Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6505 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 09/03/2020), n.6505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10172/2018 proposto da:

M.M., in qualità di genitore dei minori,

M.M. (nata a (OMISSIS)), M.N. (nato a (OMISSIS))

rappresentati e difesi dall’avvocato Eric Della Valle per procura

speciale in calce al ricorso ed indicazione dell’indirizzo di posta

certificato comunicato al proprio ordine;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DEI MINORENNI DI

TORINO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

TORINO-SEZIONE PER I MINORENNI;

– intimati –

avverso il decreto della Corte d’appello di Torino, Sezione per i

minorenni, n. 93/2018 del 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2019 dal Cons. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, con il provvedimento in epigrafe indicato ha rigettato il reclamo proposto avverso il provvedimento con cui il locale Tribunale per i minorenni aveva, a sua volta, respinto la richiesta di autorizzazione del ricorrente, a permanere in Italia D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3, per prendersi cura dei figli, minori, M.M. (nata a (OMISSIS)) e M.N. (nato a (OMISSIS)).

Il reclamante non avrebbe assolto all’onere probatorio sul medesimo incombente quanto ai problemi di salute dei figli ed alla necessità di cure costanti e controlli; il precedente penale per detenzione illecita di sostanze stupefacenti sarebbe stato ostativo alla permanenza in Italia in quanto commesso in epoca recente e la relativa pena, patteggiata, scontata in regime di detenzione domiciliare, avrebbe reso necessitato il rapporto tra il padre ed il figlio M. e comunque impedito al padre di accompagnarlo alla scuola materna; sarebbe dunque mancata la deduzione e l’acquisizione di elementi utili diretti a rimarcare l’importanza e la irrinunciabilità della figura paterna nella cura dei figli e la significativà del rapporto con loro.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicato provvedimento con tre motivi M.M., nella qualità in epigrafe indicata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3.

La Corte di appello avrebbe incentrato il proprio giudizio sulla condizione del ricorrente non tenendo in alcuna considerazione quella dei minori in punto di intervenuta loro integrazione in Italia – in cui frequentavano la scuola e le attività parascolastiche e di cui parlavano la lingua – non considerando il carattere traumatico di un loro allontanamento, con serio pregiudizio allo sviluppo psicofisico e conseguente violazione della ratio dell’istituto nel carattere non eccezionale della norma.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione del diritto all’unità familiare ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 dell’art. 8 Cedu. La Corte di merito non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali il nucleo familiare debba essere diviso e sradicato dal territorio italiano non spiegando il perchè del mancato riconoscimento del diritto alla bigenitorialità ai figli. I giudici di appello non avrebbero considerato le risultanze istruttorie da cui sarebbe emersa una effettiva coesione familiare, il lavoro regolare di entrambi i genitori e l’abitazione della famiglia in una casa di proprietà e condotte del richiedente, successive al riportato precedente penale, dirette a consentirne il reinserimento sociale.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 18 T.U. immigrazione in relazione all’art. 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con L. n. 176 del 1991.

La Corte di merito con l’impugnata decisione avrebbe sortito l’effetto indiretto di espellere dal territorio nazionale i minori, dando per scontato che la sola madre potesse accudirli in Italia. Sarebbe mancata una rigorosa motivazione sulla inevitabilità del distacco dei minori dal territorio italiano dando rilievo all’età prescolare ed al loro radicamento in un Paese in cui genitori stavano cercando di inserirsi acquisendo il diritto a soggiornarvi e prestare attività lavorativa.

6. I motivi proposti devono trovare congiunta trattazione avendo gli stessi ad oggetto un medesimo tema, quello relativo a contenuti e limiti di applicabilità aell’istituto dl permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3.

7. Occorre muovere dal rilievo che nelle more del giudizio è intervenuta, in materia, la sentenza di questa Corte di cassazione adottata a Sezioni Unite al n. 15750 del 12/06/2019 delle cui affermazioni di principio deve di seguito darsi conto per poi verificarne l’applicabilità alla fattispecie attraverso il proposto ricorso.

Si tratta di principi di contenuto e metodo che si raccordano nella loro applicazione ad affermazioni già consolidatesi nella giurisprudenza di legittimità.

7.1. Tra le statuizioni di principio contenute nell’indicata sentenza figura quella per la quale, in tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, il diniego non segue, per mero automatismo, alla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico consiaera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero.

Nella premessa che la condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto costituisca di per sè una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, il rigetto della istanza di autorizzazione resta esito di un esame circostanziato del caso concreto e di un bilanciamento tra l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico e l’interesse del minore in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, nella precisazione che a siffatto termine la norma attribuisce valore prioritario, ma non assoluto.

Il giudice del merito investito di una domanda di autorizzazione alla permanenza temporanea in territorio italiano dal genitore del minore, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, è chiamato ad un esame del caso concreto in cui viene in bilanciamento, con valore prioritario, l’interesse del minore ed il giudice è chiamato ad accertare la sussistenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano quale esito della privazione della figura genitoriale sino ad allora presente nella sua vita di relazione.

Resta così confermata l’accezione che della norma si è data nel tempo dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da SU n. 21799 del 2010) e quindi la natura derogatoria e non eccezionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, nell’assolta sua finalità di chiusura di un sistema, all’interno del quale dare un assetto equilibrato al rispetto della vita familiare del minore ed all’interesse pubblico e generale alla sicurezza del territorio ed al controllo delle frontiere.

7.2. Tra i vari momenti lungo i quali si articola l’accertamento del giudice del merito, che sia chiamato a pronunciare sulla richiesta di autorizzazione alla permanenza in Italia di un genitore di un minore ex art. 31, comma 3, cit., figura pertanto ed innanzitutto la verifica che tra il genitore richiedente ed il minore sussista realmente un rapporto affettivo significativo, idoneo a giustificare l’inversione della regola generale secondo cui il figlio minore segue la condizione giuridica del genitore (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 1) e che è presupposto implicito dei “gravi motivi” indicati dalla norma.

7.2.1. A siffatte condizioni va tutelato in via preminente il diritto del minore a non vedersi privato della figura genitoriale fino ad allora presente nella sua vita e quindi del suo benessere psicofisico, inteso come diritto al mantenimento dell’unità familiare attraverso la reciproca assistenza tra i suoi componenti in funzione del superiore interesse del minore, alla cui tutela la permanente presenza dell’adulto in Italia resta quindi finalizzata.

7.2.2. Una volta esaurito positivamente l’indicato accertamento, il giudice per i minori sarà tenuto a valutare le condotte ostative alla permanenza sul territorio nazionale poste in essere dal genitore del minore per registrarne la gravità per poi, successivamente, porle in un giudizio di bilanciamento con le prime.

7.2.3. Poichè il diritto del minore non è assoluto, il giudice potrà negare l’autorizzazione alla permanenza temporanea del genitore ove all’esito di un esame complessivo, svolto in concreto e non in astratto e scevro di ogni automatismo, per un attento bilanciamento tra il preminente interesse del minore e l’interesse statuale alla sicurezza, apprezzi il primo come recessivo nella incompatibilità della condotta posta in essere dal familiare con la sua permanenza in Italia.

7.3. Gli indicati principi che individuano la disciplina sostanziale e la misura della tutela dei beni della vita destinati a venire in considerazione nel caso di richiesta del rilascio del permesso di temporanea permanenza in Italia da parte del genitore straniero di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, vanno poi governati nella loro ricaduta processuale.

7.3.1. Il genitore che, in deroga al suo allontanamento dal territorio nazionale altrimenti dovuto per ragioni di sicurezza e controllo delle frontiere, deduca l’esistenza di gravi motivi a tutela dei diritti del figlio minore che ne consentano la permanenza temporanea, è tenuto a veicolare il vantato diritto secondo una puntuale allegazione di motivi gravi e specifici (Cass. 16/04/2018 n. 9391; Cass. 16/01/2020 n. 773).

7.3.2. Si ha così che il genitore che richieda il permesso temporaneo ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, non può limitarsi, genericamente, a far valere l’interesse dei figli minori al mantenimento delle relazioni familiari a tutela del loro equilibrio psico-fisico senza dedurre in modo specifico sul pregiudizio risentito dai minori al suo allontanamento, nella presupposta e dedotta sussistenza di una relazione tra genitore-figlio che veda nel primo la figura del familiare di riferimento preposto alle cure e l’assistenza del secondo sicchè al suo abbandono del territorio nazionale possa aversi una effettiva e conseguente lesione del diritto del figlio all’unità familiare che nella reciproca assistenza dei suoi componenti si afferma.

7.3.3. L’autorizzazione temporanea di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, è istituto finalizzato a tutelare il minore in situazioni oggettivamente gravi, di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa, sulla base di un giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle sue condizioni di vita destinato ad incidere sulla sua personalità ed a cui egli sarebbe esposto a causa dell’allontanamento dei genitori o dello sradicamento dall’ambiente in cui è nato e vissuto (Cass. 21/02/2018 n. 4197; Cass. 12/12/2017 n. 29795).

7.4. La Corte di appello di Torino, sezione per i Minorenni, in applicazione degli indicati principi ha correttamente ritenuto, per quanto rileva in applicazione dei sopra richiamati principi, con giudizio che non si espone a censura in sede di legittimità per i dedotti profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’assenza di una “significativa” relazione tra genitore e figli minori, tale da integrare la deroga all’applicazione della disciplina sull’allontanamento del primo dal territorio nazionale per ragioni di sicurezza e controllo delle frontiere, e quindi l’irreversibile nocumento allo sviluppo psico-fisico dei minori anche per lo sradicamento dal contesto di vita goduto e tanto nel rilievo, ai fini del mantenimento della coesione familiare, della presenza della madre che è titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è proprietaria dell’alloggio in cui vive e può quindi farsi carico di accudire da sola i figli.

7.4.1. Il ricorrente a fronte dell’indicata motivazione non deduce di aver fatto valere dinanzi ai giudici di merito una fattispecie integrata dalla valorizzazione della relazione genitore-figli per i sopra esposti contenuti, limitandosi, invece, genericamente, ed ancora, a richiamare in sede di legittimità il pregiudizio risentito dai minori nel loro sviluppo psico-fisico in esito all’allontanamento del padre e, deviando in modo significativo dalla finalità propria del mezzo invocato, a far valere un generico diritto alla coesione familiare tra genitori e figli e finanche alla bigenitorialità che si vorrebbe leso dal provvedimento impugnato.

7.4.2. Si tratta di una prospettiva errata che guarda al diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia per un percorso destinato a dispiegarsi secondo tempi ordinari e di tendenziale stabilità che per nulla si raccorda con la finalità propria dell’istituto in esame e che ove intesa, invece, quale ratio dell’autorizzazione temporanea avrebbe l’effetto di superare e porre nel nulla la disciplina del ricongiungimento familiare con applicazione automatica dell’autorizzazione alla permanenza (Cass. n. 9391 cit. in motivazione p. 4; Cass. SU n. 21799 del 2010, par. 5 “Motivi della decisione”).

7.4.3. La deduzione per la quale si fa valere dell’impugnato decreto la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, per non avere la Corte territoriale tenuto conto dei “gravi motivi” integrati dallo sradicamento che i figli minori del ricorrente avrebbero sofferto in esito al loro rimpatrio insieme al genitore, allontanato dall’Italia perchè privo di titolo di soggiorno, manca di autosufficienza ed in ogni caso non si confronta con la motivazione adottata.

Il ricorrente non fa valere dinanzi a questa Corte di legittimità di aver dedotto nella fase di merito l’indicato profilo, integrativo dei “gravi motivi” ed i giudici del reclamo hanno motivato su siffatto presupposto avendo riguardo unicamente alla posizione del padre quale genitore di riferimento nella cura dei figli e quindi di elemento di coesione ed affermazione dell’unità familiare.

Ed infatti, la presenza sul territorio nazionale della madre dei minori, titolare di un regolare permesso di soggiorno quale lavoratrice dipendente e proprietaria di un alloggio, ha correttamente consentito alla Corte di appello di obliterare l’altra delle possibili declinazioni dei “gravi motivi” ostativi al rimpatrio dei minori e, segnatamente, quella sullo sradicamento dall’Italia quale esito obbligato del principio, altrimenti destinato a valere in materia, per il quale i minori seguono lo stato dei genitori (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a) e art. 31, comma 1).

Lo sradicamento è infatti evenienza non destinata a realizzarsi ove uno dei genitori conviventi, a sua volta radicato nel territorio italiano, per indici che ben possono essere integrati dallo svolgimento di un lavoro regolare e dalla proprietà di un immobile in cui risiedere, offra occasione al figlio minore di permanere nel territorio italiano e quindi di non soffrire l’effetto di uno sradicamento al seguito dell’altro genitore, allontanato perchè privo di un valido titolo di soggiorno per ragioni connesse alla tutela della sicurezza del territorio nazionale e di controllo delle frontiere.

8. Il ricorso è pertanto infondato e come tale deve essere rigettato.

Nulla sulle spese.

La natura del giudizio esonera il ricorrente dal pagamento del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Va disposta ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

PQM

Rigetta il ricorso.

Dà atto che la natura del giudizio esonera il ricorrente dal pagamento del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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