Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6522 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. III, 09/03/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 09/03/2021), n.6522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34904/2019 proposto da:

L.Y., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Francesco Di Pietro;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2909/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato ad un solo motivo, L.Y., cittadina (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Roma, resa pubblica il 6 maggio 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto della richiedente (essere fuggita dal Paese di origine a causa della persecuzione religiosa posta in essere in Cina nei confronti dei seguaci della chiesa domestica “Chiesa di Dio Onnipotente”, alla quale apparteneva) era inattendibile e inverosimile, poichè: era espatriata con visto e superando i controlli di frontiera, sebbene asseritamente perseguitata, arrestata e torturata dalla polizia; era stata scarcerata non per aver corrotto le autorità, ma a seguito di cauzione pagata dal marito; aveva lasciato in Cina il marito, i genitori e il fratello; delle torture non vi era alcun riscontro oggettivo (come ad es. ferite o referti medici); era contraddittorio il racconto circa il primo intervento della polizia, avendo la stessa richiedente fornito due versioni tra loro incompatibili; b) l’inattendibilità della narrazione non consentiva di ravvisare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per aver la Corte territoriale, nel ritenere inattendibile la narrazione di essa richiedente ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, male applicato detta norma, difettando una valutazione unitaria delle condizioni soggettive di credibilità e tenuto conto dei riscontri oggettivi.

2. – Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della richiesta protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, in forza di un prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6897/2020, cfr. anche Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019), ossia di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014).

La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente (che è stata esclusa a partire dalla stessa sua appartenenza alla chiesa domestica cinese c.d. “Chiesa di Dio Onnipotente”), si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione – con delibazione non già atomistica, ma complessiva – tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa dal giudice di secondo grado) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che, come detto, è quaestio facti, censurata (in modo inammissibile) alla luce del paradigma di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in guisa di vizio motivazionale e non di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti.

3. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

 

 

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