Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6518 del 22/03/2011

Cassazione civile sez. III, 22/03/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 22/03/2011), n.6518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 355-2009 proposto da:

B.A. (OMISSIS), T.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 183, presso lo studio dell’avvocato LA PISCOPIA BENIAMINO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GUALANO PIERO PAOLO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BU.MA. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FIERA DI PRIMIERO 20, presso lo studio dell’avvocato ZAPPALA’

FRANCESCO MARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato RUSSO MATTEO

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 671/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI –

SECONDA SEZIONE CIVILE, emessa il 22/6/2007, depositata il

27/06/2008, R.G.N. 1347/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA (per delega dell’Avv. PIERO

PAOLO GUALANO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucera rigettava l’opposizione proposta da B. A. e T.M. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti su richiesta dall’avvocato Bu.Ma..

A sostegno del decreto ingiuntivo, emesso in data 11-9-97, veniva posto un vaglia cambiario sottoscritto da B.A., T. M. e B.S., nelle more deceduto, dell’importo di L. 127.700.000 datato 20-8-92, con scadenza 31-8-92, in favore dell’avvocato B., oltre che un atto di ricognizione del debito datato 1-9-92 del medesimo importo, ma con applicazione di interessi convenzionali al 1.70% mensili capitalizzabili semestralmente. Il Tribunale rigettava la domanda rilevando la natura di ricognizione di debito dei titoli posti a fondamento della domanda , nonchè l’inversione dell’onere della prova che tale natura comportava,e che nessuna delle eccezioni formulate dagli opponenti era stata provata.

Avverso detta sentenza proponevano appello B.A. e T.M. deducendo violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto la decisione del giudice era intervenuta quando il titolo cambiario era stato sottratto dal fascicolo di ufficio, non consentendo ad essi opponenti di argomentare adeguatamente in fatto e diritto, di coltivare l’eccezione di manomissione del titolo, di difendersi adeguatamente in sede di comparizione personale. Di conseguenza il giudice aveva deciso in assenza di prove. Deducevano che essi non avevano inteso contestare il contenuto letterale del titolo, bensì il raggiro subito dagli eredi B. tale da non giustificare lo spostamento patrimoniale in favore dell’apparante creditore. Con sentenza depositata il 22-6-08 la Corte di Appello di Bari così provvedeva: 1) Rigetta il primo profilo, dichiara infondato nel merito o inammissibile in rito il secondo profilo, per le ragioni partitamene indicate in motivazione, in relazione ai molteplici rilievi proposti con il detto secondo motivo, con spese alla soccombenza.

Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione B. A. e T.M. sorretto da tre motivi.

Resisteva con controricorso l’avv.to Bu.Ma. che presentava anche memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione delle norme di cui all’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p. come modificati dalla L. n. 108 del 1996 in relazione agli artt. 1283 e 1284 c.c..

Secondo i ricorrenti applicando al periodo 6/10/92 – 18/12/08 gli interessi convenzionali ingiunti e la prevista capitalizzazione semestrale, l’originaria somma di L. 127.700.000 ora Euro 65.951.55) si sarebbe tradotta nella impressionante cifra di L. 2.974.944.770 (ora Euro 1.536.430,75). Tale illegittimo risultato non poteva essere riconosciuto e tutelato in quanto in palese violazione con l’art. 644 c.p. come modificato dalla L. n. 108 del 1996 e con gli artt. 1283, 1284 e 1815 c.c..

Con la L. 7 marzo 1996, n. 108, che aveva introdotto il nuovo testo dell’art. 644 c.p. e modificato l’art. 1815 c.c., era ormai possibile utilizzare per l’individuazione dell'”usurarietà degli interessi un parametro oggettivo ed indipendente dal dolo di approfittamento.

L’esorbitanza e la vessatorietà del tasso convenzionale applicato e la relativa capitalizzazione semestrale rendeva manifesta la condotta illecita sin dal momento della sottoscrizione della ricognizione di debito, in considerazione del rilevantissimo vantaggio usuraio , dello stato di bisogno del debitore e della conoscenza ed approfittamento di tale stato da parte di chi lucrava gli interessi.

Inoltre la disciplina sull’anatocismo, o interesse composto, ovvero la produzione indefinita di interessi sugli interessi” era consentita esclusivamente nel caso in cui a tal fine sia stata presentata specifica domanda giudiziale, oppure sia stata stipulata idonea convenzione posteriore di almeno sei mesi alla loro scadenza (art. 1283 c.c.), redatta peri scritto (art. 1284 c.c.).

Per la prima volta in questo giudizio di legittimità, i ricorrenti chiedevano di accertare l’illiceità e la nullità della pretesa creditoria ingiunta attesa la usurarietà dei tassi di interesse applicati in violazione dell’art. 644 c.p. come pure modificato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, anche in relazione agli artt. 1815, 1283 e 1284 c.c.. Il motivo è infondato con riguardo alla prima deduzione.

I ricorrenti richiamano norme, sulla nullità dei patti determinativi degli interessi in misura tale da raggiungere la soglia dell’usura, che sono successive alla scrittura di ricognizione del debito datata 1-9-92 in discussione (della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4), e che, dunque, in difetto di previsione di retroattività, non rifluiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l’inefficacia ex nunc. (Cass. n, 4092 del 25/02/2005, Cass. 13 giugno 2002 n. 8442, 18 settembre 2003 a 13739) La non retroattività di tale norme deve essere ribadita alla luce del D.L. 29 dicembre 2000. n. 394, art. 1, comma 1, – convertito con modificazioni, L. 28 febbraio 2001, n. 24 – secondo i quale “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”; norma che ha superato indenne il vaglio della Corte Costituzionale: v. Corte Cost. sentenza n. 0029 del 2002.

Infatti in tema di usura, e con riferimento a fattispecie anteriore all’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996, n. 108, la pattuizione di interessi ultra legali non è di per se viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso d’interesse diverso e superiore a quello legale, purchè ciò avvenga in forma scritta e sussistendo l’illiceità del negozio soltanto nel caso in cui si ravvisino gli estremi del reato di usura. Conseguentemente, può ritenersi l’illiceità del contratto solo se ricorrano un vantaggio usurario, lo stato di bisogno del mutuatario e l’approfittamento di tale stato da parte del mutuante. (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25182 del 13/12/2010).

L’inefficacia sopraggiunta di un accordo di durata, traducendosi in ragione in tutto od in parte estintiva dei diritti con esso costituiti, deve essere oggetto d’eccezione della parte interessata (Cass. n. 4092 del 25/02/2005). Sez. 3, Sentenza n. 2140 del 31/01/2006.

La questione dell’usurarietà dei tassi di interesse costituisce un tema difensivo del tutto nuovo, che non ha formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, postulando indagini e valutazioni di fatto non richieste nè compiute dal giudice del merito in tale grado e quindi ora esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Non può avere rilevanza il principio della rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, della nullità della previsione contrattuale “de quo” perchè contraria a norme imperative, in quanto i presupposti della nullità che i ricorrenti in alcuni punti del ricorso adombrano sussistente fin dalla data della scrittura di ricognizione di debito, vale adire il rilevante vantaggio usuraio, lo stato di bisogno del debitore e la conoscenza ed approfittamento da parte del creditore, non risultano nemmeno dedotti nella pregressa fase di appello del giudizio e non possono certo formare oggetto di accertamento nel presente giudizio di legittimità; nè in tale contesto può trovare applicazione l’invocato jus superveniens costituito dalla nuova disciplina dell’art. 1815 cod. civ. e art. 644 c.p. (ex L. 7 marzo 1996, n. 108), perchè, come si è visto, tale disciplina non è retroattiva.

La verifica dell’applicabilità della sopravvenuta diversa disciplina giuridica – chiaramente innovativa per il suo carattere additivo rispetto alla pregressa disciplina codicistica – l’accertamento del tasso soglia fissato ed il raffronto con il tasso di interesse convenuto nella scrittura di ricognizione di debito – si articolano necessariamente in un accertamento di merito precluso in questa sede di legittimità (v. Cass. 16.1.1990 n. 2196). Fondata è invece la seconda deduzione del primo motivo. Tenendo anche conto dei principi in materia di contratti bancari affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 4 novembre 2004 n. 21095, a conferma dell’indirizzo giurisprudenziale inaugurato da Cass. 16 marzo 1999 n. 2374 (e ribadito da ultimo da Cass. 20 agosto 2003 n. 12222), si osserva: – che l’art. 1283 cod. civ., il quale, in mancanza di usi contrari, fissa il divieto di interessi sugli interessi scaduti, salvo che per il periodo posteriore alla domanda giudiziale od in forza di accordo successivo alla scadenza (sempre che dovuti da almeno sei mesi), si riferisce agli usi normativi in senso stretto e non ad usi negoziali e che le clausole che prevedono una capitalizzaione degli interessi sono affette da nullità, per contrasto con norma imperativa; che la nullità ab origine dalla clausola che prevedeva la capitaliazzione semestrale degli interessi era rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., pure nel giudizio di gravame, quando, come nella specie, persista contestazione, ancorchè per ragioni diverse, sul titolo posto a sostegno della richiesta degli interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l’indagine sulla sussistenza delle condizioni dell’azione. Questi principi comportano l’accoglimento del primo motivo, con limitato riferimento alla seconda censura, in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del patto di anatocismo, traendone le debite conseguenze sulla quantificazione del complessivo credito della Banca. (Sez. 1, Sentenza n. 4093 del 2005).

Non vi è dubbio che tale carenza possa essere rilevata d’ufficio, in base a quanto disposto dall’art. 1421 c.c., anche in questa sede, dal momento che nel caso di specie, il suo accertamento non implica l’acquisizione di ulteriori elementi di fatto (Cass. 15 febbraio 2000, n. 1679; 30 maggio 2003, n. 8810) e che la validità della clausola rappresenta un elemento costitutivo della domanda proposta dai ricorrenti (Cass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095; e già Cass. 9 gennaio 1999, n. 117; 3 gennaio 2001, n. 10498; 14 gennaio 2003, n. 435).

Come secondo motivo di ricorso veniva dedotta la violazione e falsa applicazione di legge in ordine alla lesione del diritto della difesa e del principio del contraddittorio ex artt. 115 e 116 c.p.c..

Secondo i ricorrenti l’avv. Bu.Ma., durante il dispiegarsi delle udienze, e senza autorizzazione alcuna, provvedeva a ritirare la cambiale per L. 127.700.000, così sottraendola al libero contraddittorio delle parti ed impedendo ai ricorrenti di esercitare il libero diritto di difesa.

Il motivo è infondato in quanto, come affermato dai giudici di appello la circostanza che il titolo cambiario fosse stato ritirato al momento della decisione della impugnazione, non ha determinato violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. considerando che i ricorrenti fin dall’atto di opposizione non avevano contestato il debito portato dalla cambiale e dal successivo atto di ricognizione ,non avevano disconosciuto tempestivamente nè la sottoscrizione nè il suo tenore e che la data di emissione e scadenza, nonchè l’importo di L. 127.700.00, erano elementi letterali direttamente constatati dalla Corte di Appello a seguito di sottoscrizione del titolo da parte del Consigliere relatore. La circostanza che i ricorrenti in sede di interrogatorio avevano riferito due diverse ragioni causali dell’emissione del titolo non era ricollegabile al successivo ritiro della cambiale. Di conseguenza sia i giudici di appello che gli attuali ricorrenti hanno avuto piena conoscenza del titolo cambiario e la sua mancanza al momento della decisione non ha inciso sulla possibilità di difesa tenendo conto che a fondamento della domanda era stato posto anche l’atto di ricognizione del debito, rimasto sempre nella disponibilità delle parti.

Come terzo motivo i ricorrenti deducevano violazione e falsa applicazione di legge in ordine all’art. 1988 c.c. in relazione all’art. 2729 c.c. ed all’art. 310 c.p.c., comma 3 e insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto l’intero profilo di gravame non rispettoso del principio di specificità.

Si osserva che tema di ricorso per cassazione, ove il ricorrente denunci che la sentenza d’appello ha erroneamente dichiarato inammissibile un motivo di impugnazione sul rilievo che era stata impugnata la decisione di primo grado sulla base di motivi non attinenti alle argomentazioni del primo giudice o che una eccezione era del tutto nuova in quanto introdotta per la prima volta in appello, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, è necessario che l’atto di appello sia trascritto in modo completo (o quantomeno nelle parti salienti) nel ricorso, così da consentire il controllo della mancata attinenza o meno dei motivi di appello alle motivazioni del giudice di primo grado indicati dal giudice del gravame e la novità dell’eccezione, dovendosi ritenere, in mancanza, che la Corte non sia posta in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure alla pronuncia di inammissibilità in quanto non abilitata a procedere all’esame diretto degli atti del merito.

Nel caso di specie i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere non consentendo a questa Corte di controllare la fondatezza dei rilievi.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al primo motivo nei sensi di cui in motivazione con rinvio alla Corte di Appello di Bari che provvedere sulle spese anche della presente fase.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei sensi di cui in motivazione e rigetta gli altri e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011

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