Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6518 del 09/03/2021

Cassazione civile sez. III, 09/03/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 09/03/2021), n.6518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33183/2019 proposto da:

P.S., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Mauro Notargiovanni;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5705/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato ad un solo motivo, P.S., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Roma, resa pubblica il 20 settembre 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese di origine a causa della persecuzione religiosa posta in essere in Cina nei confronti dei seguaci della Chiesa domestica “(OMISSIS)” – “Chiesa di Dio Onnipotente” -, alla quale apparteneva) era affatto generico, sia in relazione alla presunta appartenenza alla Chiesa e sui punti essenziali della sua religione, sia sui presunti episodi persecutori (arresto e, quindi, violenze e torture patite in occasione dell’arresto), risultando poi inverosimile quanto alle condizioni di espatrio (effettuato con passaporto e visto e senza ostacoli al controllo di frontiera) da parte di persona asseritamente perseguitata dalla polizia; b) in assenza di attendibilità e di verosimiglianza della vicenda personale del richiedente non poteva riconoscersi la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), là dove, inoltre, non risultava che in Cina l’ostacolo all’esercizio delle libertà religiose comportasse il rischio di condanna a morte o forme di violenza e tortura, avendo lo stesso richiedente riferito che “l’eventuale sanzione (poteva) essere una pena pecuniaria ovvero, nei casi più gravi, una pena detentiva”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non aver la Corte territoriale ritenuto attendibile la narrazione di esso richiedente, nonostante il fornito principio di prova delle violenze patite (anche psicologiche, come da certificazione medica) per motivi religiosi e la situazione oggettiva di persecuzione delle c.d. “chiese domestiche” (o clandestine) esistente in Cina.

2. – Il motivo è inammissibile.

Premesso che il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), presuppone la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa i fatti che lo esporrebbero a persecuzione, nonchè a rischio grave alla vita o alla persona (tra le tante, Cass. n. 16925/2018), in tema di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della richiesta protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, in forza di un prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6897/2020, cfr. anche Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019), ossia di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014).

La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente (che è stata esclusa a partire dalla stessa sua appartenenza alla chiesa domestica cinese c.d. “(OMISSIS)”), si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione – con delibazione non già atomistica, ma complessiva – tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa dal giudice di secondo grado; là dove, poi, il ricorrente non indica, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dove e quando avrebbe prodotto nelle fasi di merito le attestazioni che proverebbero l’appartenenza alla chiesa domestica e la certificazione medica sulla sua condizione psicologica) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che, come detto, è quaestio facti, censurata (in modo inammissibile) alla luce del paradigma di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in guisa di vizio motivazionale e non di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti.

3. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

 

 

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