Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 653 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 15/01/2020), n.653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33614/2018 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba

Tortolini, 30, presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi e

rappresentato e difeso dall’avvocato Nazzarena Tortella, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma Via dei Portoghesi, 12 presso gli uffici

dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1074/2018 della Corte di appello di Bologna

pubblicata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.E., cittadino della (OMISSIS), proveniente dal Delta State, ricorre in cassazione con tre motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte di appello di Bologna rigettava l’impugnazione dal primo proposta avverso l’ordinanza del locale Tribunale che, adito ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, aveva disatteso le domande dal primo proposte di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al dichiarato fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente – che nel racconto reso ha dichiarato di aver lasciato il proprio paese, la Nigeria, Regione del Delta State, per timore di essere ucciso dallo zio che, esponente del partito PDP, volendo impadronirsi della eredità del padre del richiedente ne minacciava i componenti della famiglia sino a porre in essere un’aggressione in esito alla quale rimaneva uccisa la madre dell’istante – deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 5, 6, art. 14, lett. b) e omesso esame di fatti decisivi.

La Corte di appello a fronte del formulato giudizio di non credibilità non avrebbe tenuto conto delle varie fonti di informazione allegate dal ricorrente e tanto in violazione delle norme sulla cooperazione istruttoria e del sistema di attenuazione dell’onere di prova da valere per il dichiarante.

1.1. I giudici di appello avrebbero omesso, segnatamente, di considerare la posizione di cui lo zio dell’istante godeva nell’area del Delta del Niger, in cui il partito PDP è maggioritario ed esercita il suo potere con violenza e corruzione, e di chiedere ulteriori spiegazioni al ricorrente, ignorando la richiesta istruttoria sul punto svolta.

1.2. Il ricorrente aveva inoltre contraddetto al rilievo del giudice di primo grado in ordine al mancato ricorso alle Autorità di polizia, segnalando che la madre si era lamentata della condotta del parente con gli anziani del villaggio che le avevano dichiarato la propria incapacità a contrapporsi al primo, perchè troppo potente.

1.3. Quanto poi al giudizio espresso circa la lacunosità del racconto, la Corte felsinea non avrebbe tenuto conto che la confusione nei ricordi sarebbe stata determinata dal trauma sofferto dal richiedente in esito agli eventi vissuti.

1.4. Il motivo è infondato.

La Corte di appello di Bologna, condividendo gli esiti della decisione appellata, ha ritenuto il carattere non credibile del racconto del richiedente, lacunoso e contraddittorio con riguardo ai rapporti con lo zio, la richiesta di tutela alla pubblica autorità e i particolari della fuga, per un giudizio non censurabile in sede di legittimità.

In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 27/06/2018).

Resta fermo inoltre il principio per il quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Le deduzioni difensive ove non ammissibili in quanto integrative di denunciate violazioni di legge, propongono in ogni caso alternative letture del fatto non consentite nel giudizio di legittimità.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 5, 6, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e art. 27, comma 1-bis. La Corte di merito avrebbe mancato di valutare le fonti sullo stato di violenza indiscriminata esistente nel Paese di origine ed erroneamente ne avrebbe affermato l’inesistenza quanto al Delta State.

In particolare i giudici di merito avrebbero evidenziato che sulla base delle fonti internazionali le violenze di (OMISSIS) e gli scontri con le forze governative sono circoscritte al nord-est del paese, mentre con riferimento alla zona di provenienza del richiedente non era ravvisabile una situazione di violenza generalizzata e gli attacchi di gruppi ribelli riguardavano unicamente le infrastrutture petrolifere, cui non risulta interessato il richiedente.

2.1. Il motivo è infondato.

A fronte di tale accertamento, le circostanze indicate dal ricorrente, non colgono la ratio della pronuncia impugnata facendo esse riferimento alle violenze poste in essere nella diversa zona del nord-est del Paese.

Quanto alla regione del Delta del Niger non vengono dedotte situazioni di violenza idonee ad integrare il presupposto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2.2. Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), com’è noto, la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C-285/12 – Diakitè) dev’essere infatti interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (in termini: Cass. n. 13858 del 31.5.2018; Cass. n. 25126/2019).

3. Con il terzo motivo si fa valere vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 5, comma 6, T.U. immigrazione.

La Corte di merito non avrebbe valutato la condizione di vulnerabilità personale del richiedente come attestata dalla psicoterapeuta della cooperativa ospitante, integrando la fragilità psichica una lesione del diritto alla salute ex art. 32 Cost., in assenza di legami familiari.

La Corte territoriale aveva ritenuto il trattamento farmacologico non indispensabile perchè non prescritto e, quindi, la forte fragilità dedotta dall’istante non integrativa della grave malattia o del disturbo mentale.

3.1. Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha escluso l’esistenza di una patologia psichiatrica integrativa della condizione di vulnerabilità per lesione del diritto alla salute ex art. 32 Cost., evidenziando che una terapia farmacologica non è stata ritenuta indispensabile dal sanitario della struttura di accoglienza ed in siffatto ambito non intrapresa su “desiderio del paziente”, evidenzia che coglie le caratteristiche della patologia ed il concorso della scelta del richiedente nell’orientarne la cura e gli esiti.

3.2. Si tratta di evidenza rispetto alla quale a censura proposta resta generica.

4. Il ricorso, in via conclusiva infondato, va rigettato.

Nulla sulla spese nella tardiva costituzione dell’Amministrazione intimata che ha altresì formulato richieste inconferenti e prive di ogni scrutinabile contenuto.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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