ad esso correlate.

9. Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Rileva che per le ragioni esposte la società doveva ritenersi soccombente e quindi tenuta all’onere delle spese.

9.2. Il motivo è palesemente privo di fondamento, in ragione della totale soccombenza del N., ancor più evidente all’esito dell’esame del ricorso.

10. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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