Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6520 del 14/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 14/03/2017, (ud. 24/02/2017, dep.14/03/2017),  n. 6520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4638/2016 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati OTTORINO

BRESSANINI, NUCCIA FIGATTI;

– ricorrente –

contro

G.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALESSANDRA CAPUANO BRANCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 320/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO

GENOVESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Trento, con la sentenza n. 320 del 2015 (depositata il 14 ottobre 2015), in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla signora G.M.G. ha riformato la sentenza del Tribunale di quella stessa città che, in ragione della cessazione degli effetti civili del matrimonio con il signor P.L., aveva fissato in Euro 967,23 mensili l’assegno che avrebbe dovuto versare mensilmente l’ex coniuge, portando tale importo alla misura di Euro 2.000,00 mensili e compensando le spese dei due gradi del giudizio.

Il ricorrente impugna la pronuncia con due mezzi, assumendo che gli elementi diversamente valutati dal primo giudice non giustificherebbero la variazione nella determinazione complessiva dell’assegno di mantenimento, passato ad una somma quasi doppia rispetto a quella determinata dal primo giudice, con violazione dell’art. 329 c.p.c. e L. n. 898 del 1970, art. 5 e omissioni motivazionali.

Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella proposta notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni critiche che, tuttavia, non sono tali da portare ad un ripensamento delle formulate conclusioni.

Le doglianze contenute nel ricorso per cassazione, infatti, a parte i rilevanti profili di difetto dell’autosufficienza dei due mezzi, sono inammissibili perchè, sotto le apparenti spoglie della violazione dei menzionati dispositivi di legge, sollecita a questa Corte un sostanziale riesame delle risultanze processuali ed una diversa valutazione delle prove compiuta dal giudice di secondo grado, sia pure con diverse valutazioni ed apprezzamenti dati dal primo giudice.

Il giudizio della corte distrettuale appare immune da vizi logici e giuridici: infatti, l’apprezzamento degli elementi individuati, raccolti e valutati dal giudice di merito, ove anche non sia stata invocata come una censura motivazionale (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), facendo comunque valere presunti vizi di violazione di legge, nella sostanza si infrange sull’interpretazione chiarita dalle SU civili nella Sentenza n. 8053 del 2014 (la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.).

Alla reiezione del ricorso, conseguono le spese processuali, in favore della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, e l’accertamento dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, trattandosi di controversia in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio che non coinvolge il mantenimento della prole.

PQM

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 98 del 2003, art. 2, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 1, della Corte di Cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 24 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017

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