Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6512 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 09/03/2021), n.6512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19062-2019 proposto da:

CONSORZIO GIARDINI DEL PESCACCIO, in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FULCIERI PAULUCCI DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato DANTE

GROSSI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALFATEST S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

B.L., C.G., C.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLE MILIZIE N. 138, rappresentati e difesi dagli

Avvocati RODOLFO POLCHI, MASSIMO BERSANI;

– controricorrenti –

contro

IL POGGIOLO s.c.a.r.l.

– intimata –

avverso la sentenza n. 8119/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza del 18/4/2012 il Tribunale di Roma ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della società La Mongolfiera s.r.l. e ha rigettato la domanda proposta dagli attori Società cooperativa edilizia Il Poggiolo a r.l., Alfatest s.r.l., C.G., C.S. e B.G., nei confronti del Consorzio Giardini del Pescaccio, volta a far dichiarare la nullità delle delibere assembleari consortili del 30/11/2010 in relazione ai punti 1 (adeguamenti, modifiche e integrazioni statutarie) e 2 (integrazione del punto 4 della Delib. 10 marzo 2010) dell’ordine del giorno;

con sentenza del 19/12/2018 la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto dagli attori soc.c.oop. edilizia Il Poggiolo a r.l., Alfatest s.r.l., C.G., C.S. e B.G., accertando la nullità della delibera assunta dal Consorzio in sede di assemblea straordinaria del 30/11/2010 e della delibera di assemblea ordinaria in para data al punto 2) dell’ordine del giorno, condannando il Consorzio alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio;

avverso la predetta sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio Giardini del Pescaccio con atto notificato il 19/6/2019, svolgendo tre motivi, al quale hanno resistito con controricorso notificato il 31/7/2019 gli attori-appellanti Alfatest s.r.l., C.G., C.S. e B.G., chiedendone il rigetto, mentre la società Il Poggiolo s.c.a r.l. non si è costituita in giudizio;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

parte ricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese;

ritenuto che:

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Consorzio ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1321,21 e 2607 c.c.;

secondo il ricorrente, la Corte territoriale, pur partendo correttamente dall’assunto della necessità di applicare la disciplina negoziale concordata ai consorzi di urbanizzazione, qual è appunto il Consorzio Giardini del Pescaccio, aveva incoerentemente ritenuto che tutte le modifiche statutarie incidenti su scopo, oggetto e durata dell’attività consortile esigessero il consenso unanime dei consorziati, nonostante che lo statuto derogasse al sistema unanimistico facendo valere il principio maggioritario;

il motivo così articolato appare inammissibile perchè non autosufficiente e non debitamente corredato dalla indicazione specifica ex art. 366 c.p.c., n. 6, dei documenti sui quali si fondano le censure e della loro collocazione negli atti processuali (Sez. U, n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488 – 01; Sez. 5, n. 777 del 15/01/2019, Rv. 652190 – 01; Sez. 3, n. 29279 del 12/12/2008, Rv. 606218 – 01);

il motivo si basa infatti sulla asserita deroga al principio unanimistico per le modifiche statutarie con adozione del principio maggioritario che scaturirebbe in forza del combinato disposto degli artt. 15 e 12, lettera c), dello statuto del Consorzio (comunque trascritti solo parzialmente), senza il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dello Statuto e l’indicazione della sua collocazione in actis;

non appaiono convincenti le obiezioni solevate dal Consorzio Giardini del Pescaccio con la sua memoria;

da un lato, le modifiche statutarie non sono state riportate nel ricorso se non del tutto genericamente per enunciazione di argomenti e titoli delle rubriche;

per altro verso, il fatto che solo due sarebbero i documenti rilevanti (statuto del Consorzio e Delib. 30 novembre 2010) non esclude affatto la necessità del rispetto degli oneri di autosufficienza;

la mancata indicazione nel ricorso della collocazione specifica negli atti processuali dei documenti sui quali esso si fondava non può essere surrogata dalla acquisizione del fascicolo d’ufficio e dal deposito del fascicolo di parte, che valgono semmai a consentire alla Corte la verifica puntuale di quanto deve essere specificamente ed esaustivamente dedotto e indicato nel ricorso;

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Consorzio ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle norme in tema di interpretazione della volontà negoziale delle parti e in particolare l’art. 12 preleggi, comma 2, e gli artt. 1362,1363 e 1364 c.c.;

anche il secondo motivo appare inammissibile ed incorre nel vizio di autosufficienza di cui al motivo precedente;

inoltre, come ancora recentemente riaffermato da questa Corte (Sez.2, 25/11/2019 n. 30686), la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non può costituire lo schermo, attraverso il quale si possa sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni di competenza esclusiva del giudice del merito;

non è infatti sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma è necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito;

per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati;

di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (Sez. 3, n. 13603 del 21/05/2019, Rv. 653922 – 01; Sez. 3, n. 11254 del 10/05/2018, Rv. 648602 – 01; Sez. 1, n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340 – 01; Sez. 3, n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1, n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063 – 02; Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013).

con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1419 c.c. e lamenta che la Corte di appello non abbia distinto nell’ambito delle modifiche statutarie oggetto della deliberazione quelle che incidevano su oggetto e scopo sociale, preservando le altre; anche il terzo motivo appare inammissibile, poichè il ricorrente non dà conto di quando e come avrebbe introdotto nel giudizio di merito il tema della nullità solo parziale della deliberazione relativa alle modifiche statutarie;

per tale ragione la questione appare nuova e inammissibile;

nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Sez. 2, n. 2193 del 30/01/2020, Rv. 656856 – 01; Sez. 2, n. 14477 del 06/06/2018, Rv. 648975 – 02; Sez. 6 – 5, n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01; Sez. 2, n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251 – 02);

nè si può sostenere che il tema della selezione, caso per caso, delle ipotesi di nullità sia insorto solo per effetto della pronuncia impugnata, come sostiene il ricorrente con la memoria, visto che la scissione della pronuncia di invalidità con articolazione distinta per i singoli casi, non era stata in precedenza prospettata dall’attuale ricorrente, come sarebbe stato senz’altro possibile;

la censura inoltre appare assai generica nell’indicazione dei profili delle modifiche statutarie asseritamente non colpiti da nullità;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 4.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021

 

 

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