Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6504 del 17/03/2010

Cassazione civile sez. I, 17/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 17/03/2010), n.6504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.G. – elettivamente domiciliata in ROMA, piazza

Augusto Imperatore, 22, presso lo studio dell’avv. POTTINO Guido, dal

quale è rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente all’avv.

Carlo Zauli, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona dell’11 settembre

2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

27 gennaio 2010 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;

P.M., S.P.G. Dr. GOLIA Aurelio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

on decreto depositato l’11/09/2007, la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente accolto il ricorso proposto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, da R.G. in ordine alla irragionevole durata del procedura fallimentare introdotta, a suo carico, innanzi al Tribunale di Forlì (dichiarazione di fallimento del (OMISSIS), chiusura dello stato passivo del (OMISSIS), chiusura del fallimento del (OMISSIS)).

La Corte territoriale, dopo aver individuato in 8 anni il periodo di irragionevole durata della procedura, ha – in assenza di più specifiche deduzioni – liquidato in Euro 12.000,00 (con gli interessi legali dalla pronuncia) il “danno morale soggettivo”, e, determinato nel complessivo importo di Euro 1.024,52 oltre accessori le spese, ritenendo invece: 1) non confortate probatoriamente le domande di ristoro: a) di un separato “danno psicobiologico”; b) del danno patrimoniale; 2) estremamente generiche le deduzioni relative ad un supposto “danno da aumento delle spese legali”; 3) esplorativa (in difetto di idonea documentazione), e perciò inammissibile, la richiesta di espletamento di una C.T.U. indirizzata ad accertare l’avvenuta instaurazione di un’alterazione organica rilevante sotto il piano del danno biologico, quale conseguenza dello stato di paterna d’animo; 4) del tutto inammissibile la richiesta di CTU contabile rivolta a verificare la possibilità di un diverso andamento della procedura;

Per la cassazione di detto decreto ha proposto ricorso per Cassazione, la R., con atto notificato il 2/11/2007, sulla base di 5 motivi; non ha svolto attività difensiva il Ministero.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla ricorrente, che ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“Il ricorso, si rivela manifestamente infondato, in quanto, al di là delle violazioni di legge ufficialmente con esso denunciate, il tenore effettivo delle doglianze in esso sviluppate non fa altro che svelare – unitamente ad una esuberante ed improponibile (tanto più alla luce dei più recenti indirizzi di questa Corte) proliferazione di taluni dei titoli di danno invocati (del tutto ripetitivi e moltiplicativi di un’unica ed unitaria realtà data dal danno da morale o da “paterna di animo”, riproposta sotto le varie vesti di “danno non patrimoniale”, di “danno psicologico o psicobiologico”, “esistenziale”, “da vita relazione”, “all’identità”, “da stress”) – un contenuto teso, in realtà, a sollevare censure di ordine puramente fattuale, sulle conclusioni tratte – con percorso motivazionale di per sè immune da vizi logico giuridici e perciò incensurabile in questa sede – dalla Corte territoriale allorchè, da un lato ha ritenuto di liquidare il danno non patrimoniale in Euro 1.500,00 per anno, e dall’altro ha ritenuto non conferita la prova in ordine alle altre voci di danno invocate, compresa in esse quella del “danno patrimoniale”, e, da un altro ancora, nell’ambito dell’esercizio di valutazioni discrezionali – ha ritenuto non accoglibili le richieste di C.T.U..

Sussistono, pertanto, i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, con le precisazioni indicate di seguito e con la puntualizzazione che le considerazioni svolte, in quanto danno attuazione alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, dimostrano la manifesta inammissibilità (per taluni profili) e la manifesta infondatezza (per altri profili) delle censure, che comprovano l’insussistenza assoluta delle condizioni per disporre la trattazione della causa in pubblica udienza, come sostenuto invece nella memoria.

I primi tre motivi ed il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, concernendo la liquidazione del danno non patrimoniale.

In linea preliminare, va osservato, in primo luogo, che, nella specie, non rileva la sopravvenuta abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, poichè non è applicabile ratione temporis (ai sensi della citata legge, art. 58, comma 5), con la conseguenza che risulta richiamabile la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il quesito di diritto è inammissibile quando si risolva in una enunciazione di carattere generale ed astratto (Cass. S.U. n. 6420 del 2008), ovvero sia formulato in modo del tutto generico (Cass. n. 19892 del 2007).

Nella specie, il primo motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: “a) è vero o non è vero che il giudice chiamato a decidere dell’eccessiva durata di un procedimento ex Lege n. 89 del 2001, è tenuto a personalizzare il danno morale in relazione alla particolarità del procedimento ed in particolare alla posta in gioco, con particolare riferimento alla materia in contestazione? b) è vero o non è vero che nello specifico procedimento fallimentare si deve considerare l’afflizione sostanziale cui la parte è sottoposta? c) è vero o non è vero che devono essere considerati tutti i vecchi gravami sul fallito, anno dopo anno?” Il secondo motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: “a) è vero o non è vero che non è di ostacolo al riconoscimento del danno psicologico e/o psicobiologico e/o biologico da durata abnorme del procedimento ex L. n. 89 del 2001, la circostanza che la malattia psichica e/o fisica si sia manifestata quando ancora il procedimento non aveva attinto la soglia della non ragionevolezza? b) si dica se e, comunque, in relazione al procedimento, il protrarsi della vertenza oltre il termine ragionevole possa determinare una stasi o un peggioramento della malattia medesima, precisando se un giudice può rispondere a simili quesiti, c) si dica se può un giudice decidere di problemi psichiatrici senza disporre l’ingresso di una consulenza specialistica”.

In secondo luogo, va ricordato che, come di recente hanno affermato le Sezioni unite civili, il danno esistenziale non costituisce una autonoma categoria di danno (Cass. S.U. n. n. 26972 del 2008), ma costituisce una voce del danno non patrimoniale.

In applicazione di detti principi, è manifesta l’inammissibilità dei quesiti formulati con il primo ed il secondo motivo, nella parte in cui si risolvono in domande astratte, prive di stretta pertinenza con il caso concreto, quali sono quelli attinenti alla necessità di “personalizzare” il danno, di considerare l’afflizione subita dalla parte (quesiti a) e b) del primo mezzo), nonchè alla possibilità che la irragionevole durata del giudizio comporti l’insorgere di una patologia e/o il suo aggravamento (quesiti a) e b) del secondo motivo).

I due mezzi sono, peraltro, manifestamente infondati, nella parte in cui non considerano che il decreto, in conformità della giurisprudenza di questa Corte, ha riconosciuto che l’irragionevole durata del giudizio comporta, di regola, “un danno non patrimoniale, inteso come il pregiudizio morale subito in dipendenza dell’incertezza e dell’ansia circa l’esito del giudizio, con ripercussioni sulla condizione complessiva dell’interessato” (pg. 3 del decreto), esplicitando in cosa consista il cd. danno esistenziale, precisando che “appare idoneo a ricomprendere anche il pregiudizio alla vita di relazione” (pg. 4 del decreto) e procedendo ad una liquidazione rispettosa del parametro stabilito dalla Corte europea (la liquidazione è stata pari a circa Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo, non potendosi tenere conto del tempo di ragionevole durata, per tutte, Cass. n. 16086 del 2009).

I primi due mezzi consistono, quindi, nella assertiva affermazione della esistenza di una pluralità di profili di danno e sono inammissibilmente articolati senza tenere conto del principio enunciato dalle Sezioni Unite, sopra richiamato, e senza darsi carico di indicare quali documenti ed elementi siano stati allegati nella fase di merito (riproducendoli, nell’osservanza del principio di autosufficienza, sul quale, tra le molte, Cass. n. 21621 del 2007; n. 18506 del 2006, tale onere non essendo soddisfatto dalla riproduzione a pg. 12 e 13 della domanda proposta e non dei documenti e degli elementi addotti a conforto), da cui potere inferire sia che lo stato di patema d’animo si era risolto in una alterazione organica medicalmente rilevante (alterazione organica peraltro, neppure precisata), sia della sua diretta riconducibilità, in rapporto di effetto a causa, alla durata del giudizio.

In relazione a tale profilo, è, inoltre, manifesta l’infondatezza della doglianza, svolta anche nel terzo motivo, concernente l’omessa ammissione della c.t.u..

La mancata effettuazione della consulenza tecnica d’ufficio da parte del giudice del merito, di cui la parte asserisce l’indispensabilità, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è infatti incensurabile in questa sede, laddove, come nella specie, la consulenza sia finalizzata ad esonerare la parte dall’onere della prova o sia richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati (per tutte, Cass. n. 15219 del 2007), e ciò tenuto appunto conto della mancata indicazione degli elementi sopra richiamati (anche in punto di specifica patologia che avrebbe affetto l’istante e che, se sussistente, bene avrebbe potuto essere prospettata mediante la produzione di idonea documentazione medica). Ne consegue che non sussiste la contraddittorietà della motivazione (denunciata con il terzo motivo), per il fatto che la Corte territoriale non ha disposto la c.t.u., in considerazione del suo carattere esplorativo ed ha anche rigettato la domanda di danni in parte qua (pg. 5 del decreto).

Il quinto motivo è manifestamente infondato, se si considera che la Corte ha ritenuto sussistente il danno non patrimoniale, liquidando l’equa riparazione nella misura in Euro dodicimila, risultando palese che non può comportare il vizio di omessa pronuncia la liquidazione di un importo diverso, mentre il danno alla vita di relazione ed alla serenità altro non è che il danno non patrimoniale, riconosciuto dal decreto impugnato.

Infine, la manifesta infondatezza del quarto motivo è chiara, proprio sulla base della pronuncia invocata dalla ricorrente.

Al riguardo va ricordato, anzitutto, che solo per il danno non patrimoniale può parlarsi “di prova (del danno) di regola in re ipsa” (Cass., Sez. Un., n. 1338 del 2004), mentre la tipologia di danno “patrimoniale” che il ricorrente può legittimamente allegare è soggetta alle ordinarie regole probatorie di cui all’art. 2397 cod. civ., sicchè grava sulla parte che agisce per il suo riconoscimento l’onere di dimostrare rigorosamente il danno (per tutte e per le argomentazioni che fondano il principio, Cass. n. 1631 del 2006).

Inoltre, deve essere confermato che, “sul piano generale, non può affatto negarsi la correttezza della allegazione del danno patrimoniale conseguente all’eccesso di durata del procedimento, nei termini della perdita di chance e della probabilità della sussistenza di tutte o di qualcuna delle sue manifestazioni o voci (danno emergente e lucro cessante)” (Cass., n. 18953 del 2005), poichè la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la perdita della possibilità di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza configura un danno concreto ed attuale (Cass., n. 440 del 2004; in seguito, Cass., n. 1752 del 2005; anteriormente, ex plurimis, Cass., n. 17940 del 2003; n. 11322 del 2003).

Nondimeno, l’onere della prova, della quale è gravato il ricorrente, ha riguardo alla realizzazione, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, in concreto, di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla protrazione indebita del procedimento, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (Cass., n. 18953 del 2005; n. 1631 del 2006), non potendo tale onere ritenersi soddisfatto dalla mera allegazione della circostanza che tale danno sarebbe stato sofferto. In ciò si risolve, invece, il quarto motivo, che non indica, neppure nei termini sopra precisati, quali sarebbero state le concrete chances perdute dalla ricorrente e, soprattutto, specificamente indicate ed allegate nel giudizio di merito, e gli elementi addotti a conforto, con la conseguenza che il mezzo è manifestamente infondato.

Non deve essere resa pronuncia sulle spese della presente fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010

 

 

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