Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 651 del 18/01/2010

Cassazione civile sez. II, 18/01/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 18/01/2010), n.651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27792/2004 proposto da:

\MIANI VALERIA\ in nome del tutore \MIANI ELEONORA\, \BONERA LUISA\,

\CONTINI MARIA\, \BASONI YVONNE\, \PERISSINOTTO CLAUDIO\, \MINIUSSI

GLAUCO\, \SBAIZERO ILVA\, \GOBESSI GIOSUE’\, \GASPERINI LIVIA\,

\\MASERA ERCOLE\, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato SINOPOLI VINCENZO, rappresentati e

difesi dall’avvocato NUSSI Mario;

– ricorrenti –

contro

IMPRESA CLOCCHIATTI SPA P.I. *00655390300* in persona del legale

rappresentante pro tempore \CLOCCHIATTI CLAUDIO\, \CLOCCHIATTI TOBIA\

per se e quale titolare dell’omonima impresa individuale,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 107, presso lo

studio dell’avvocato GELERA GIORGIO, rappresentati e difesi

dall’avvocato VIDA Fulvio;

– controricorrenti –

e contro

\ARGIOLAS GIULIANO\, \MONODUTTI PAOLA\, \PATRIARCA LAURA\, \BUZZI

VITTORIO\, \RONCHESE TIZIANA\, \QUALESSO SJLVIE\, \VERBANO INES\,

\GLOBA PIERINA\, \CASCIANO ALDO\, \SCARPA NICOLETTA\, \TRANCESCHINIS

RINO\, \LIZZI ENNIO\, \RASTELLI LAURA\, \NAPOLITANO GIANFRANCO\,

\\CATTIVELLO MARIO\, \CATTIVELLO LISA\, \DI BENEDETTO PAOLO\,

\PURINANI ANNADINA\, \RASTELLI MARIO\, \BEVILACQUA ANNA MARIA\;

– intimati –

avverso la sentenza n. 659/2003 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 23/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/11/2009 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Angela DEL MONTE, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato NUSSI Mario, difensore dei ricorrenti che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VIDA Fulvio, difensore dei resistenti che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per nullità dell’intero giudizio e

rimettersi gli atti al primo giudice.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

\\Ercole @Masera\ ed altre ventisette persone convenivano in giudizio, avanti al tribunale di Udine l’impresa Clocchiatti S.p.A. e \Tobia @Ciocchiate\ e, premesso di essere proprietari o comproprietari di unità immobiliari (villette) site nel comune di *Martignacco*, deducevano che , con i rispettivi atti di acquisto (stipulati con i convenuti) erano divenuti proprietari pro-quota anche delle parti indivise (dell’area su cui sorgevano le loro costruzioni), così come individuate nel progetto di lottizzazione e comprensive quindi delle residue aree scoperte e non edificate.

Precisavano di aver dato mandato ai convenuti tramite i lori atti di vendita, di provvedere al completamento della lottizzazione di cui trattasi, impegno che questi non avevano onorato, di talchè chiedevano che fosse accertato e dichiarato il loro diritto di comproprietà su tre mappali (*747, 652 e 653*) facenti parte della menzionata area scoperta e che fosse dichiarata l’invalidità e/o l’inefficacia delle suddette procure rilasciate ai medesimi convenuti. Instauratosi il contraddittorio, questi ultimi resistevano alla domanda negando che gli atti di acquisto degli attori fossero idonei a trasferire la proprietà, sia pure per quota indivisa, delle aree esterne alle loro villette, rilevando che anche il nuovo strumento urbanistico di iniziativa privata, non prevedeva che si erigessero nuove costruzioni sui mappali rivendicati; contestavano altresì l’asserita invalidità o inefficacia della procure contenute negli atti di compravendita.

Previo espletamento della CTU ed acquisizione della documentazione offerta, il Tribunale di Udine, con sentenza in data 24.9.99, in accoglimento della domanda principale degli attori, accertava e dichiarava il loro diritto di proprietà, per quota indivisa sugli immobili così come individuati nel progetto di lottizzazione a F. *5* mapp. *747, 652 e 673* del comune di *Martignacco*; rigettava però siccome infondata la domanda degli attori relativa alla dedotta invalidità o inefficacia della procura da essi rilasciata ai convenuti nei rispettivi contratti di compravendita delle loro unità immobiliari. Secondo il tribunale , sulla base di un’interpretazione “collettiva” e “complessiva” di tutti i contratti di compravendita, (valutando cioè i singoli atti ed il complesso degli atti stessi) doveva ritenersi che gli attori fossero proprietari pro-quota delle suindicate aree quali parti comuni.

La sentenza era appellata dalla società e da \Tobia @Clocchiatti\, i quali, in specie, censuravano l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata che aveva desunto ed interpretato una volontà contrattuale comune sulla scorta di atti non omogenei; invero eccettuati tre dei contratti in questione, tutti gli altri non contenevano, nella parte in cui descrivevano l’oggetto della compravendita, alcuna menzione delle parti comune ad esse relative. Si costituivano n. 24 (su 28) degli appellati contestando i motivi dell’appello, ribadendo che invece tutti i contratti includevano le parti comuni.

La Corte territoriale, con sentenza n. 659/03, in accoglimento dell’impugnazione, rigettava le domande degli attori siccome infondate. Rilevava che i contratti de quibus dovevano essere valutati ed interpretati singolarmente ed in base alle clausole in essi inserite, tuttavia nella fattispecie gli attori avevano svolto una domanda congiunta e collettiva che poteva essere accolta o respinta per tutti o per nessuno di essi.

Contro la decisione rubricata, propongono ricorso per cassazione gli attuali ricorrenti sulla base di n. 13 censure. Resistono con controricorso gli intimati, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili. La causa è quindi pervenuta all’odierna udienza previa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti pretermessi presenti nel giudizio di 2^ grado, a seguito di ordinanza pronunciata da questa Corte in data 26.3.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va osservato che questa Corte alla precedente udienza del 26.03.09 ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di 18 litisconsorti pretermessi, già presenti nel giudizio d’appello.

Dalla relata della notifica dell’atto d’integrazione del contraddittorio emerge che sono deceduti i litisconsorti \Bevilacqua Annamaria\, \Mario @Rastelli\ e \\Mario @Cattivello\ e che l’atto è stato poi notificato agli “eredi” dei medesimi, rispettivamente:

\Laura @Rastelli\ nonchè \\Mirco\ e \Lisa @Cattivello\. Nel corso dell’odierna udienza, durante la discussione orale, il difensore dei controricorrenti ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancanza della prova circa il decesso delle parti sopraindicate e circa la qualità di eredi delle medesime con riguardo alle persone a cui l’atto stesso risulta notificato. L’eccezione – peraltro rilevatale d’ufficio – è fondata. Invero i ricorrenti nessuna prova hanno dato che le persone suddette siano decedute, nè che le persone alle quali il ricorso è stato notificato, ai fini dell’integrazione del contraddittorio, siano eredi delle medesime.

Ciò comporta l’inammissibilità del ricorso, per omessa integrazione del contraddicono ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 2, in base al principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il ricorrente ha l’onere di provare (per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c.p.c., non solo il decesso della parte originaria, ma anche l’asserita qualità degli eredi, allegando certificato di morte e stato di famiglia, ovvero atto di notorietà) la legittimazione passiva processuale dei soggetti ai quali l’impugnazione è stata notificata; a meno che tale legittimazione non sia riconosciuta dagli interessali (il che, nella specie, non si è verificato), perchè la successione ne processo, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., di altri soggetti alla parte originaria è un fatto costitutivo del diritto processuale, che deve essere provato ai sensi dell’art. 2697 c.c. (V. Cass. 30.1.1998, n. 944; Cass. 12.5.1995 n. 5219; Cass n. 14383 del 29.07.2004).

Invero, secondo la giurisprudenza di questa S.C., nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa “legitimatio ad causam” si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ.) non al semplice chiamato all’eredità bensì (in via esclusiva) all’erede, tale per effetto di accettatone, espressa o tacita, de compendio ereditano, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per S’acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del “de cuius” occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione. (Cass. n. 13571 del 12/06/2006).

Ha altresì precisato in proposito la S.C. in analoga fattispecie che, “nel so in cui il decesso della parte, vendicatosi nel corso del giudizio, non sia stato dichiarato in udienza dal procuratore costituito, ma sia stato portato a conoscenza della controparte esclusivamente con l’atto di notifica della sentenza, non accompagnato dalla puntuale indicazione degli eredi, la controparte che intenda impugnare la sentenza può avvalersi della facoltà, prevista dall’art. 330 cod. proc. civ., di notificare l’atto di impugnazione impersonalmente e collettivamente agli eredi”. “Qualora non intenda avvalersi di detta facoltà, essa è tenuta ad individuare, tra i chiamati all’eredità, coloro che hanno effettivamente assunto la qualità di eredi della parte deceduta, e, pur non dovendo fornire la prova che tali soggetti non vi abbiano rinunciato, ha l’onere di dedurre quanto meno la sussistenza effettiva delle condizioni da cui possa desumersi che essi abbiano accettato espressamente o tacitamente l’eredità. La mera delazione ereditaria, conseguente all’apertura della successione, non è infatti sufficiente ai fini della trasmissione della legittimazione “ad causam”, la quale presuppone l’accettazione dell’eredità, per effetto della quale il chiamato assume la veste effettiva di erede della parte” (Cass. o.i. n. 2807 del 08/02/2006; Cass. 944 del 30/01/1998). Il ricorso dunque dev’essere dichiarato inammissibile.

Attesi i profili sostanziali e processuali della fattispecie si ritiene di dover compensare le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese delle giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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