Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6517 del 06/03/2019

Cassazione civile sez. I, 06/03/2019, (ud. 24/10/2018, dep. 06/03/2019), n.6517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26150/2017 proposto da:

B.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giacobazzi Antonello Maria, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Br.Fe.Fe., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Tuscolana n. 4, presso lo studio dell’avvocato Pepe Marco,

rappresentata e difesa dagli avvocati Morelli Roberto, Parrillo

Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

B.F. e b.f.: in persona dell’avv. Z.M.

curatore speciale dei minori, nominato con provvedimento del Giudice

tutelare in data 1/07/2009;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1915/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 25/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/10/2018 dal cons. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Ivana Abenavoli, con

delega, che ha chiesto l’inammissibilità e il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Bologna, confermando la sentenza del Tribunale del capoluogo emessa in data 10/7/2013, sulla domanda di disconoscimento di paternità proposta da B.M. nei confronti della moglie Br.Fe.Fe. e dei figli gemelli B.F. e f. (nati il 12/7/2006), la ha ritenuta intempestiva in quanto esperita nel 2009, oltre il termine decadenziale di un anno dalla nascita dei minori, senza che fosse stata provata adeguatamente l’epoca della effettiva conoscenza dell’adulterio al tempo del concepimento, che avrebbe consentito l’applicabilità del diverso termine decadenziale previsto dall’art. 244 c.c., comma 2, seconda parte.

La Corte di appello ha ritenuto che mancasse la prova certa e rigorosa che la conoscenza dell’adulterio fosse collocabile al 2.5.2009, come sostenuto dal B., poichè le prove testimoniali addotte, rese dalle di lui madre e sorella, erano state giustamente considerate “indirette” dal primo giudice, avendo le stesse riferito di conversazioni che sarebbero avvenute tra altre persone ascoltate occasionalmente, oltre che imprecise e poco credibili secondo la stessa Corte territoriale.

Inoltre, ha escluso che la testimonianza di G.L., amico del B., circa la confidenza fattagli il 2.5.2009 di avere scoperto di non essere padre dei bambini potesse essere dirimente, poichè la scoperta della non paternità non equivaleva alla scoperta dell’adulterio.

Quindi, la Corte, pur dando atto che l’esame genetico espletato in fase di appello mediante consulenza tecnica d’ufficio aveva consentito di accertare che i minori non erano figli del B., ha escluso che tale accertamento tecnico potesse avere ricadute in merito alla individuazione del termine decadenziale applicabile perchè “la possibilità di dimostrare lo stesso adulterio anche ricorrendo alla prova tecnica, non incide però sul momento iniziale del decorso del termine previsto dall’art. 244 c.c., e non interferisce dunque sulla disciplina dettata in tema di decadenza” (fol. 9/10).

Ha affermato infine la necessità di dare prevalenza al favor minoris rispetto al favor veritatis per non pregiudicare i bambini sul piano economico.

B.M. ricorre per la cassazione della sentenza impugnata con tre mezzi, replica con controricorso Br.Fe.Fe.. I minori b.f. e F., rappresentati dal curatore speciale, sono rimasti intimati.

Il ricorso già fissato per la trattazione dinanzi all’adunanza camerale della Sesta Sezione civile, è stata rinviato per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla valutazione degli elementi istruttori volti a collocare temporalmente la conoscenza da parte del B. dell’adulterio, dolendosi del fatto che le prove testimoniali non erano state adeguatamente apprezzate e che la Corte contraddittoriamente non aveva preso in considerazione la data della consulenza tecnica di parte del 1.5.2009, con la quale il B. aveva acquisito la conoscenza scientifica dell’adulterio e della non paternità, in data anteriore al litigio con la Br., avvenuto il 2/5/2009, in cui questa aveva riconosciuto di averlo tradito. La censura, come si evince dal motivo, integra anche una evidente denuncia per violazione dell’art. 244 c.c., comma 2, in ordine alla falsa interpretazione del concetto di “conoscenza dell’adulterio” (fol. 8 del ricorso).

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

1.3. Nel caso in esame la Corte di appello articola la pronuncia di inammissibilità della domanda per decadenza indotta dalla tardività in tre passaggi motivazionali.

Il primo è costituito dalla affermazione dell’assenza di una prova certa e rigorosa circa l’epoca di conoscenza dell’adulterio, collocata dal B. al 2/5/2009, affermazione argomentata attraverso la disamina critica delle testimonianze rese dalla madre e dalla sorella del B. ritenute imprecise e poco credibili.

Il secondo è costituito dalla affermazione dell’esistenza di ulteriori elementi (già valorizzati in primo grado, segnatamente “le voci di paese” e “i sentimenti dei bambini”) tali da avvalorare la tesi “per cui, se non una piena conoscenza, il B. dovesse avere quantomeno un legittimo dubbio – non solo un mero sospetto – circa la paternità dei minori – e, quindi, anche circa l’infedeltà della moglie” (fol. 8) elementi che – come sembra di comprendere dal tenore della motivazione – avrebbero dovuto collocare tale “dubbio” in epoca anteriore a quella utile.

Il terzo è individuabile nell’esclusione del carattere dirimente e rilevante della testimonianza di G.L., il quale ebbe a riferire che il B. in data 2/5/2009 gli aveva confidato di avere scoperto quel giorno di non essere padre biologico dei minori, sulla scorta dell’affermazione che “la scoperta della non paternità non equivale infatti a scoperta dell’adulterio” (fol. 8), conclusione formulata dalla Corte territoriale richiamando all’uopo la decisione di legittimità n. 15777 del 2/7/2010.

1.4. Tale ragionamento non può essere condiviso in quanto la valutazione delle emergenze probatorie appare viziata dall’erronea e contraddittoria interpretazione del criterio di individuazione della conoscenza dell’adulterio che integra – ai sensi dell’art. 244 c.c., comma 2, – il dato temporale da cui far decorrere il termine decadenziale annuale, il cui apprezzamento è, comunque, rimesso al giudice del merito (Cass. n. 15777 del 2/7/2010).

1.5. In proposito giova ricordare che in tema di disconoscimento della paternità grava sull’attore la prova della conoscenza dell’adulterio (Cass. n. 13436 del 30/06/2016) e che, come già affermato da questa Corte, “La scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. (come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte costituzionale) – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di appello che ha riconosciuto la tempestività della domanda di disconoscimento della paternità, ritenendo che, pur risultando una pregressa conoscenza dell’adulterio da parte dell’attore, solo all’esito dell’espletamento della prova del DNA, questi ne avesse acquisito la certezza).” (Cass. n. 3263 del 09/02/2018; v. anche, Cass. n. 14556 del 26/6/2014), di talchè il dato della conoscenza certa dell’adulterio non può ritenersi di per sè idoneo a far maturare l’effetto decadenziale fissato dall’art. 244 c.c., ove non sia qualificato dalla connessione alla conoscenza dell’idoneità dell’adulterio stesso a determinare la nascita del figlio.

Orbene tale principio, che viene qui condiviso, non confligge con la pronuncia, richiamata nell’impugnata sentenza, secondo la quale “In tema di azione di disconoscimento di paternità esercitata dal figlio, ai sensi dell’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, in caso di adulterio della madre, il termine annuale previsto dall’art. 244 c.c., comma 3, a pena di decadenza rilevabile d’ufficio, decorre dalla data della scoperta dell’adulterio, da intendersi come acquisizione certa della conoscenza del fatto, il cui apprezzamento è rimesso al giudice del merito e non già come raggiungimento della certezza negativa circa la compatibilità genetica col genitore legittimo. (In applicazione di tale principio, la S. C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ricollegato la decorrenza del termine alla pubblicazione di un testamento nel quale il de cuius aveva riconosciuto l’attore quale suo figlio naturale, ravvisandovi un evento sufficiente a rendere noto l’adulterio della madre)”. (Cass. n. 15777 del 2/7/2010).

Questa pronuncia infatti, sia pure in fattispecie diversa, risulta, ugualmente attestata su una nozione di conoscenza qualificata come si desume dalla frase “acquisizione certa della conoscenza del fatto” (certezza che, in questo caso, discendeva da una dichiarazione di paternità naturale resa in sede testamentaria).

1.6. Tornando alla vicenda in esame, va osservato che la Corte di appello ha esaminato la questione della conoscenza – come sopra precisata – sostanzialmente sotto due profili temporali – quello della conoscenza infra annuale, trattato nei passaggi motivazionali primo e terzo, e quella della conoscenza ultra annuale, trattato nel secondo passaggio motivazionale e richiamato nella parte conclusiva del terzo (v. par. 1.3.) – giungendo ad escluderle entrambe.

Tale conclusione non può essere integralmente condivisa per le ragioni di seguito precisate.

1.7. Soffermandosi prima di tutto sulla valutazione della conoscenza ultra annuale, va osservato che la Corte di appello, in coerenza con il concetto di conoscenza prima illustrato, ha esattamente ritenuto che la stessa non fosse stata accertata, giacchè gli elementi acquisiti erano tali da poter avere dare adito al “dubbio” nel B. circa la paternità dei minori e, quindi, l’infedeltà della moglie, ma non la piena conoscenza dell’adulterio. Orbene, quand’anche si volesse riconoscere fondatezza della distinzione operata dalla Corte di appello tra sospetti e dubbi, v’è da rimarcare che entrambi i concetti non sono affatto assimilabili alla conoscenza, come peraltro ritenuto dalla stessa Corte di appello: l’esclusione della ricorrenza di una “piena conoscenza”, in mancanza di differenti indici interpretativi, dimostra che la Corte di appello ha escluso l’acquisizione certa della conoscenza dell’adulterio da parte del B. in epoca anteriore a quella utile per la ammissibilità dell’azione proposta, tant’è che non ha pronunciato la decadenza per tardività dell’azione, ma per mancanza di prova in ordine all’epoca in cui sarebbe avvenuta detta conoscenza.

1.8. Non convincono invece i passaggi motivazionali relativi alla mancanza di prova della conoscenza infra annuale.

Ben vero, essendo stata esclusa dalla stessa Corte territoriale la conoscenza dell’adulterio ultra annuale, nei sensi dianzi precisati, non convince l’affermazione secondo la quale “la scoperta della paternità non equivale a conoscenza dell’adulterio” posta a sostegno della ritenuta mancanza di decisività della deposizione di G.L. in merito alla scoperta della non paternità, in quanto, nel caso concreto, non risulta in linea con i principi prima enunciati a cui la stessa Corte territoriale aveva dato poco prima applicazione.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, che la scoperta della paternità può costituire prova della conoscenza dell’adulterio al fine di valutare la tempestività della domanda di disconoscimento della paternità, in quanto “La scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. (come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte costituzionale) – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo”. (Cass. n. 3263 del 09/02/2018) di guisa che è possibile che la conoscenza certa dell’adulterio intervenga solo all’esito dell’espletamento della prova del DNA (Cass. n. 3263 del 09/02/2018).

1.9. Orbene, la Corte di appello – avendo già escluso che fosse stata raggiunta la prova della conoscenza pregressa ed ultrannuale dell’adulterio e della assenza di genitorialità (v. par. 1.7) e considerando che nella prospettazione del B. i due momenti sostanzialmente sarebbero stati coincidenti – avrebbe dovuto valutare le circostanze riferite nella testimonianza del G. – non colpita da un giudizio di imprecisione e non credibilità come quelle di madre e sorella del B. – al fine di procedere alla corretta sussunzione della fattispecie concreta nel disposto normativo, tenendo conto che – contrariamente a quanto erroneamente affermato – anche la cognizione di assenza di paternità biologica può essere indicativa del sorgere della conoscenza qualificata dell’adulterio, richiesta dall’art. 244 c.c., comma 2, c.c. per valutare la tempestività dell’azione di disconoscimento, conoscenza già esclusa per il periodo temporale pregresso dalla stessa Corte di appello.

La statuizione, ferma su una pronuncia di non decisività della deposizione del G., risulta pertanto viziata e va cassata.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto inammissibile per novità la produzione in appello della consulenza di parte, dalla quale era desumibile l’epoca in cui aveva acquisito certezza dell’adulterio ai tempi del concepimento e, quindi, la tempestiva proposizione dell’azione di disconoscimento.

2.2. Il motivo è infondato.

La sentenza del Tribunale di Modena n. 1126/2013 venne emessa prima dell’11/9/2012.

Trova applicazione il principio secondo il quale “Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012(applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza rindispensabilità” degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva ammesso in appello la produzione di documenti nuovi, costituiti da relate di notificazione degli avvisi di accertamento, che le parti convenute, rimaste contumaci in primo grado, avrebbero potuto tempestivamente depositare in quel grado di giudizio)”. (Cass. n. 26522 del 09/11/2017).

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del principio di favor veritatis rispetto al principio di favor minoris, avendo la Corte di appello fondato la sua pronuncia, nonostante la indiscussa non paternità, solo su valutazioni di carattere economico senza considerare i rapporti concretamente instaurati tra le parti ed i diritti del figlio di primo letto del ricorrente.

3.2. Il motivo è inammissibile in quanto afferisce a valutazioni di merito, sull’interesse dei minori a conservare lo status di figli legittimi, attuate dalla Corte di appello dopo avere già dichiarato il B. decaduto dal potere di esercizio dell’azione di disconoscimento e, quindi, a contenuto non decisorio.

3.3. Va comunque osservato che la valutazione del giudice del gravame non appare in linea con i criteri elaborati in proposito da questa Corte, essendo stata centrata esclusivamente su considerazioni di tipo economico.

3.4. Invero, nel chiarire il rapporto tra favor veritatis e favor minoris e nel sottolineare la necessità dell’attuazione di un bilanciamento in concreto degli interessi del minore, questa Corte ha affermato che “In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (art. 30 Cost., art. 24 Cost., comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e art. 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli status ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale”. (Cass. n. 26767 del 22/12/2016; in tema anche Cass. n. 8617 del 3/4/2017): è stata così rimarcata l’esigenza che questo tipo di valutazione sia ampia ed approfondita ed abbia riguardo, innanzi tutto, ai profili connessi all’identità personale ed all’esistenza o meno di significativi ed attuali rapporti interpersonali ed affettivi intercorrenti tra le parti, circostanze che, nel caso in esame, non sono state affatto considerate, nè tanto meno indagate.

4.1. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso, rigettati i restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata e la controversia va rinviata alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione che nel procedere ad un nuovo esame della causa si atterrà a quanto sopra indicato, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

PQM

– Accoglie il primo motivo del ricorso, rigettati i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2019

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