Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6509 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 132/15 R.G., proposto da:

B.M.G.T., rappresentata e difesa, come da mandato in

calce al ricorso, dagli avvocati Ferrara Giuseppe, Tenchini Giuseppe

e Franco Fabio, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma,

Via F. de Sanctis n. 4;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4799/2014 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 22 settembre 2014, non

notificata.

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella

Rosita nella camera di consiglio del 09 febbraio 2022.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La vicenda che origina il ricorso all’esame nasce dalle risultanze del processo verbale di constatazione, redatto in data 28 novembre 2011 dai militari della Guardia di finanza, compagnia di Sesto San Giovanni, dal quale emergeva il possesso da parte di B.M.G.T. di capitali all’estero e, quindi, di maggiori redditi imponibili in Italia rispetto a quelli dichiarati dalla contribuente per gli anni di imposta 2006 e 2007; veniva appurata, altresì, l’omessa compilazione del quadro RW con violazione della normativa sul monitoraggio fiscale. Sulla base di tale processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle entrate emise due distinti avvisi di accertamento di cui, uno, per l’anno d’imposta 2006, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 41-bis con il quale si contestava un maggior reddito imponibile di Euro 149.419,00 a fronte di un reddito complessivo dichiarato pari a Euro 19.923,00 e, l’altro, per l’anno d’imposta 2007 con il quale pure si contestava un maggior reddito imponibile (pari ad Euro 149.419,00) rispetto a quello dichiarato, recuperando, maggiore Irpef per le due annualità in contestazione. Inoltre, l’Agenzia delle entrate emetteva atto di contestazione per l’irrogazione di sanzioni per omessa compilazione del quadro RW per Euro 75.478,30.

2. La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento e l’atto irrogativo di sanzioni che venivano accolti, previa riunione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano.

3. Interposto appello dall’Agenzia delle entrate, veniva integralmente accolto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito, CTR) con la sentenza di cui in epigrafe. La decisione di accoglimento dei giudici di appello riguarda essenzialmente il valore indiziario forte degli elementi posti a base della pretesa impositiva rispetto alla quale hanno ritenuto che la parte contribuente “non ha fornito nessun elemento probatorio a confutazione”. Inoltre, hanno affermato che le informazioni ottenute attraverso la cd. Lista Falciani erano state legittimamente acquisite poiché ricevute dall’amministrazione finanziaria francese mediante l’utilizzo di apposite procedure di collaborazione informativa internazionali aventi lo scopo di intervenire nei confronti di illecite fattispecie di evasione e di elusione fiscale disciplinate da particolari intese a livello Europeo. All’uopo, la CTR ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 29433 del 10 luglio 2013.

La contribuente ha proposto ricorso in cassazione avverso tale sentenza, affidato a dieci motivi, ed ha presentato memoria telematica. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con i primi cinque motivi di ricorso la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata e del procedimento deducendo plurimi errores in procedendo: col primo motivo, assume la violazione dell’art. 112 c.p.c., laddove la CTR non ha pronunciato sull’eccezione di inammissibilità dei motivi di appello dell’Agenzia delle entrate; col secondo, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver pronunciato sull’eccezione di illegittimità degli atti “avversati”, per illegittima applicazione retroattiva della L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 2, essendosi l’Ufficio costituito solo cinque giorni prima dell’udienza di trattazione, sicché le sue controdeduzioni erano da considerarsi coperte dagli effetti di cui all’art. 115 c.p.c.; col terzo motivo, denuncia l’omissione di pronuncia sul motivo di appello col quale era stata denunciata l’erroneità della sentenza di primo grado che non aveva dichiarato il vizio di motivazione degli atti impugnati; col quarto motivo, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, n. 4, in ordine alle eccezioni preliminari svolte dalla contribuente con l’appello, di cui ai punti I, II, III del ricorso in cassazione; col quinto motivo, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 ed art. 1, e dell’art. 166 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 2, per mancato rilievo della decadenza in cui era incorso l’Ufficio che aveva eccepito l’utilizzabilità della scheda cliente della banca svizzera HSBC (cd. “fiche”) solo con le controdeduzioni depositate cinque giorni prima dell’udienza e non con l’atto di costituzione.

1.1. Non sussiste la dedotta omissione di pronuncia di cui ai motivi primo e secondo, per le seguenti considerazioni. In primo luogo, va evidenziato che i giudici di appello, dopo aver perimetrato, al paragrafo n. 1.4, le eccezioni preliminari della contribuente (“(…)si è costituita nel presente procedimento la contribuente che preliminarmente eccepisce l’inammissibilità in secondo grado di motivi/eccezioni non validamente proposti in primo grado (poiché, a suo dire, inserita in tardive controdeduzioni dell’ufficio nel procedimento di primo grado), nonché in applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, così come modificato la L. n. 62 del 2009, art. 45, comma 14. Ripropone quindi l’eccezione di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati (…)”), hanno esplicitamente pronunciato sulle stesse al paragrafo 2.2, ritenendole “manifestatamente infondate”. Che non vi sia omissione di pronuncia si trae anche con riguardo alla pacifica giurisprudenza di questa Corte sul rapporto tra omissione di pronuncia e motivazione implicita della sentenza, per cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, pur in mancanza di un’espressa statuizione del giudice, comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte e nella specie non v’e’ dubbio che le eccezioni formulate in appello dalla contribuente, sulle quali la sua difesa ritiene che non vi sia stata pronuncia, siano state implicitamente rigettate (v., Sez. 3, 06/11/2020, n. 24953; Sez. 3, 13/01/2021, n. 459).

1.2. Quanto alla violazione del termine previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, per la costituzione in giudizio della parte resistente, è principio altrettanto pacifico che essa comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell’avversa pretesa, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate e di produrre documenti ai sensi del detto decreto, artt. 24 e 32 (ex pluribus, v. Sez. 5, 30/01/2019, n. 2585).

1.3. Inammissibile è il terzo mezzo, sia perché è completamente decentrato rispetto alla statuizione specificamente resa dai secondi giudici sulla congruità della motivazione degli avvisi di accertamenti effettuata mediante il rinvio al processo di verbale di constatazione (v. par. 2.3.), sia perché non offre argomenti per superare il pacifico indirizzo di questa Corte secondo cui “in tema

di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (v. Sez. 5, 20/12/2018, n. 32957).

1.4. Egualmente non sussiste la carenza di motivazione dedotta col quarto motivo, in quanto, come esposto ai paragrafi 1.1. e 1.2., la CTR ha congruamente motivato sulle questioni preliminari sottoposte al suo esame senza incorrere in alcuna ipotesi di anomalia motivazionale che determinano la carenza di motivazione o motivazione parvente.

1.5. Il quinto mezzo non supera lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1), non avendo il ricorrente offerto argomenti di segno contrario all’indirizzo costante e pacifico di questa Corte richiamato sopra, al paragrafo 1.2.

2. Col sesto motivo, la ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di atti impositivi di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7,D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, alla luce della direttiva 77/799/CE.

2.1. Il mezzo è infondato tenuto conto dei principi di diritto richiamati al paragrafo 1.3., ai quali si rinvia, in aggiunta all’ulteriore principio affermato da questa Corte, in senso conforme alla richiamata Direttiva UE, secondo cui in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7 Statuto del contribuente, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (v. Sez. 5, 19/11/2019, n. 29968) e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo (v. Sez. 5, 10/07/2020, n. 14723). Che la contribuente non abbia avuto conoscenza dei fatti posti a base dell’accertamento spiccato nei suoi confronti e’, anzitutto, smentito dall’aver ricevuto rituale notifica del processo verbale di constatazione, così come peraltro affermato dalla CTR (“processo verbale di constatazione (…) ritualmente notificato alla parte (e pertanto dalla stessa ben conosciuto)”); inoltre, che si tratti di atto conosciuto alla contribuente è confermato dalle stesse difese avanzate da B.M.G.T. nei gradi merito, nonché in tale giudizio di legittimità, in specie con riguardo alla utilizzabilità della documentazione proveniente dall’Amministrazione finanziaria francese.

3. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, segnatamente, degli artt. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, 27 paragrafo 2, lett. B) della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni e alla direttiva 799/77, avuto riguardo alla disposizione di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, deducendo che, avendo contestato la legittima acquisizione, da parte dell’autorità francese, delle informazioni poi trasmesse all’Amministrazione finanziaria italiana, l’Ufficio avrebbe dovuto, in ossequio alle norme in parola, dimostrare la sussistenza di indizi per la ripresa a tassazione; per contro, l’Ufficio finanziario non ha prodotto in causa la nota informativa dell’amministrazione francese né le modalità di acquisizione dei medesimi, tanto più che la ricorrente aveva disconosciuto la scheda cliente della banca (“fishe attribuitale dall’Amministrazione finanziaria.

3.1. Con l’ottavo motivo, si denuncia nuovamente il vizio di violazione di legge e, segnatamente, dell’art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, e del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, laddove la CTR, per l’anno 2006, ha ritenuto che le risultanze della scheda clienti (fische), priva di sottoscrizione e senza indicazione dell’istituto di credito emittente, fosse fonte qualificata di presunzione grave precisa e concordante per imputare alla contribuente la detenzione di attività finanziarie detenute in Svizzera.

3.2. Con il nono mezzo, si denuncia la violazione del disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1, art. 10, comma 1, D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, nonché dell’art. 24 Cost., là dove la CTR ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento in realtà fondati sulla disposizione di cui al citato D.L., art. 12, entrata in vigore successivamente alle annualità di imposta oggetto di accertamento.

4. Tali motivi – che si esaminano congiuntamente per connessione di censure – sono infondati.

4.1. Il tema riguardante la disciplina delle presunzioni nell’ambito delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale, da tempo dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, ha trovato oramai composizione nell’indirizzo monofilattico della giurisprudenza di questa Corte (v. le ordinanze “gemelle” del 28/04/2015 nn. 8605 e 86066, nonché l’ordinanza n. 9670 del 13/05/2015 e le sentenze del 19/08/2015 nn. 16950 e 16951, quest’ultime tre non massimate) che ha ammesso l’utilizzabilità delle informazioni contenute nella cd. lista “Falciani” (così detta dal nome di Herve’ Falciani, l’ingegnere informatico italo francese, fuggito da Ginevra nel dicembre 2008 con l’intero archivio informatico della HSBC private Bank). Dopo le cd. ordinanze gemelle sulla lista Falciani la giurisprudenza sezionale ha approfondito, rivisitato e calibrato la materia in base alla peculiarità delle tre liste (Pessina, Falciani e Vaduz), formulando principi di diritto di carattere generale, estensibili a ciascuna di esse (cfr., ex multis, Sez. 5, 19/12/2019, n. 33893; Sez. 5, 05/12/2019, n. 31779).

4.2. Per quel che qui interessa (Lista Falciani) l’efficacia probatoria degli elementi evidenziati dalla scheda cliente (fische) della banca HSBC di Ginevra, intestata a B.M.G.T. (v. ricorso pag. 3, ove è riportato il processo verbale di verifica del 28/10/20119 ritrovati) è stata ricavata dalla disciplina in tema di presunzioni, evidenziandosi come, in tesi generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che di Iva, consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni propri della prova per presunzioni (“Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha tempo chiarito che “un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 c.c.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile” cfr., in motivazione, la sentenza n. 17183/2015 sulla lista cd. Pessina).

4.3. Si giunge, dunque, a ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici la via attraverso cui le prove atipiche possono entrare nel processo, i cui requisiti caratteristici, se non possono essere stabiliti a priori, essendo ad essi immanenti la valutazione del caso concreto, si ritrovano nella gravità, precisione e concordanza, requisiti che se sussistenti, attribuiscono all’indizio pieno valore probatorio (v. Cass. 13/05/2015 n. 9760, in tema di Lista Falciani). In tale ambito, la scorretta valutazione degli elementi medesimi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass. 13/10/2005 n. 19894).

4.4. Si pone, dunque, un punto fermo secondo cui la valutazione dell’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate ed il ragionamento inferenziale che ne consegue, consente senz’altro di affermare che i nomi dei soggetti sottoposti ad accertamento non siano finiti “accidentalmente” nella lista Falciani, in quanto il materiale indiziario rivenuto col sequestro del l’archivio informatico sequestrato ha valore indiziario forte per configurare l’ipotesi elusiva del trasferimento all’estero di capitali italiani scudati, salvo l’eventualità di elementi di controprova che sconfessino quegli stessi elementi. Per questa via “diviene legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria”. (così, Sez. 5, 05/12/2019, n. 31779, in materia di lista Falciani).

5. Successivamente, questa Corte ha chiarito i limiti della presunzione stabilita dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 2, del, convertito con modificazioni dalla legge del 3/08/2009 n. 102, ovvero della retroattività della disciplina sulle violazioni da investimenti in Paesi a c.d. “fiscalità privilegiata”.

5.1. In proposito, va considerato che il ricorso all’esame trae origine da due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente B.M.G.T., persona fisica, con cui venivano recuperati a tassazione IRPEF, per anni d’imposta precedenti al 2009 (2006 e 2007), redditi detenuti all’estero e non indicati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, applicandosi la presunzione prevista dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, e da D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44 e ss., per le sanzioni, le disposizioni di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 5, commi 4 e 5, conv. in L. 4 agosto 1990, n. 227.

5.2. Le disposizioni di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, sono state per lungo oggetto di dibattito tra chi ne ha sostenuto la natura sostanziale e chi, invece, quella procedimentale, dal momento che la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, prevede espressamente che, salvo quanto disposto in materia di riserva di legge per l’adozione di norme interpretative in materia tributaria ammesse in casi eccezionali, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Pertanto, soltanto le norme aventi natura processuale sono in taluni casi suscettibili di applicazione retroattiva.

5.3. La giurisprudenza di questa Corte pronunciandosi in tema di lista Falciani ha chiarito – con orientamento qui condiviso – che “la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione – con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale

e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui al medesimo art. 12, commi 2-bis e 2-ter, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2″ (così, Sez. 5, 14/11/2019, n. 29632; id. Sez. 5, 29/11/2019, n. 31243).

5.4. In conclusione, in base agli esiti della giurisprudenza di questa Corte, va ribadito il principio secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale D.L. n. 78 del 2009, ex art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102 (non applicabile ratione temporum alla fattispecie), ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Sez. 5, 14/11/2019, nn. 29632-29633; Sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Sez. 6, 12/02/2018, n. 3276; Sez. 5, 22/12/2017, n. 30803, da ultimo, cfr. Sez. 6, 27/05/2021, n. 14834). Per questa via è divenuta legittima l’utilizzazione della scheda cliente riepilogante gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute dalla ricorrente presso la Banca svizzera, trasmessa dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, in quanto formante elemento (unico) indiziario forte a prescindere dalla presunzione di cui al citato D.Lgs., art. 12, comma 2.

6. Con il decimo ed ultimo mezzo denuncia l’erroneità della sentenza di appello per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguardante il se la contribuente, per gli anni 2006 e 2007, fosse effettivamente titolare di un conto estero presso l’istituto di credito svizzero come sostenuto dall’Agenzia delle entrate.

6.1. La censura è inammissibile in quanto con essa la ricorrente deduce questioni e argomentazioni volte in realtà, a richiedere una nuova valutazione degli elementi presuntivi posti a base della decisione di appello, valutazione non consentita a questo giudice di legittimità.

7. Conclusivamente, rigetta integralmente il ricorso.

8. Le spese di giudizio, poste a carico della parte soccombente, vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese dle presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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