Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6500 del 17/03/2010

Cassazione civile sez. I, 17/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 17/03/2010), n.6500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.A. – elettivamente domiciliato in ROMA, via Antonio

Bertoloni, 26/B, presso lo studio dell’avv. DIDDI Alessandro, dal

quale e’ rappresentato e difeso, unitamente all’avv. Adriana Martini,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e

L.B.M. – elettivamente domiciliato in ROMA, via Antonio

Bertoloni, 26/B, presso lo studio dell’avv. DIDDI Alessandro, dal

quale e’ rappresentato e difeso, unitamente all’avv. Adriana Martini,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore –

domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale e’ rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia del 28 settembre

2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

27 gennaio 2010 dal Consigliere dott. SALVATO Luigi;

P.M., S.P.G. Dott. GOLIA Aurelio, che si riporta alla relazione.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.A. e L.B.M. hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione sulla base di tre motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia, avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Perugia in data 28 settembre 2006 con cui il Ministero veniva condannato ex lege 89/01 a pagamento di un indennizzo di Euro 7.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, con interessi legali dalla domanda e con il rimborso delle spese processuali, per l’eccessivo protrarsi di un processo penale svoltosi a loro carico dinanzi al Tribunale di Roma.

La Corte d’appello, riuniti i distinti ricorsi di merito proposti dagli istanti, ha rilevato che il processo e’ durato otto anni ed otto mesi, ben oltre i quattro anni che possono ritenersi congrui (tenuto conto che il processo era complesso in quanto coinvolgente diciannove imputati) per la definizione della vicenda, dal momento degli arresti domiciliari alla sentenza di primo grado. La Corte territoriale – considerata la posta in gioco (imputazione penale grave in relazione alla posizione di ufficiale dell’esercito degli imputati, sottoposti a motivo del processo a misure cautelari disciplinari) – ha liquidato nella misura di Euro 1.500,00 per anno di ritardo il danno morale.

La Corte d’appello, per il C., ha escluso la risarcibilita’ del danno patrimoniale, perche’ la perdita dello stipendio (sostituito da assegno alimentare) nel periodo di sospensione dal servizio e’ stata gia’ ristorata dai provvedimenti amministrativi seguiti all’assoluzione penale; quanto al pregiudizio alla carriera, essa ha osservato che nessun pregiudizio si e’ verificato, giacche’ vi e’ in atti una nota del 30 gennaio 2004 dell’ispettorato logistico che proponeva il C. per un particolare incarico di responsabilita’ nonostante il procedimento penale non fosse ancora definito.

In relazione al L.B., la Corte d’appello ha escluso la risarcibilita’ del danno patrimoniale, perche’ la perdita dello stipendio (sostituito da assegno alimentare) nel periodo di sospensione dal servizio e’ stata gia’ ristorata dai provvedimenti amministrativi seguiti all’assoluzione penale; quanto al pregiudizio alla carriera, essa ha osservato che nessuna prova vi e’ al riguardo, perche’ il L.B. fu ritenuto idoneo alla promozione a colonnello e non vi e’ prova che la mancata partecipazione alla prova orale del 36^ corso di specializzazione non sia stata rimediata dalla partecipazione ad analoghi corsi successivi.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- I ricorsi vanno riuniti avendo ad oggetto lo stesso decreto.

2.- La relazione relativa al ricorso introdotto dal C., sopra richiamata, ha il seguente tenore:

“Il primo motivo del ricorso e’ manifestamente fondato. La Corte d’appello ha determinato in quattro anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto, discostandosi dai parametri medi desumibili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e senza motivare in concreto la particolare complessita’ del caso alla luce della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2. La Corte territoriale fa leva esclusivamente sul numero degli imputati: ma tale elemento, di per se’ solo, non e’ sufficiente a spiegare quale incidenza abbia avuto sulla durata del processo in termini di maggiore complessita’.

Il secondo motivo, relativo al danno patrimoniale, appare manifestamente infondato. La Corte d’appello ha motivato ampiamente l’esclusione della configurabilita’ nella specie del danno patrimoniale: la perdita dello stipendio – sostituito da assegno alimentare – nel periodo di sospensione del servizio e’ stata integralmente ristorata dai provvedimenti amministrativi seguiti alla assoluzione penale; non vi e’ la prova che il C. abbia perso possibilita’ di incarichi o di promozioni nel periodo della pendenza del processo penale, perche’ vi e’ in atti una nota del 30 gennaio 2004 dell’ispettorato logistico che proponeva il C. per un particolare incarico di responsabilita’ nonostante il procedimento penale non fosse ancora definito. Il motivo di ricorso si risolve nella richiesta di revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata. Vero e’ che, in tema di equa riparazione per violazione del principio della ragionevole durata del processo, il danno patrimoniale indennizzabile comprende anche il pregiudizio subito per perdita di chances: ma purche’ l’interessato dimostri che la indebita protrazione del processo ha impedito il verificarsi di concrete ed effettive occasioni suscettibili di procurargli risultati economici, e questa prova nella specie, secondo la congrua valutazione operata dal giudice di merito, e’ mancata.

Anche il terzo motivo e’ manifestamente infondato, per la parte in cui non e’ inammissibile. Il danno morale – inteso come ansia per il ritardo nella definizione della vicenda e’ stato liquidato seguendo i parametri della giurisprudenza di Strasburgo (Euro 1.500,00 per anno di ritardo). Quanto al danno esistenziale e al danno biologico, di essi il decreto impugnato non fa alcun cenno. La questione che il ricorrente propone e’, sotto questo profilo, nuova. Non vi sono ragioni per sollevare questione pregiudiziale comunitaria, essendosi questa Corte gia’ pronunciata sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, non essendovi dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione medesima (att. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2).

In conclusione, ove si condividano i teste’ formulati rilievi, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”.

La relazione relativa al ricorso introdotto dal C., sopra richiamata, ha il seguente tenore:

“Il primo motivo del ricorso e’ manifestamente fondato. La Corte d’appello ha determinato in quattro anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto, discostandosi dai parametri medi desumibili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e senza motivare in concreto la particolare complessita’ del caso alla luce della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2. La Corte territoriale fa leva esclusivamente sul numero degli imputati: ma tale elemento, di per se’ solo, non e’ sufficiente a spiegare quale incidenza abbia avuto sulla durata del processo in termini di maggiore complessita’.

Il secondo motivo, relativo al danno patrimoniale, appare manifestamente infondato. La Corte d’appello ha motivato ampiamente l’esclusione della configurabilita’ nella specie del danno patrimoniale: la perdita dello stipendio – sostituito da assegno alimentare – nel periodo di sospensione del servizio e’ stata integralmente ristorata dai provvedimenti amministrativi seguiti alla assoluzione penale; non vi e’ la prova che il L.B. abbia perso possibilita’ di incarichi o di promozioni nel periodo della pendenza del processo penale. Il motivo di ricorso si risolve nella richiesta di revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata. Vero e’ che, in tema di equa riparazione per violazione del principio della ragionevole durata del processo, il danno patrimoniale indennizzabile comprende anche il pregiudizio subito per perdita di chances: ma purche’ l’interessato dimostri che la indebita protrazione del processo ha impedito il verificarsi di concrete ed effettive occasioni suscettibili di procurargli risultati economici, e questa prova nella specie, secondo la congrua valutazione operata dal giudice di merito, e’ mancata. Anche il terzo motivo e’ manifestamente infondato, per la parte in cui non e’ inammissibile.

Il danno morale inteso come ansia per il ritardo nella definizione della vicenda – e’ stato liquidato seguendo i parametri della giurisprudenza di Strasburgo (Euro 1.500,00 per anno di ritardo).

Quanto al danno esistenziale e al danno biologico, di essi il decreto impugnato non fa alcun cenno. La questione che il ricorrente propone e’, sotto questo profilo, nuova. Non vi sono ragioni per sollevare questione pregiudiziale comunitaria, essendosi questa Corte gia’ pronunciata sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, non essendovi dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2).

In conclusione, ove si condividano i teste’ formulati rilievi, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”.

3.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte.

Una sola precisazione si impone in ordine alla richiesta, svolta nel quarto motivo, di sollevare questione pregiudiziale comunitaria, manifestamente infondata, tenuto conto che, come ha chiarito la Corte costituzionale, la incompatibilita’ della norma interna con la norma della CEDU non puo’ trovare rimedio nella semplice non applicazione da parte del giudice comune, avendo escluso che possa argomentarsi di generale comunitarizzazione delle norme della CEDU (sentenza n. 349 del 2007; analogamente sentenza n. 311 del 2009), quindi di una competenza della Corte del Lussemburgo in riferimento all’interpretazione delle norme della CEDU, con conseguente carenza dei presupposti per sollevare una questione pregiudiziale comunitaria.

Nella specie, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, nel caso di contrasto di una norma interna con una norma della CEDU e’ quindi, in tesi, prospettabile una questione di legittimita’ costituzionale della norma nazionale per contrasto con la norma convenzionale, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1.

Per completezza, va osservato che, da un canto, l’eccezione si presenta generica, essendo anche priva dell’indicazione del punto e del modo in cui la norma interna violerebbe la norma convenzionale, e per quali ragioni; dall’altro, questa Corte ha anche rilevato la complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 10415 del 2009).

Peraltro, ancora prima, la constatazione che il giudice del merito ha applicato il parametro della Corte EDU fa anche escludere che possa argomentarsi di un contrasto tra le norme interne e la Convenzione europea, e cio’ priva definitivamente di fondamento l’istanza.

Rigettati il secondo ed il terzo motivo di ciascun ricorso, in accoglimento delle censure accolte – formulate con il primo motivo – va in relazione cassato il decreto e la causa puo’ essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Invero, in difetto di elementi comprovanti la ricorrenza di elementi idonei a fondare il discostamento dal parametro temporale della Corte EDU, la ragionevole durata va fissata in tre anni, con la conseguenza che il periodo di irragionevole durata deve essere determinato in anni 5 e mesi 8 e non in anni 4 e mesi otto come ritenuto nel decreto.

Relativamente alla quantificazione del danno non patrimoniale, non essendo stato ritenuto censurabile il parametro di Euro 1.500,00 per anno di ritardo, siccome conforme a quello indicato dalla Corte di Strasburgo (non potendo aversi riguardo al principio enunciato da Cass. n. 21840 del 2009, non essendo detto parametro riesaminabile in pejus), in applicazione del medesimo va riconosciuta a ciascun istante la somma di Euro 8.500,00, in relazione agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata (anni 5 e mesi 8), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza per la fase di merito e per la meta’ quanto alla presente fase, sussistendo giusti motivi per dichiarare compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento dei ricorsi.

PQM

LA CORTE Riuniti i ricorsi n. 23570/07 e n. 23571/07, li accoglie per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione, cassa in relazione il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a ciascun ricorrente la somma di Euro 8.500,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali, liquidate, quanto al giudizio di merito, per ciascun ricorrente, in Euro 1.190,00 (di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimita’, in Euro 550,00, di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010

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