Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6529 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. I, 28/02/2022, (ud. 07/07/2021, dep. 28/02/2022), n.6529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16351/2017 proposto da:

D.P.B., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Costantino Morin n. 45, presso lo studio dell’avvocato Arditi Di

Castelvetere Cristiana, che la rappresenta e difende, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tuscolana n.

851, presso lo studio dell’avvocato Perrella Festa Angelo, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2714/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2714/2017 depositata il 26-4-2017 e notificata il 3-5-2017 la Corte d’appello di Roma, per quanto ancora di interesse, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 6860/2015, ha rigettato la domanda di assegno divorzile avanzata da D.P.B., compensando le spese del primo grado e condannando la D.P. alla rifusione in favore dell’ex coniuge S.G. delle spese del grado d’appello. La Corte d’appello ha rilevato che: (i) l’ex moglie svolgeva la professione di medico dentista, aveva dedotto di avere ripreso il lavoro dopo la separazione effettuando sostituzioni in altri studi professionali con modesti compensi, ma non aveva prodotto documentazione bancaria e fiscale aggiornata e neppure la dichiarazione sostitutiva di atto notorio richiesta dalla stessa Corte con Decreto Presidenziale 26 giugno 2015; (li) la D.P., proprietaria della casa coniugale ove viveva con le figlie, del cui mantenimento era onerato solo il padre, era certamente dotata di specifica capacità lavorativa professionale, non aveva documentato la propria situazione reddituale e patrimoniale aggiornata e neppure aveva preso posizione circa la documentazione prodotta dal S., che la difesa della D.P. aveva esaminato e ritenuto irrilevante, comprovante una prescrizione medica a firma della stessa D.P. per conto del presidio ospedaliero (OMISSIS); (iii) la D.P., onerata di dimostrare l’inadeguatezza dei suoi redditi ai fini della conservazione del tenore di vita analogo a quello della convivenza matrimoniale, non aveva assolto al suddetto onere e pertanto non poteva esserle riconosciuto l’assegno divorzile.

2. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D.P.B., affidato a tre motivi, nei confronti di S.G., che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e l’omessa statuizione su fatti decisivi, per avere la Corte di merito valutato la mancata produzione da parte della ricorrente della documentazione reddituale aggiornata senza considerare l’analoga situazione del S., atteso che anche le dichiarazioni dei redditi dell’ex marito risalivano al 2014, e senza effettuare accertamenti ufficiosi tramite indagini della Guardia di Finanza sulla posizione economico-patrimoniale dell’ex marito, risparmiatore e investitore facoltoso sin dal dicembre 2015, rimarcando la ricorrente di avere adempiuto all’onere della prova sulla stessa incombente mediante l’istanza di accertamento patrimoniale e ribadendo di essersi totalmente dedicata alla cura delle figlie e di avere svolto solo saltuarie sostituzioni di colleghi, con compensi non adeguati; (ii) con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46 e art. 115 c.p.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di merito assunto la decisione valutando una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, prodotta dal S., valevole solo nella fase presidenziale, senza compiere indagini patrimoniali, pur in presenza di elementi che, con riguardo al patrimonio dell’ex marito, inducevano a ritenerne la necessità, considerato che egli aveva “svuotato” il proprio conto corrente, ed inoltre dovendosi negare efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prodotto dall’ex coniuge;(iii) con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere il giudice dell’appello compensato le spese di primo grado, condannando la ricorrente al pagamento di quelle dell’appello, nonostante la soccombenza fosse solo parziale in ragione della cessazione della materia del contendere in ordine all’affidamento della figlia B., divenuta maggiorenne nelle more.

2. In via pregiudiziale, deve essere disattesa in quanto manifestamente infondata l’eccezione, sollevata dalla ricorrente nella memoria illustrativa, di difetto di jus postulandi del difensore del controricorrente per invalidità della procura speciale, che nella specie è apposta in calce al controricorso, peraltro con richiamo, seppur generico, al giudizio di cassazione, posto che in tal caso il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente tra la relazione fisica tra la delega, anche qualora genericamente formulata, e il ricorso (cfr. Cass. 24670/2019). Sempre in via pregiudiziale, parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del controricorso, che presenta i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., risultando sufficientemente assolti gli oneri di esposizione, allegazione ed indicazione richiesti dalla citata norma.

3. I motivi primo e secondo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

3.1. Sono inammissibili, in particolare, la censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, che non corrisponde al paradigma, applicabile ratione temporis, del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, e quella inerente la violazione dell’art. 115 c.p.c., così come formulata in ricorso. A tale ultimo riguardo, secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide e intende ribadire, per dedurre la violazione del citato art. 115 in sede di legittimità occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (tra le tante Cass. Sez. U. 20867/2020; Cass. 2676/2018). Nella specie il motivo e’, nella sostanza, diretto ad una rivisitazione del merito, mediante la contestazione del maggior valore probatorio attribuito dalla Corte d’appello a determinate emergenze istruttorie. La doglianza in ordine all’autocertificazione dell’ex marito, inoltre, non coglie la ratio decidendi della decisione di appello, che non si fonda affatto su di essa, bensì sul mancato adempimento da parte dell’attuale ricorrente dell’onere di produrre la documentazione (soprattutto fiscale) a sostegno della pretesa di riconoscimento dell’assegno divorzile.

3.2. E’ infondata la doglianza concernente l’onere probatorio, che indubitabilmente è a carico della richiedente l’assegno divorzile (Cass. S. U. 18287/2018). La Corte territoriale ha chiaramente affermato che, a fronte della produzione da parte dell’ex marito dell’autocertificazione e delle dichiarazioni di redditi, l’appellata, odierna ricorrente, non solo non aveva prodotto alcunché, ma – a fronte della produzione, da parte dell’ex marito, di un certificato medico da lei rilasciato intestato ad una ASL e ad un ospedale – la medesima “ha omesso ogni spiegazione e neppure ha preso posizione” (pag. 5 sentenza impugnata).

In altri termini, la Corte di merito ha rilevato che non era stata dimostrata la consistenza aggiornata del reddito dell’ex moglie, medico dentista, che, pur essendone onerata, non aveva fornito alcun elemento probatorio al riguardo, neppure con atto notorio. La ricorrente si limita a sostenere, sul punto, di avere sessanta anni e di ricavare compensi modesti, non meglio precisati, dalla propria attività professionale, incentrando le difese sulla posizione economica dell’ex marito, ingegnere libero professionista, mediante argomentazioni non conducenti, atteso che l’assenza di dimostrazione circa la sua condizione economico-reddituale neppure ha consentito ai giudici di merito di valutare la dedotta sproporzione economico-reddituale tra gli ex coniugi, mancando uno dei due termini di raffronto.

Infine, non risulta in alcun modo che la ricorrente abbia allegato e provato, nel giudizio di appello, il contributo che assume di avere dato alla formazione del patrimonio familiare, e in relazione a tale profilo il ricorso difetta di autosufficienza.

4. Il terzo motivo è infondato.

4.1. Per quanto concerne le spese di primo grado, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (Cass. 27606/2019).

Nella specie, la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, in punto assegno divorzile, e pertanto correttamente ha statuito in ordine alla regolazione delle spese di quel giudizio.

4.2. Quanto alle spese del giudizio d’appello, la cessazione della materia del contendere sull’affidamento della figlia minore, divenuta nelle more maggiorenne, è dipesa da un fatto neutro, ossia il trascorrere del tempo, e non può, quindi, avere incidenza, di per sé sola e nel senso prospettato in ricorso, sul giudizio in ordine alla soccombenza della odierna ricorrente, che è stata ritenuta integrale in appello, in base al principio di causalità applicato dai giudici di merito con valutazione discrezionale, avuto riguardo all’esito globale del processo (Cass. 3438/2016; Cass. 12005/2017).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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