Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 650 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 15/01/2020), n.650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32958/2018 proposto da:

O.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Principe

Eugenio, 15, presso lo studio dell’avvocato Troiano Vito che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1922/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2019 da Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

O.L., cittadino originario della (OMISSIS), propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, pubblicata il 28.9.2018, che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

La Corte, in particolare, confermando la valutazione del tribunale, ha escluso che nell’area geografica di provenienza del richiedente sia allo stato ravvisabile una situazione di violenza generalizzata o di conflitto interno o internazionale ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo, articolato, motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, della Convenzione di Ginevra del 1951, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7 e 14-17, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, deducendo che la Corte aveva omesso di rilevare da un lato la credibilità delle affermazioni del ricorrente, dall’altro il fatto che la Nigeria è un paese in cui vige una cultura tribale e settaria, come desumibile dall’ultimo rapporto annuale di Amnesty international.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio della pronuncia impugnata.

La Corte ha infatti ritenuto, con apprezzamento adeguato, il carattere meramente privato della vicenda narrata, onde doveva ritenersi irrilevante la credibilità del richiedente, il quale non aveva peraltro riproposto in appello la sua vicenda personale.

La Corte ha inoltre escluso che, sulla base delle stesse allegazioni del richiedente, nella sua area di provenienza fosse ravvisabile una condizione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato e che dunque le stesse circostanze da costui allegate, non fossero idonee ad integrare il presupposto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha in particolare accertato, che la situazione dell’Edo State, da cui proviene il richiedente, è ben diversa dalle zone a, nord del paese, in cui si registrano i maggiori rischi di sicurezza a causa dell’attività del gruppo terroristico di (OMISSIS).

La statuizione è conforme a diritto.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C-285/12 – Diakitè) dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 13858 del 31.5.2018).

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e lamenta la mancata concessione della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Con riferimento alla protezione umanitaria la Corte di merito ha escluso, con apprezzamento adeguato, che sia ravvisabile una specifica situazione di vulnerabilità tale da giustificare il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, considerato che il richiedente, da un lato non ha allegato alcunchè in merito alla sua integrazione in Italia e dall’altro non risulta che in caso di rientro nell’area di provenienza egli possa subire la compressione dell’esercizio dei diritti umani fondamentali.

Anche con riferimento alla protezione umanitaria, il mezzo è privo di specificità ed a parte la generica deduzione sulle condizioni socioeconomiche della Nigeria e del livello generale di insicurezza del paese, non evidenzia una specifica situazione di fragilità del richiedente.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, considerato che il Ministero non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

il ricorso pertanto va dichiarato inammissibile e alla declaratoria deve conseguire l’attestazione circa l’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater;

il collegio intende dare continuità al principio reso da Cass. n. 9660-19 e molte altre successive conformi (tra le quali indicativamente Cass. n. 25864-19, Cass. n. 25863-19, Cass. n. 25115-19, Cass. n. 24601-19, Cass. n. 24060-19, Cass. n. 23729-19, Cass. n. 23727-19, Cass. n. 23724-19, Cass. n. 23460-19), stando al quale, per i fini dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 13, comma 1-quater, da parte della Corte di cassazione, rileva il solo elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte;

tali condizioni sono invece da verificare, nella loro specifica esistenza e permanenza, da parte dell’amministrazione al momento della eventuale successiva attività di recupero del contributo medesimo;

codesta soluzione risulta adesso implicitamente condivisa dalle Sezioni unite della Corte (v. Cass. Sez. U n. 23535-19), mediante l’evidenziazione della formula “ove dovuto” nel provvedimento che giustappunto attesta l’esistenza del ripetuto unico presupposto oggettivo della pronuncia;

non può seguirsi la tesi sostenuta in alcune dissonanti decisioni di questa stessa Corte, e in particolare non può seguirsi l’assunto dell’unico precedente argomentato sul punto, della sezione tributaria (Cass. n. 2264619), ben vero la motivazione di tale precedente non è idonea a scalfire la constatazione per cui, nel secondo periodo del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater è al giudice richiesto di dare atto (molto semplicemente) “della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente”; e tali sono quelli oggettivamente correlati al fatto che “l’impugnazione, anche incidentale,” sia stata “respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile”;

così congegnata, la norma chiarisce la volontà di escludere ogni automatismo da tale punto di vista e di affidare al giudice la potestà di stabilire, con apprezzamento da svolgere in base all’esito complessivo dell’impugnazione, se all’astrattezza della formula decisionale – di “inammissibilità, improcedibilità o rigetto” – abbia a corrispondere poi, in effetti, la conseguenza del raddoppio; conseguenza invero non necessariamente connaturata alla formula astratta, come ben si trae dal fatto – per esempio – che non dà luogo al raddoppio l’inammissibilità sopravvenuta (ex aliis Cass. n. 3542-17), nè la pronuncia (per certi versi simile negli effetti) di estinzione per rinuncia (Cass. n. 23175-15, Cass. n. 19071-18), nè ancora la declaratoria di sopravvenuta inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva (Cass. n. 18348-17, Cass. n. 134319);

non può condividersi – ed è comunque ben poco influente – la serie di argomenti spesa (dalla sezione tributaria) ad asserita confutazione di quanto ulteriormente sostenuto a fondamento della mentovata tesi;

che la revoca dell’ammissione anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato implichi un provvedimento del giudice del merito è assolutamente ovvio; tuttavia niente esclude che il giudice del merito possa provvedere anche con provvedimento distinto da quello che definisce il giudizio; e tanto può rendere incerta in cassazione la circostanza se l’ammissione sia stata o meno medio tempore revocata;

deve contraddirsi l’affermazione, che ancora caratterizza la tesi della sezione tributaria, per cui la revoca non potrebbe operare retroattivamente in danno del beneficiario, a termini del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, visto che in base all’u.c. della citata previsione la revoca è normalmente retroattiva, salvo che sia motivata dalla riscontrata esistenza di “modificazioni reddituali”; e anche in tal caso, la revoca comunque prenderebbe effetto “dal momento dell’acquisizione delle modificazioni”, momento che ben può essere anteriore alla decisione del ricorso per cassazione; donde insistere su tale punto non è proficuo, in sè (poichè l’aspetto essenziale attiene all’ambito dell’attestazione come discendente dalla norma) e in ogni caso per il fatto che la revoca ben può basarsi sulla riscontrata insussistenza dei presupposti originari di ammissione, ovvero e anche sulla più meditata rilevazione del fatto di avere l’interessato agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave; casi – tutti – che, se riscontrati dal giudice del merito con provvedimento separato, ignoto alla Corte, palesano in modo evidente la retroattività dell’effetto a un momento antecedente a quello nel quale la Corte medesima è chiamata a decidere;

non si comprende infine la pertinenza dell’ulteriore sottolineatura della sezione tributaria per cui la possibilità di sollevare in sede di recupero coattivo la questione della insussistenza dei presupposti soggettivi sarebbe preclusa dalla “definitività della statuizione del giudice che attesti i requisiti del raddoppio”; l’effetto preclusivo in vero non sussiste affatto, dal momento che il giudicato afferente copre solo la res in iudicium decisa, chiaramente (ed esplicitamente) limitata – nella prospettiva appena detta al riscontro (unico) del presupposto oggettivo;

nè sembra ipotizzabile un contrasto tra la norma di legge come sopra specificamente interpretata e l’art. 6 della CEDU, con riguardo ai tempi ragionevoli del processo e al principio dell’esame equo della controversia, e con l’art. 47 della Carta Fondamentale dell’Unione Europea; tale argomento – ripreso da taluni anteriori arresti della sezione lavoro di questa Corte non appare minimamente spendibile, dal momento che quello che la legge richiede, dopo l’attestazione di esistenza del presupposto oggettivo del raddoppio, è un’ elementare (e doverosa) azione di verifica da parte della cancelleria prima di determinarsi alla riscossione; azione doverosa ed elementare in quanto correlata all’anteriore mera annotazione dell’importo nel foglio notizie e nel registro, e dunque infine incentrata sulla semplicissima e conseguente possibilità di chiudere il foglio, ove perdurino le condizioni che hanno dato origine all’ammissione (anticipata e provvisoria) al patrocinio a spese dello Stato, con la dicitura che non vi è titolo per il recupero;

per effetto della declaratoria di inammissibilità, deve quindi darsi atto dell’esistenza del presupposto per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dal ricorrente dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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